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21 febbraio 2011

4° Festa della Decrescita, Trieste 10 e 12 marzo 2011


Quarta edizione della Festa regionale della Decrescita
Ulteriori informazioni sul blog della Rete di Economia Solidale del Friuli Venezia Giulia RESFVG e sulla relativa pagina Facebook.
L’evento si apre giovedì 10 marzo alle ore 17.00con una conferenza di Serge Latouche, presso l’aula Magna del liceo Galilei a Trieste. Al termine, partirà dallo stesso sito un pullman per una degustazione di “Sapori del Carso triestino”, previa prenotazione alla segreteria organizzativa. Verrà chiesta una modica somma per coprire i costi della cena e del trasporto.
Sabato 12 marzo la manifestazione riprenderà alle ore 9.30 presso l’Università degli studi, nelle aule del centro di calcolo, edificio H2 bis.

Subito assemblea plenaria con Francesco Gesualdi, animatore del Centro nuovo modello di sviluppo.
Quindi, ci distribuiremo fra 8 laboratori corrispondenti al programma delle 8R proposte da Latouche. Al mattino ogni laboratorio esaminerà un elenco di buone pratiche relative alla sua “R”, buone pratiche già raccolte attraverso la scheda che si allega o individuate attraverso vari canali.

Se avete a vostra volta praticato o siete a conoscenza di buone pratiche, potete segnalarle anche tramite la citata scheda (disponibile sul blog della RESFVG) e inviarla agli indirizzi in essa riportati.
Dopo la pausa pranzo, i laboratori torneranno a riunirsi per fare una selezione delle buone pratiche esaminate, per proporle ai singoli cittadini, a gruppi, alle Istituzioni pubbliche.

Andremo quindi in plenaria per fare insieme sintesi e decidere come dare attuazione alle buone pratiche. Vogliamo infatti sfuggire al vecchio detto: “passata la festa, gabbato lo santo”. Se condividiamo le analisi di Latouche, dobbiamo metterci insieme, fare rete e promuovere la transizione verso una società ed un’economia solidale ed ecocompatibile.

25 giugno 2008

Intervista a Jeremy Rifkin

Il blog ha intervistato Jeremy Rifkin, autore di fama mondiale, tra i suoi libri: “Economia all’idrogeno”.
Il mondo che conosciamo sta cambiando in fretta. Il petrolio sta finendo. L’energia avrà due caratteristiche: sarà rinnovabile, come il sole e il vento, e distribuita. Ognuno di noi potrà creare la propria energia e metterla a disposizione degli altri in rete.

"Ora, al tramonto [della seconda rivoluzione industriale] ci sono alcune situazioni davvero molto critiche. Il prezzo dell’energia sta drammaticamente salendo e il mercato mondiale del petrolio si è appena avviato al suo picco di produzione. I prezzi del cibo sono raddoppiati negli ultimi anni poiché la produzione di cibo è prevalentemente basata sui combustibili fossili. Appena raggiungeremo il picco della produzione di petrolio, i prezzi saliranno, l’economia globale ristagnerà, avremo recessione e ci saranno persone che non riusciranno a mettere in tavola qualcosa da mangiare. Il “picco del petrolio” avviene si è usato metà del petrolio disponibile. Quando questo avverrà, quando saremo all’apice di questa curva, saremo alla fine dell’era del petrolio perché il costo di estrazione non sarà più sostenibile. Quando arriveremo al picco? L’ottimista agenzia internazionale per l’energia dice che ci arriveremo probabilmente attorno al 2025-2035. D’altra parte negli ultimi anni alcuni dei più grandi geologi del mondo, utilizzando dei modelli matematici molto avanzati, rilevano che arriveremo al picco tra il 2010 e il 2020. Uno dei maggiori esperti sostiene che il picco è già stato raggiunto nel 2005.

Ora, il giacimento del Mare del Nord ha raggiunto il picco 3 anni fa. Il Messico, il quarto produttore mondiale, raggiungerà il picco nel 2010, come probabilmente la Russia. Nel mio libro, Economia all’idrogeno, ho speso molte parole su questa questione. Io non so chi ha ragione, gli ottimisti o i pessimisti. Ma questo non fa alcuna differenza, è una piccolissima finestra.

