29 ottobre 2012

Suggestioni per l'intelligenza della città

Un prezioso post di Giuseppe Granieri sulle città intelligenti


1. Le città sono sempre state intelligenti
2. La città come computer a cielo aperto
3. Le città come network più veloci
4. Abbiamo già tutti i bit necessari
5. Il vicinato intelligente
6. Il cittadino intelligente

23 ottobre 2012

Habemus Agenda (quasi)

(fonte: Apogeonline)

Habemus Agenda (quasi)
di Simone Aliprandi

È ora di chiudere le discussioni su che cosa significhi apertura di dati e formati all’interno della Pubblica Amministrazione.
Precisamente giovedì 18 ottobre il Presidente Napolitano ha promulgato il testo definitivo del decreto legge comunemente chiamato Crescita 2.0con il quale vengono attuate le riforme della cosiddetta Agenda digitale.

Questo fondamentale e tanto atteso provvedimento tocca davvero molti ambiti della legislazione italiana in materia di innovazione e digitalizzazione del paese (identità digitale, dati aperti, trasporti, istruzione, sanità digitale, digital divide, moneta elettronica, giustizia digitale, ricerca, smart community, startup innovative, nuove infrastrutture…) e porta succulente novità (tra cui – udite udite! – la previsione di specifiche sanzioni per i funzionari della Pubblica Amministrazione che non rispettano i criteri già stabiliti sette anni fa dal CAD, Codice dell’amministrazione digitale). In un’ottica di sintesi, desidero segnalare le non poche novità in materia di openness.

La più vistosa è relativa ad una ulteriore modifica dell’articolo 68 del CAD (oltre a quella recente di cui abbiamo già parlato): viene infatti modificato il testo del comma 3 rendendo più precisa e opportuna la definizione di formato aperto (quella precedente era infatti troppo generica e lasciava spazio a troppe interpretazioni strumentali); ma soprattutto viene cristallizzata una definizione legislativa di dati aperti:
sono dati di tipo aperto i dati che presentano le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti […], sono adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione […].

Altro passo interessante del decreto è quello che interviene sull’articolo 52 del CAD e sancisce il principio per cui i dati e i documenti pubblicati con qualsiasi modalità dalle pubbliche amministrazioni senza l’espressa adozione di una licenza d’uso vengono considerati alla stregua di dati di tipo aperto. Nella sezione dedicata alle comunità intelligenti vi sono inoltre vari riferimenti al già noto concetto di riuso di sistemi e applicazioni, che ne esce ulteriormente chiarito e rafforzato.
Bisogna infine rilevare in tutto il provvedimento una spiccata attenzione per l’aspetto (a me molto caro) dell’interoperabilità e degli standard aperti, che sembra ormai essere entrato pienamente nelle corde del legislatore italiano.

E ora? Non è finita! Il decreto sarà vigente per sessanta giorni, periodo entro il quale il Parlamento dovrà convertirlo in legge ordinaria; dunque c’è ancora la possibilità che vengano effettuati emendamenti. A tal fine è stato aperto un apposito wiki sul sito degli Stati generali dell’innovazione, in cui tutti possono scrivere commenti e avanzare proposte; il tutto verrà poi sottoposto all’attenzione di alcuni parlamentari impegnati in tal senso.
Io ho già in mente che cosa proporre: un comma che riformi l’articolo 5 della legge 633 del 1941 e finalmente eviti confusione sulla titolarità di diritti di privativa su tutti gli atti ufficiali dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, in qualsiasi forma essi compaiano.

16 ottobre 2012

Consultazione pubblica del Miur sui principi fondamentali di Internet

Consultazione pubblica del Miur sui principi fondamentali di Internet


Dal 18 settembre al 1° novembre è attiva la consultazione pubblica sui principi fondamentali di Internet, sulla piattaforma online http://discussionepubblica.ideascale.com. Il documento “Principi generali di Internet”, elaborato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, rappresenta l’inizio di un dibattito pubblico sulla governance di Internet, vale a dire sui processi, attività, valori e tecniche di gestione della Rete e di buon comportamento nella Rete stessa. La consultazione riguarda cinque temi fondamentali (principi generali, cittadinanza in rete, consumatori e utenti della rete, produzione e circolazione dei contenuti e sicurezza in rete), avviene esclusivamente per vie telematiche ed ha una durata di 45 giorni.