La seconda crisi legata al tramonto di questo regime energetico è l’aumento di instabilità politica nei Paesi produttori di petrolio. Dobbiamo capire che oggi un terzo delle guerre civili nel mondo è nei Paesi produttori di petrolio. Immaginate cosa accadrà nel 2009, 2010, 2011, 2012 e così via. Tutti vogliono il petrolio, il petrolio sta diventando sempre più costoso. Ci saranno più conflitti politici e militari nei Paesi produttori. Infine, c’è la questione dei cambiamenti climatici. Se prendiamo gli obiettivi dell’Unione Europea sulla riduzione della Co2, e la UE è la più aggressiva del mondo in questo senso, anche se riuscissimo a raggiungere quegli obiettivi ma non facessero lo stesso India, Cina e altri Paesi, la temperatura aumenterà di 6°C in questo secolo e sarà la fine della civilizzazione come la conosciamo.

Lasciatemi dire che quello di cui abbiamo bisogno adesso è un piano economico che sia sufficientemente ambizioso ed efficace per gestire l’enormità del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici. Lasciatemi dire che le grandi rivoluzioni economiche accadono quando l’umanità cambia il modo di produrre l’energia, primo, e quando cambia il modo di comunicare, per organizzare questa rivoluzione energetica. All’inizio del XX secolo la rivoluzione del telegrafo e del telefono convergeva con quella del petrolio e della combustione interna, dando vita alla seconda rivoluzione industriale.

Ora siamo al tramonto di quella rivoluzione industriale. La domanda è: come aprire la porta alla terza rivoluzione industriale. Oggi siamo in grado di comunicare peer to peer, uno a uno, uno a molti, molti a molti. Io sto comunicando con voi via Internet. Questa rivoluzione “distribuita” della comunicazione, questa è la parola chiave: “distribuita”, questa rivoluzione “piatta”, “equa” della comunicazione proprio ora sta cominciando a convergere con la rivoluzione della nuova energia distribuita. La convergenza di queste due tecnologie può aprire la strada alla terza rivoluzione industriale. L’energia distribuita la troviamo dietro l’angolo. Ce n’è ovunque in Italia, ovunque nel mondo. Il Sole sorge ovunque sul pianeta. Il vento soffia su tutta la Terra, se viviamo sulla costa abbiamo la forza delle onde. Sotto il terreno tutti abbiamo calore. C’è il mini idroelettrico. Queste sono energie distribuite che si trovano ovunque. L’Unione Europea ha posto il primo pilastro della terza rivoluzione industriale, che sono le energie rinnovabili e distribuite.

Primo, dobbiamo passare alle energie rinnovabili e distribuite. La UE ha fissato l’obiettivo al 20%. Secondo, dobbiamo rendere tutti gli edifici impianti di generazione di energia. Milioni di edifici che producono e raccolgono energia in un grande impianto di generazione. Questo già esiste. Terzo pilastro: come accumuliamo questa energia? Perché il Sole non splende sempre, nemmeno nella bellissima Italia. Il vento non soffia sempre e le centrali idroelettriche possono non funzionare nei periodi di siccità. Il terzo pilastro riguarda come raccogliamo questa energia e la principale forma di accumulo sarà l’idrogeno. L’idrogeno può accumulare l’energia così come i supporti digitali contengono le informazioni multimediali. Infine, il quarto pilastro, quando la comunicazione distribuita converge verso la rivoluzione energetica generando la terza rivoluzione industriale. Prendiamo la stessa tecnologia che usiamo per Internet, la stessa, e prendiamo la rete energetica italiana, europea e la rendiamo una grande rete mondiale, come Internet.

Quando io, voi e ognuno produrrà la sua propria energia come produciamo informazione grazie ai computer, la accumuliamo grazie all’idrogeno come i media con i supporti digitali, potremo condividere il surplus di produzione nella rete italiana, europea e globale nella “InterGrid”, come condividiamo le informazioni in Internet. Questa è la terza rivoluzione industriale. Io lavoro con molte tra le più grandi aziende energetiche del mondo, come consulente. Lasciatemi fare una considerazione in termini di business, non in termini ideologici. Non credo che l’energia nucleare sarà significativa in futuro e credo che sia alla fine del suo corso e qualsiasi governo sbaglierebbe a investire nell’atomo. Vi spiego le ragioni. Non produciamo Co2 con gli impianti nucleari, quindi dovrebbe essere parte della soluzione ai problemi climatici. Ma guardiamo ai numeri. Ci sono 439 impianti nucleari al mondo, oggi, che producono solo il 5% dell’energia che consumiamo. Questi impianti sono molto vecchi.

C’è qualcuno in Italia o nel mondo che davvero crede che si possano rimpiazzare i 439 impianti che abbiamo oggi nei prossimi vent’anni. Anche se lo facessimo continueremmo a produrre solo il 5% dell’energia consumata, senza alcun beneficio per i cambiamenti climatici. E’ chiaro che perché ne avesse, dovrebbero coprire almeno il 20% della produzione. Ma perché la produzione di energia sia per il 20% nucleare, dovremmo costruire 3 centrali atomiche ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Capito? Duemila centrali atomiche. Tre nuove centrali ogni mese per sessant’anni. Non sappiamo ancora cosa fare con le scorie. Siamo nell'energia atomica da 60 anni e l'industria ci aveva detto: "Costruite gli impianti e dateci tempo sufficiente per capire come trasportare e stoccare le scorie". Sessant'anni dopo questa industria ci dice "Fidatevi ancora di noi, possiamo farcela", ma ancora non sanno come fare. L'agenzia internazionale per l'energia atomica dice che potremmo avere carenza di uranio tra il 2025 e il 2035, facendo cosi' morire i 439 impianti nucleare che producono il 5% dell'energia del mondo. Potremmo prendere l'uranio che abbiamo e convertirlo in plutonio.

Ma avremmo il pericolo del terrorismo nucleare. Vogliamo davvero avere plutonio in tutto il mondo in un'epoca di potenziali attacchi terroristici? Credo sia folle. E infine, una cosa che tutti dovrebbero discutere col vicino di casa: non abbiamo acqua! Questo le aziende energetiche lo sanno ma la gente no. Prendete la Francia, la quintessenza dell'energia atomica, prodotta per il 70%. Questo e' quello che la gente non sa: il 40% di tutta l'acqua consumata in Francia lo scorso anno, e' servita a raffreddare i reattori nucleari. Il 40%. Vi ricordate tre anni fa, quando molti anziani in Francia morirono durante l'estate perche' l'aria condizionata era scarsa? Quello che non sapete e' che non ci fu abbastanza acqua per raffreddare i reattori nucleari, che dovettero diminuire la loro produzione di elettricita'. Dove pensano di trovare, l'Italia e gli altri Paesi, l'acqua per raffreddare gli impianti se non l'ha trovata la Francia?

Quello che dobbiamo fare è democratizzare l’energia. La terza rivoluzione industriale significa dare potere alle persone e per la generazione cresciuta con la Rete questo è la conclusione e il completamento di questa rivoluzione, proprio come ora parliamo in Internet, centinaia di persone sono in Internet, ed è tutto gratuito, e questi possono creare il più grande, decentralizzato, network televisivo, open source, condiviso…perché non possiamo farlo con l’energia? L’Italia è l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili! Ci sono così tante e distribuite energie rinnovabili nel vostro Paese! Mi meraviglio quando vengo nel vostro Paese e vedo che non vi state muovendo nella direzione in cui si muove la Spagna, aggressivamente verso le energie rinnovabili. Per esempio, voi avete il Sole! Avete così tanto sole da Roma a Bari. Avete il Sole! Siete una penisola, avete il vento tutto il tempo, avete il mare che vi circonda, avete ricche zone geotermiche in Toscana, biomasse da Bolzano in su nel nord Italia, avete la neve, per l’idroelettrico, dalle Alpi. Voi avete molta più energia di quella che vi serve, in energie rinnovabili! Non la state usando…io non capisco. L’Italia potrebbe. Credo che, umilmente, quel che posso dire al governo italiano è: a che gioco volete giocare? Se il vostro piano è restare nelle vecchie energie, l’Italia non sarà competitiva e non potrà godere dell’effetto moltiplicatore sull’economia della terza rivoluzione industriale per muoversi nella nuova rivoluzione economica e si troverà a correre dietro a molti altri Paesi col passare del XXI secolo. Se invece l’Italia deciderà che è il momento di iniziare a muoversi verso la terza rivoluzione industriale, le opportunità per l’Italia e i suoi abitanti saranno enormi. Da anni seguo il tuo sito, vorrei che ci fossero voci come la tua in altri Paesi. Ha permesso a cosi' tante persone di impegnarsi insieme...credo sia istruttivo rispetto alla strada che dobbiamo intraprendere."