E’ aperta a tutti i cittadini, organizzazioni private, espressioni della società civile organizzata o istituzioni pubbliche che vogliano inviare un contributo al dibattito. La consultazione servirà a definire e preparare la posizione italiana sui principi fondamentali di Internet in vista del settimo incontro dell’Internet Governance Forum, che si terrà a Baku, Azerbaijan, dal 6 al 9 novembre 2012. L’Internet Governance Forum è l’organismo delle Nazioni Unite che discute del futuro della governance della Rete, e che prevede la partecipazione in condizione di parità di governi, imprese private e società civile.

1 ottobre 2012

Binari che dividono. La ferrovia Monfalcone - Cervignano

Un esempio di tecnostoria. Cioè, una narrazione esplicativa di come una innovazione tecnologia (in questo caso, la progettazione e la realizzazione di una linea ferroviaria in Friuli Venezia Giulia) poi in qualche modo cagiona modificazioni di  natura sociale, economica, culturale.

Trovato qui.

Sbuffi di fumo - La ferrovia Monfalcone-Cervignano. Le cause storiche ed economiche di una polemica fra Gorizia e i centri della pianura
di Donatella Cozzi
Lo sviluppo ferroviario nei territori della Principesca Contea di Gorizia e Gradisca può essere suddiviso in due momenti cronologicamente distinti. La prima fase fu quella della costruzione della "Ferrovia Meridionale" e del tronco di collegamento con Gorizia e Udine. La "Meridionale", com'è noto, fu realizzata per collegare Vienna con il suo porto adriatico, Trieste. Avviata alla metà dell'800 come impresa statale, essa fu portata a termine fra il 1857 e il 1859 appunto dalla k.k. Priv. Südbahn Gesellschaft. La seconda fase, invece, iniziò alla fine degli anni '80 e nei primi anni '90, quando venne progettata e costruita la congiunzione fra la "Meridionale" e la Bassa friulana, la Monfalcone-Cervignano, tronco austriaco del nuovo collegamento diretto fra Trieste e Venezia; e proseguì poi, nei primi anni di questo secolo, con la realizzazione della ferrovia "Transalpina", seconda congiunzione con l'interno della Monarchia, che si inserì nel complesso di linee dei Tauri e delle Caravanche (1).
In questo articolo ci occuperemo in particolare della costruzione della linea Monfalcone-Cervignano, e delle polemiche che accompagnarono la realizzazione di questo progetto: cercheremo di illustrare i motivi per cui i comuni della pianura (Monfalcone, Ronchi, Cervignano), pur con qualche divergenza - come vedremo -sul tracciato, ne caldeggiarono la costruzione, mentre Gorizia, invece, manifestò contro di esso una forte ostilità.
Occorre premettere che già nella fase di progettazione del collegamento fra la "Meridionale" e Udine era stato sollevato il problema dei collegamenti fra l'alta e la bassa pianura goriziana. Allora, da parte della pianura, era stata espressa la preoccupazione che un tracciato ferroviario ad essa troppo sfavorevole (inizialmente godeva credito l'ipotesi di realizzare la congiunzione con Gorizia attraverso il Vallone) potesse danneggiarla ed emarginarla economicamente. Ed erano state avanzate delle proposte di tracciati alternativi, che per Gorizia prevedevano soltanto un raccordo supplementare, mentre la linea principale avrebbe dovuto raggiungere direttamente Udine, o lungo la direttrice Sagrado-Versa-Palmanova, oppure più a Sud, unendo Monfalcone a Palmanova attraverso Pieris (2).
Ma, com'è noto, non se ne fece nulla, e quindi il completamento della "Meridionale", realizzato alla fine seguendo l'attuale percorso Monfalcone - Sagrado Gorizia, lasciò irrisolto il problema di una più diretta comunicazione fra la Destra Isonzo e i centri urbani di Trieste, Gorizia e Udine.