3 giugno 2008

Le otto R di Latouche - verso la Decrescita

Copioincollo da questo bel blog "alternativo" di Daria e Marco.

La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.

Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.

Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.

Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).

Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.

Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.

Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

8 aprile 2008

Per una Cultura TecnoTerritoriale

L'articolo originale si trova su Apogeo.

Per una Cultura TecnoTerritoriale
di Giorgio Jannis


Abitiamo territori biodigitali, costruiamo oggetti sociali, progettiamo sistemi complessi, espandiamo reti relazionali, popoliamo paesaggi mediatici, agiamo sul futuro. Ma le grammatiche con cui impariamo a leggere il mondo sono datate e non ci aiutano a interpretare.

Nei primi anni Settanta, quando con il microprocessore e il DNA ricombinante s'inventava la modernità post-industriale caratterizzata dall'operatività tecnologica nel dominio del microscopico, vanno rintracciate le avvisaglie dell'epoca di cambiamento che gli Esseri Umani stanno ora attraversando. Da allora, le applicazioni concrete delle innovazioni tecnologiche che arredano la nostra quotidianità hanno trasformato radicalmente gli ambienti di vita e le forme della socialità delle collettività benestanti, introducendo necessariamente al contempo nuovi schemi di pensiero e nuove assiologie di valori: come si suol dire, negli ultimi venticinque anni dello scorso secolo il mondo è cambiato tanto quanto nei due secoli precedenti.

Dalla consapevolezza che una modificazione così profonda degli habitat umani non può rimanere esterna agli individui e alle collettività (vedi Longo, Homo technologicus), ma anzi innesca quei comportamenti sociali concreti da cui poi le persone e i gruppi traggono senso di identità e di appartenenza ai Luoghi, sorgono alcuni interrogativi relativi alle modalità stesse con cui “leggiamo” queste trasformazioni del nostro abitare i territori biodigitali, domande che dovrebbero innanzitutto riguardare riflessivamente proprio la nostra stessa capacità di interpretare la realtà in rapido mutamento. Sappiamo leggere e interpretare? Ovvero abbiamo con noi delle grammatiche aggiornate per decodificare senza troppe scommesse epistemologiche il funzionamento dei nostri ambienti di vita, per poter poi meglio decidere tutti insieme sulla qualità e sul significato della parola “ben-stare”? Stiamo indossando il giusto paio di occhiali? O, prima ancora, sappiamo di indossare un paio di occhiali, quando guardiamo le nostre città, i territori degli insediamenti umani? Se siamo stati culturalmente formati – poco - a cogliere le macro-entità del mondo industriale (ciminiere, capannoni, ipermercati, dighe), siamo oggi in grado di cogliere i segni di una modernità post-industriale fatta di manufatti miniaturizzati oppure totalmente immateriali come nelle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione?

Rimane fermo il fatto che una comprensione del nostro Abitare i territori fisici o digitali in termini di Cultura TecnoTerritoriale potrebbe esserci d'aiuto nella costruzione di modelli interpretativi adeguati alla complessità delle dinamiche sociali in atto, perché i valori propri della Cultura Tecnologica – la consapevolezza di agire sul futuro, la capacità di una progettazione sistemica e contestuale, la necessità di concepire comunque reti per la distribuzione di materia, energia e informazione – permettono di leggere il territorio e i flussi antropici con l'ausilio di grammatiche potenziate e affinate da nuovi sistemi di significazione, in grado di rendere percepibili i flussi fisici delle collettività, le reti relazionali e i processi comunicativi delle rappresentazioni culturali nei paesaggi mediatici.