Successivamente, la stasi degli investimenti, conseguente al crollo della Borsa di Vienna del 1873, bloccò, come si sa, per oltre un decennio lo sviluppo ferroviario nei territori dell'Impero. Così dei collegamenti ferroviari attraverso la parte meridionale della pianura goriziana si ricominciò a parlare solo alla fine degli anni '70, ma, come tenteremo di mostrare brevemente, il problema della creazione di questa infrastruttura ferroviaria si inserì questa volta in un contesto economico e sociale, ma anche politico-nazionale, notevolmente mutato rispetto agli anni '50.
Il distretto di Cervignano, sorto dall'unione dei distretti di Aiello e di Monastero, era la più estesa zona agricola della pianura della Contea. Esso aveva conosciuto fino alla metà dell'Ottocento una notevole prosperità agricola. E se i contatti commerciali più intensi continuavano ad essere, come nel '700, quelli con il Friuli occidentale e con il Veneto, considerevolmente cresciuti erano anche i rapporti con Trieste, città in espansione, verso la quale sempre di più ci si rivolgeva per l'esportazione della ricca produzione vinicola locale. I legami e gli scambi economici con Gorizia erano invece rimasti sempre modesti, ma l'identità di lingua, di cultura e di valori dei ceti agrari dominanti (scarso era ancora il peso a Gorizia della borghesia urbana commerciale e delle libere professioni) era sufficiente a dare il senso di una comunanza di fondo fra il capoluogo e i vari territori della pianura.
La crisi agraria degli anni '50, provocata dalle malattie che colpirono dapprima la produzione vinicola (ciò che determinò la perdita del proficuo mercato di Trieste, il quale si orientò verso i vini istriani e dalmati), e in seguito quella del baco da seta, modificò radicalmente la situazione precedente (3). Già di per sé grave, in quanto aveva investito un sistema agricolo ed economico arretrato, la crisi venne successivamente dilatata dalla delimitazione dei nuovi confini nel 1866, in quanto i nuovi vincoli doganali privarono il Cervignanese dei tradizionali sbocchi commerciali di Palmanova e Udine.
Sebbene dopo il 1866 il paese di Cervignano (come, in misura inferiore, Cormons e Gradisca) traesse un certo beneficio dal fatto che cominciò a configurarsi come centro urbano di scambio e di mercato, proprio in virtù della perdita dei mercati di Palma e di Udine, e alla conseguente crescita della circolazione delle merci all'interno del distretto, e per quanto sorgessero alcuni piccoli stabilimenti industriali (4), la situazione economica complessiva della zona andava continuamente peggiorando. Dopo il cattivo raccolto del 1879 cominciarono ad emergere anche le conseguenze sociali della prolungata crisi, e si diffusero progressivamente la miseria endemica, la disoccupazione, l'alcolismo e la pellagra. Così, tra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '80 il Cervignanese venne - assai più duramente delle altre aree della Contea - investito dall'esodo migratorio verso l'America, segnale drammatico questo, della decadenza economica che ormai travagliava in modo cronico la zona (5).
Si può ben capire perciò come il ceto commerciale e imprenditoriale cervignanese accogliesse con grande fervore il ventilato progetto di congiunzione ferroviaria con Trieste (e con Venezia). Lo scalo fluviale sull'Aussa, che garantiva un quotidiano collegamento con Trieste, era reputato ormai del tutto insufficiente, e quindi Cervignano con sempre maggior forza e decisione, sostenuta dal consenso degli altri comuni della bassa pianura, cominciò a premere per la realizzazione della nuova ferrovia, ritenuta strumento indispensabile per risollevare "le Basse" e riportarle all'antica prosperità.
Ben diverso fu invece l'atteggiamento assunto da Gorizia di fronte a questa via di comunicazione. Il capoluogo provinciale aveva conosciuto fra il 1860 e il 1880 un discreto sviluppo. Grazie a Ritter, si era verificato un ampliamento e un potenziamento delle attività industriali, mentre la funzione commerciale della città si era andata rafforzando, in quanto né la zona del Collio, con i suoi vini pregiati, né la vallata del Vipacco, in cui si andava sviluppando la produzione ortofrutticola e la viticoltura, erano state investite dalle malattie e dalla crisi che aveva colpito la bassa pianura. Agli occhi della borghesia urbana italiana (ora molto più consistente) questa situazione, tuttavia, appariva preoccupante. Essa, infatti, dopo il 1866, si dimostrava sempre più attenta a salvaguardare la propria identità nazionale (auspicando in tal senso una più stretta unione con la pianura), e guardava quindi con sospetto una crescita che vedeva Gorizia diventare sempre di più centro di scambi commerciali per i contadini e i piccoli proprietari del suo circondario sloveno, dal quale proveniva anche la maggior parte degli operai occupati nelle fabbriche, mentre di fatto sempre più esili diventavano i rapporti e gli scambi con il distretto di Cervignano (6).
Gli italiani di Gorizia, insomma, sentivano che mentre in città cresceva la presenza ed il peso economico degli sloveni, i legami con il retroterra friulano e italiano si stavano progressivamente allentando, e temeva che tutto ciò in prospettiva finisse per determinare una situazione di debolezza per la loro componente. D'altronde il favore con cui la borghesia liberalnazionale aveva accolto e incoraggiato, alla fine degli anni '70, lo sviluppo indutriale nel Gradiscano e nel Monfalconese, non aveva certo contribuito a rendere più solidi i rapporti con questi distretti, poiché aveva alienato ad essa le simpatie di molti proprietari terrieri, preoccupati dei fenomeni di dissoluzione del vecchio ordine economico-sociale che le fabbriche avrebbero potuto innescare (7).
E’ comprensibile perciò che tutti coloro i quali ritenevano essenziale impedire che Gorizia finisse per gravitare sempre di più nell'area slovena della provincia vedessero come un gran pericolo la costruzione della Monfalcone-Cervignano, che avrebbe contribuito ulteriormente a decentrare il capoluogo dalle correnti di traffico della pianura.
Ma non furono solo coloro cui stava a cuore la fisionomia nazionale della città a fare opposizione. Negli anni '80 Gorizia cominciava anch'essa a risentire della generale recessione economica che aveva colpito l'intera Monarchia. Languivano le industrie, era in crisi il settore serico (che assegnava al capoluogo la funzione di polo di smercio per i bachicultori di tutta la provincia), cresceva la disoccupazione e segnali di stagnazione si cominciavano ad avvertire pure nel campo delle attività commerciali (8). Tutto ciò, quindi, favorì il coagularsi di un dissenso pressoché unanime nei confronti della progettata linea ferroviaria, che, si disse, avrebbe provocato un danno economico gravissimo alla città e ne avrebbe causato la "rovina".
Queste preoccupazioni e questa ostilità, tuttavia, non emersero in seno alla Dieta provinciale. Dopo i primi contatti tra il governo austriaco e quello italiano, che si erano tenuti - mediatore l'ingegnere cervignanese Giacomo Antonelli - nel 1882, la Dieta nel 1885 incaricò l'ing. Stummer di stendere il progetto della linea, e nel 1889 si pronuciò a favore della sua realizzazione. Ciò avvenne perché in quella sede si determinò una convergenza tra i deputati italiani dei comuni e delle borgate della pianura e quelli sloveni, i quali dal canto loro premevano per la costruzione del tronco di collegamento diretto fra Gorizia e la "Meridionale", da realizzare a Postumia o Loitsch (Logaec) attraveso la valle del Vipacco (9).
L'opposizione alla Monfalcone-Cervignano fu quindi un fatto essenzialmente cittadino. Si schierarono contro la ferrovia il "Corriere di Gorizia", organo della borghesia liberalnazionale, con trasparenti (anche se non esplicite) motivazioni di ordine nazionale, la Camera di Commercio che si soffermò invece sulle ragioni di natura economica, e infine il Consiglio comunale, nel quale i due ordini di considerazioni finirono per sovrapporsi. Con una certa cautela e prudenza si mosse soltanto il foglio cattolico "L'Eco del Litorale" (10).