La consapevolezza dell'abitare in un luogo biodigitale per me è arrivata appunto riflettendo, grazie a buoni libri e a insperati incontri, sulle caratteristiche ormai intimamente tecnologiche dei territori fisici degli insediamenti umani. Sappiamo come in ogni tempo e a ogni latitudine (vedi Righetto, La scimmia aggiunta) gli esseri umani vincano il confronto con la selezione naturale per il semplice fatto di possedere tecnologie dell'intelligenza e strumentali (arnesi, protesi) con cui poter modificare la propria relazione in quanto collettività con l'ambiente che li accoglie, in un dialogo continuo intessuto da parole come "utilizzo delle risorse naturali", "produzione e distribuzione", oppure in generale da concetti come materia, energia ed informazione ed il loro vario combinarsi nei manufatti.

Essere un po' tecnologi e saper leggere il territorio dovrebbe essere una competenza diffusa, visto che noi tutti cresciamo e abitiamo in mondi tecnologici (e tutto questo va oggi moltiplicato per il nostro essere always on, permanentemente connessi). Provate a guardarvi attorno in questo preciso istante: vedrete delle cose costruite, perché noi viviamo in un Ambiente Costruito. Anche se andate in giardino o in campagna, vedrete cose frutto della tecnologia, come piante magari non autoctone geneticamente modificate da secoli di sapienti incroci, oppure in cucina vedrete Oggetti tecnologici come il prosciutto oppure la mozzarella. A pensarci bene, il Paesaggio tutto è il più grande Oggetto tecnologico prodotto dagli Esseri Umani, dove reti di ogni sorta (strade, cavi, fibreottiche, onderadio, condotte, ferrovie) tengono insieme dei Luoghi di produzione e di trasformazione, Luoghi di Abitanza dove vengono manipolate materie prime, oppure l'energia, oppure le informazioni, come nelle botteghe rinascimentali oppure nell'Ufficio dei Servizi Sociali del vostro Comune o in una redazione giornalistica, normali ambienti di vita dove i flussi di relazione e di comunicazione tra gli oggetti e le persone andranno a costituire il tessuto della socialità, in fondo anch'essa rappresentabile come reti di reti.

Se un bambino in quarta elementare comprendesse il concetto di interruttore elettrico, potrebbe forse crescendo comprendere meglio, in modo sistemico, il concetto di impianto, e quindi quello di rete energetica territoriale... potrebbe forse rispondere con maggior cognizione di causa a una domanda che gli si porrà nella sua età adulta, per esempio "che cosa modificheresti nell'attuale sistema della viabilità cittadina? dove interverresti per ottimizzare la distribuzione delle risorse ed evitare sprechi e inquinamento?". La scommessa riguarda quindi la possibilità di diffondere, a partire proprio dal sistema educativo di base, quelle competenze grammaticali che permettano di leggere il territorio e le sue conversazioni in modo reticolare e processuale (flussi e relazioni, non strutture), nonché consapevole del carattere costruito degli ambienti di vita, nel convincimento che queste scelte interpretative offrano con maggiore probabilità la possibilità di cogliere le rapide dinamiche sociali di quest'epoca di profonda transizione culturale.

Talvolta, senza calcar troppo la metafora dell'hardware e del software, immagino il territorio come la scheda madre di un computer, dove posso ad esempio trovare componenti dedicate alla gestione dell'energia, oppure interfacce, oppure ancora degli archivi di memoria: quanti gradi di separazione ci sono tra l'ufficio comunale dei Servizi Sociali di cui sopra e l'ufficio del rettore dell'Università? E tra la Centrale Idrica e il rubinetto di casa mia? Quali percorsi uniscono questi Luoghi, come si comportano ad esempio i pacchetti di informazione? E soprattutto, il mio partecipare fisicamente e mediaticamente a questi circuiti di comunicazione e di socialità, a gruppi più o meno strutturati delle collettività dove mi esprimo e da cui traggo beni e servizi, in che modo mi costruisce come cittadino e come abitante immerso consapevolmente in un flusso oggi moltiplicato dalle onorevoli Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione?