La presa di posizione del Consiglio comunale venne redatta al termine di una serie di riunioni abbastanza tormentate. Il 19.11.1889, nella prima seduta dedicata all'argomento, a dar voce all'opposizione più intransigente fu il conservatore indipendente on. Marzini. Egli, confutando la relazione presentata alla Dieta da Luigi Pajer, dichiarò che la ferrovia, oltre a causare un danno incalcolabile a Gorizia, non avrebbe giovato significativamente neppure ai comuni direttamente interessati dal tracciato. Il gruppo liberale, che per ragioni di autodifesa nazionale avrebbe volentieri fatto proprie queste posizioni, ma che temeva al tempo stesso di arrivare ad una rottura troppo netta con i "fratelli" del Cervignanese (ciò che dal punto di vista nazionale era altrettanto pericoloso), demandò ad una commissione lo studio delle iniziative da prendere (11). In questa sede, tuttavia, non si riuscì a giungere a conclusioni unanimi e, mentre in città si stampavano dei volantini rivolti alla cittadinanza e si raccoglievano migliaia di firme contro la ferrovia (12), la relazione di maggioranza presentata al Consiglio finì per attenuare l'opposizione, in quanto si limitava a chiedere che prima di costruire la Monfalcone-Cervignano si realizzasse un piano di trenovie locali, indipendenti dalla "Meridionale", che servissero a collegare in modo più stretto Cervignano a Gorizia (13). In aula sorsero nuove divergenze e non si riuscì ad arrivare ad un voto definitivo. Il consigliere liberale Nardini non esitò a dichiarare apertamente che alla Dieta gli sloveni avevano appoggiato la costruzione della nuova ferrovia perché erano interessati a indebolire Gorizia come centro italiano (14).
A dar forza al partito degli oppositori intransigenti intervenne anche la risoluzione negativa votata dalla Camera di Commercio. Così alla fine, il 23.12.1889, venne redatta una petizione da rivolgere all'Impertaore, in cui si dava corpo in forme esplicite alle proteste e alla contrarietà di Gorizia alla linea (15). Unica voce di dissenso fu quella del conte Coronini, il quale lamentò la miopia della città che voleva imporsi, a suo giudizio, sui voleri e sulle necessità dei comuni della Bassa. Egli confutò tutti i supposti svantaggi del tracciato, e dimostrò come in realtà la crisi che travagliava Gorizia fosse imputabile a motivi che travalicavano la situazione locale, in quanto derivava da cause generali come le spinte protezionistiche, l'eccesso di produzione, l'elevata pressione fiscale e le esorbitanti spese militari, tutti fattori con cui la costruzione della ferrovia aveva ben poco a che vedere (16). Benché godesse di grande prestigio anche fra i liberalnazionali, il Coronini venne duramente criticato per questo suo intervento dal "Corriere di Gorizia" (17).
Non abbiamo fin qui accennato alle posizioni che di fronte al progetto ferroviario emersero a Trieste. La linea offriva il vantaggio di ridurre la lunghezza del tragitto Trieste-Venezia di ben 70 km, evitando il lungo giro per Udine-Conegliano-Treviso. Ciò in breve avrebbe permesso a Trieste di battere la concorrenza della città lagunare nel traffico con il Levante, offrendole al tempo stesso un ingresso più diretto verso Occidente. Ma Trieste aveva interesse a ricercare anche un "avvicinamento" con il Monfalconese e con il basso Friuli. Esaurita la funzione di emporio mercantile, e spinta alla ricerca di una alternativa industriale alla crisi che aveva colpito il porto negli anni '60, la città che era priva di un immediato retroterra agricolo, che aveva notevoli problemi di rifornimento alimentare ed era povera di risorse idriche necessarie per alimentare le industrie, aveva cominciato proprio in quel periodo a rivolgere il proprio sguardo alla pianura occidentale, abbondante di corsi d'acqua, fertile e adatta all'insediamento di nuove fabbriche anche per la disponibilità di mano d'opera a basso costo (18).