Proprio come un informatico porrebbe al centro del suo interesse professionale l'interrelazione tra il software e l'hardware, un urbanista digitale tenta di valutare le possibilità offerte alla socialità dalla presenza di ambienti biodigitali, dovenuovi manufatti e nuovi linguaggi ridisegnano la comunicazione interpersonale e l'immaginario delle collettività abitanti (vedi Sterling, La forma del futuro).

 laurenatclemsonCome Abitante, partecipo a conversazioni, e ne ricavo appartenenza. Promuovo qualità dentro i sistemi attuali, perché mettere pannelli fotovoltaici fa crescere (o meglio, decrescere) il territorio da molti punti di vista, così come realizzare percorsi ciclopedonali per far andare i bambini a scuola migliora tutta la qualità della viabilità cittadina, e gli effetti si sentono sistemicamente fino in periferia. Se poi frequento Luoghi web di abitanza digitale, partecipando a un forum tematico sulla rete Civica oppure pubblicando i miei video sui blog urbani dove si tiene traccia dei ragionamenti partecipativi degli Abitanti rispetto alle problematiche locali, contribuisco senz'altro alla costruzione corale dell'identità della collettività di cui faccio parte.

Un pensiero glocale, principi etici relativi al Ben-Stare sul territorio in modo sostenibile e rispettoso dell'impronta ecologica, una certa capacità di autonarrazione delle collettività (di dar senso a sé stesse, autopoieticamente) portano quindi alla delineazione del concetto di Doppia Abitanza come la capacità di manifestare appartenenza forte sia ai luoghi di ricorrente frequentazione ambientale e sociale, sia ambienti digitali in cui si esplicita una frequentazione per temi e campi di interesse e ricerca della proprio stile abitativo, variamente nomade o stanziale.

L'assimilazione di questo cambiamento paradigmatico capace perfino di ridefinire il sentimento dell'Abitare ci porterà auspicabilmente all'aver cura dei territori biodigitali percepiti come casa, all'arredamento degli spazi della socialità: l'urgenza di cartografare i territori digitali in particolare dovrà intrecciarsi con la consapevolezza di avere a che fare con reti di persone e pratiche sociali che si creano e si disfano continuamente, con flussi di simboli e immagini mediatiche dal valore emergente e folksonomico grazie a cui avviene – spesso in maniera conflittuale, quando il cambiamento porta a rinnovare le metafore e le visioni culturali con cui edifichiamo l'immaginario - l'allestimento degli scenari identitari abitati dagli attori individuali e gruppali di questa modernità.

28 dicembre 2007

Anche Rumiz decresce felicemente

Tratta da Repubblica.it, questa inchiesta di Paolo Rumiz prova semplicemente a fare i conti con il CO2 annidato nelle nostre scelte quotidiane. Nella scelta delle verdure, dei contenitori, dei trasporti, delle fotocopiatrici. Provando a decrescere.

Niente auto, poco cibo
la mia vita a emissioni zero

di PAOLO RUMIZ

C'è un uomo che vive al freddo, senza automobile e con la dispensa semivuota. Mangia poca carne, riutilizza la carta usata e va in bici al mercato per comprare rape sporche di terra dai contadini. E' un cuorcontento, accetta ogni restrizione e anche nei giorni di festa vive lietamente con i motori al minimo. Chi può essere? Un originale, direte. Un poveraccio con la pensione da fame.

Sbagliato. Quel tale è un paladino solitario di "Emissione-zero", uno che tenta di vivere producendo il minimo di Co2, il gas che la civiltà dello spreco spara nell'atmosfera surriscaldando la Terra e chiudendoci tutti in una cappa mortale. Uno che cerca di vivere mirando a quello zero impossibile, testardamente, per salvare il mondo che verrà.

Ecco, per una settimana ho provato a vivere così. All'osso, calcolando l'equivalente in anidride carbonica di ogni minimo atto. Ho misurato i chilometri in treno, il cibo consumato, i tempi di cottura, gli sciacquoni, e poi ho tirato le somme.

Risultato? Ho consumato metà della metà e la mia vita è cambiata. Sono diventato più ricco, più leggero, più sensibile all'insulto dello spreco. E sicuramente più ai ferri corti con un Paese che non fa nulla per premiare il consumo virtuoso.

La storia comincia quando sento parlare di una società di Legambiente dal nome trasparente di "Azzero Co2", col timbro del Kyoto Club. Telefono, dico cosa vorrei fare, spiego che vivo a Trieste, in una situazione ottimale, già di "bassa energia".

Non sono pendolare, non ho auto né lavastoviglie, sto a un secondo piano senza ascensore e ho tutto sotto casa: ufficio, negozi, stazione. La Tv l'ho buttata per manifesta inutilità; possiedo solo una radiolina a onde corte e un glorioso telefonino vecchio di sette anni.

"Lei è un virtuoso", annunciano. Ma la virtù non basta: loro vogliono accertarsi che sia anche matto abbastanza per sottomettermi alle prove più dure. Così frugano nella mia privacy, annotando ogni minuzia dei miei consumi e si buttano nel conteggio.

Elettrodomestici, caldaia, luce, eccetera: totale 2427 chilowattore annui, corrispondenti a 1578 chili di Co2, come sette frigoriferi pieni. Al giorno fanno 4,32. La metà della media europea che è di nove chili pro capite, dato confermato da Greenpeace.

"Ottimo - penso - parto in vantaggio". Invece no, non sono inclusi i trasporti, e sono proprio quelli che sballano il conto. L'aereo soprattutto, che spara gas-serra in quantità letali. Solo per ricuperare i voli di quest'anno, mi dicono, dovrei piantare alberi per una vita. Replico che sono pronto, anche a non volare più, come Terzani dopo il famoso incontro con l'Indovino. Risposta: "Intanto cominci leggendosi un bel vademecum di consumo etico".

L'inizio è terrificante. Regole penitenziali a raffica. Se fosse prescritto anche il caffè di cicoria, sarebbe un perfetto manuale di autarchia fascista. Ma è una guerra necessaria: Co2 è in agguato ovunque. Nei cibi refrigerati e nelle lunghe cotture. Nelle confezioni luccicanti di plastica e nel cibo che ha alle spalle grandi distanze di trasporto camion. Soprattutto nella carne, perché il foraggio inquina cento volte più del letame.

Scopro che la mia vita va rivoltata come un calzino. Devo acquistare il pane sotto casa; comprare verdure di stagione, meglio se locali; fare scorta di legumi secchi e abbandonare l'acqua minerale. E poi luci a basso consumo, riscaldamento minimo, docce brevi non quotidiane e - ovviamente - raccolta differenziata della spazzatura. Ultimo sigillo: viaggiare meno. Solo treno e bicicletta.

Mi dicono che avrò a disposizione consulenti "etici", pronti a sciogliere i miei dubbi e a calcolare l'effetto-Co2 delle mie giornate, sulla base di un rapporto quotidiano che mi impegno a mandare. "Lo zero se lo scordi - mi smontano in partenza - a quello non arriva neanche un monaco tibetano". Chiedo almeno quale può essere un buon obiettivo. Risposta lapidaria: "Il massimo". Tanta è l'apnea della Terra.

MERCOLEDI' - PRIMO GIORNO
Mi sento sommerso di divieti, come un ebreo osservante cui è prescritto anche il piede con cui scendere dal letto. Dio mio, se devo stare attento a ogni boccone che mangio, al compostaggio, al riciclaggio eccetera, il mio diventa uno sforzo monomaniaco, e allora dove va a finire l'etica se non ho più tempo per accorgermi del mendicante sotto casa? E poi come racconterò tutto questo? Elencare una serie di piccoli gesti sparagnini è una noia mortale; come tenere un diario di bordo restando chiusi in cambusa. Una sfida narrativa oltre che ecologica.

Per cominciare azzero tutto, nel timore di sbagliare. Per un giorno, niente riscaldamento, acquisti, spostamenti. Posso farlo, la dispensa è piena, non ho viaggi in vista e fuori fa un caldo schifoso. M'accorgo che posso cucinare anche senza il fuoco, così mi regalo un pranzo con acciughe marinate, pane e spinaci crudi col parmigiano a scaglie. Funziona, ma sono pieno di dubbi. E' Natale ma sul mio tavolo è quaresima. E poi che senso ha tirare la cinghia se il mondo continua a vomitare gas fottendosene del domani? A fine giornata mi sento strano e leggero, come dopo un Ramadan.