E’ naturale pertanto che la stampa triestina caldeggiasse la realizzazione della nuova ferrovia e criticasse aspramente la posizione assunta da Gorizia, che essa giudicò di semplice difesa "campanilistica" (19). La Società degli Ingegneri ed Architetti di Trieste approvò all'unanimità, nel congresso del 27 dicembre 1889, una mozione a favore della direttissimo Monfalcone-Cervignano (20), mentre nel marzo 1890, nel presentare al Consiglio comunale di Trieste una relazione sulla questione ferroviaria, l'on. Angeli sottolineò i profondi legami che già univano la città con i distretti di Monfalcone e Cervignano (21).
Incoraggiata da questi appoggi, anche Cervignano decise di scendere in campo per far sentire la voce della pianura e controbattere l'ostilità di Gorizia.
Il 12 gennaio 1890 si tenne nel capoluogo distrettuale una grande manifestazione a favore della ferrovia, cui parteciparono i podestà delle località interessate (22), una rappresentanza della Società Ingegneri e Architetti di Trieste, il rappresentante governativo Giovanni Battista Wingschgau e numerose personalità politiche della provincia. Il successo della riunione fu tale che gli stessi liberal-nazionali di Gorizia dovettero prendere atto dell'importanza politica che assumeva una così vasta aggregazione attorno a questa rivendicazione (23). Tutti i relatori, infatti, sottolinearono con enfasi il ruolo che la ferrovia avrebbe avuto nel risorgimento economico della zona, mentre una commissione venne incaricata di redigere un memoriale da inviare all'Imperatore a sostegno della linea (24).
Dalle informazione che si possono desumere dalla stampa locale, risulta che le proteste di Gorizia non erano state accolte con molto favore a Vienna, anche perché, mentre la linea Cervignano veniva giudicata importante non solo per motivi economici, ma anche per ragioni strategico-militari, la richiesta che il capoluogo provinciale faceva di altre congiunzioni ferroviarie appariva al momento irrealizzabile, data la scarsa disponibilità di fondi (25). Perciò, quando giunse la risposta ufficiale ai due contrapposti memoriali, in cui si affermava che si sarebbe aiutata la pianura badando di non danneggiare Gorizia, tutto lasciò capire che, per quanto riguardava il governo, la vicenda era da considerarsi ormai chiusa, con l'assenso alla costruzione della linea, cui doveva soltanto aggiungersi, in sede legislativa, la definitiva sistemazione degli oneri finanziari e del tracciato (26).
Ma proprio su quest'ultimo punto, cessata la disputa di fondo (la stampa liberale di Gorizia finì per fare buon viso a cattivo gioco, per non aggravare ulteriormente la profonda frattura verificatasi con Cervignano(27)), si aprì una seconda controversia, sia pure di minor portata, relativa al punto di allacciamento della nuova ferrovia alla "Meridionale", a Ronchi o a Monfalcone, alternativa che fino a quel momento non era stata approfondita, essendo in discussione la realizzazione stessa della linea.
A prima vista, considerata la vicinanza dei due centri, si potrebbe pensare che si trattava di una decisione di scarso rilievo, ma in realtà va ricordato come dietro ciascuna delle due ipotesi finirono per ritrovarsi nuovamente degli interessi contrapposti.
A spalleggiare Ronchi, che cercò ovviamente di mettere in campo le ragioni a proprio favore (28), si schierò infatti Gorizia, che si trovò a difendere questa scelta come il male minore, in quanto, sia pure di poco, le permetteva di ridurre la propria distanza dal nuovo tronco ferroviario.
Trieste, invece, puntò con decisione all'allacciamento a Monfalcone e sostenne questa tesi con l'argomentazione che il Monfalconese era la zona da privilegiare nelle comunicazioni, in quanto era destinata a svilupparsi industrialmente con capitali triestini (29). Anche Monfalcone, naturalmente, si adoperò per conseguire la soluzione più vantaggiosa per i propri interessi, e in tal senso presentò anche un ricorso alla Dieta provinciale di Gorizia, per confutare le tesi di quanti erano favorevoli all'allacciamento a Ronchi (30).
Questa querelle durò tre anni e si protrasse fino al 1893 con un'abbondante produzione di memoriali, prove e studi in appoggio all'uno o all'altro tracciato. Per quanto riguarda Cervignano, cui premeva soprattutto la rapida costruzione della linea, la sua podesteria dichiarò la propria disponibilità per entrambe le soluzioni, nell'interesse dei suoi abitanti e dei paesi vicini (31).
L'allacciamento a Monfalcone venne alla fine deciso il 21 marzo 1893 e, oltre al peso politico ed economico delle motivazioni addotte da Trieste, giocò a favore di questa scelta anche la considerazione che l'amministrazione italiana avrebbe acconsentito a trasformare il proprio tronco in linea di prima categoria, dotandola dei necessari requisiti solo se in territorio austriaco questa avesse raggiunto nel modo più celere un centro di movimento commerciale come, appunto, Trieste (23).
Il progetto di legge approvato alla Camera di Vienna (33) prevedeva, congiuntamente al prestito di 1.300.000 fiorini da estinguersi in 75 anni -emesso a condizione che i comuni dei distretti interessati e la provincia di Gorizia si impegnassero ad acquistare le azioni della società concessionaria (34) - una derivazione con trenovia a vapore per Porto Rosega, ed altre due per Aquileia-Belvedere e Villavicentina-Gradisca. La società della "Meridionale" da parte sua rinunciò al diritto di priorità sul territorio attraversato dalla Monfalcone-Cervignano, conferitole con la concessione del 23.09.1858.
Da Monfalcone la linea raggiungeva Pieris, oltrepassava il nuovo ponte di ferro sull'Isonzo, poggiante su sette pilastri di 50 m. di campata, costruito dalla Società alpina di Graz, per continuare fino a Cervignano. Tre anni più tardi si sarebbe completata la congiunzione Cervignano-San Giorgio di Nogaro, realizzando così il collegamento diretto con Venezia.
L'inaugurazione della direttissima Monfalcone-Cervignano avvenne il 10 giugno 1894 (35). Se al momento tutti fecero mostra di accogliere con gioia l'evento, in realtà assai profonda era la lacerazione che la vicenda di questa ferrovia aveva messo in luce e certamente aggravato.
Se ne era avuto un primo segnale già nel corso degli incontri fra gli esponenti liberalnazionali della provincia per la designazione dei candidati alle elezioni parlamentari del 1891. In una riunione di podestà, tenuta a Romans, si verificò una netta frattura fra i fautori del "goriziano" Marani e i sostenitori del "cervignanese" Lovisoni, e benché in minoranza i rappresentanti dei comuni delle "Basse" finirono per imporre il loro candidato: si sostenne che era ora di finirla con il "giogo goriziano", e che era necessario che la provincia si "emancipasse" dalla "schiavitù" (politica, s'intende) in cui la teneva il capoluogo (36). Il risultato fu che, benché i tempi andassero mutando e lo spirito laico e liberale cominciasse a penetrare anche nei piccoli centri della provincia, la vittoria finì per andare ancora una volta al sacerdote candidato dai cristiano-sociali (37).
Innescato (o quanto meno dilatato) dalla polemica sulla ferrovia Monfalcone-Cervignano un velo di incomprensione e di diffidenza scese così a corrodere la reciproca fiducia fra gli esponenti della borghesia liberalnazionale delle Basse e di Gorizia e si protrasse nel tempo, rendendo particolarmente difficile a queste forze, quando alla fine del secolo furono investite dalla serrata polemica sociale del partito cattolico, ritrovare un comune terreno d'intesa.
Anche perché, grazie alla ferrovia, Monfalcone e Cervignano finirono per legarsi economicamente molto di più a Trieste che a Gorizia, la quale - le trenovie locali, come si sa, non vennero mai costruite - vide aggravarsi in tal modo il suo isolamento dai territori della pianura.