GIOVEDI' - SECONDO GIORNO
Avvio energico. Avvito una cassetta sul retro della bici e, così bardato, affronto il mercato ortofrutticolo. In un angolo trovo un contadino che ha steso a terra un tappeto di meraviglie dimenticate. Verze terragne, crauti, aglio piccolo e pestilenziale, miele di ape dalmatica, uova ruspanti. Compro rape e cachi. Non un'occhiata alle fragole spagnole e ai pomodori di serra. Spendo la metà del solito e mi faccio pure una chiacchierata. Intanto arriva la buona notizia: la prima giornata è andata bene: 1.57 chili di Co2. Grande.

Ma la sera mi chiama Repubblica, l'indomani mi spediscono a Monza per servizio ed è chiaro che il viaggio sballerà la media Co2. Ma è meglio così, lo scontro si fa duro. Così scelgo il massimo: solo treno, niente taxi e partenza con bici al seguito. Cominciano le sorprese: gli Eurostar non hanno il vano necessario al trasporto. In Italia le due ruote viaggiano solo su polverosi regionali, il che vuol dire cambi continui e tempi da tradotta del Piave.

Comincio a capire. La mia è una guerriglia, un atto eversivo. Devo rassegnarmi ad avere il sistema contro. Tengo duro, cerco ancora, finché scopro sull'orario cartaceo che un treno veloce col porta-bici esiste. Va a Schaffhausen, Svizzera. L'unico, in tutto il Grande Nord. Dai, che ce la fai.

La bici comporta altre complicazioni. La liturgia del bagaglio cambia completamente. Devo dividerlo in due sacche e metterci accanto lo zainetto da computer. Come ricambio, niente camicie: solo magliette che non si stirano. Un salutare esercizio di alleggerimento.

Dovrei anche cercare un albergo eco-compatibile - c'è una guida apposita che li elenca - ma è troppo complicato e chiedo a un amico di ospitarmi. Sotto casa scopro un'osteria nuova, mi faccio un baccalà in umido e un calice di rosso. Per la prima volta sono ottimista: a fine giornata ho prodotto 1.22 kg di Co2. Un po' meglio di ieri.

VENERDI' - TERZO GIORNO
Dal treno per Venezia vedo migliaia di camion fermi in una nube di Co2. Tradotte di agnelli dall'Ungheria alle Calabrie, yogourth francesi diretti in Friuli. Lo sciopero-incubo è finito da una settimana e tutto è come prima. L'Italia ostaggio dei Tir, come il Cile di Allende.

A Mestre piazzo le due ruote sull'Intercity. Nella tratta italiana il vano-bici non lo usa nessuno, è tristemente vuoto. In carrozza la gente mi guarda strano. Esco dagli schemi: viaggio con un mezzo povero, ma porto una cravatta elegante e un cappello da rabbino (naturalmente l'ho fatto apposta).

A Vicenza mi si siede accanto una mamma ansiogena con due bambini-mostri. Il dialogo si limita al cibo: tavola pancino fame prosciutto mangia bevi ancora basta finisci gnam gnam. Il maschietto ripete: mio mio mio. Poi, guardando il vuoto: io io io io. Conosce solo l'ausiliare "voglio". Ignora il "posso" e il "devo". Risate, urla, colpi ai tavolini senza timore di punizioni. E' chiaro: sono i bambini il primo anello della catena dello spreco. Ai bambini non si nega nulla. Il livello mondiale di Co2 dipende anche da loro.

Il bar della stazione di Milano è una mostruosa macchina di rifiuti. In un minuto vedo sparire nelle borse dei viaggiatori tonnellate di confezioni di plastica. Fuori l'aria è irrespirabile, inghiotto polveri sottili per una settimana. Ma è un avvelenamento utile: aumenta la rabbia e la voglia di cambiare. Sento che in me sta avvenendo una trasformazione irreversibile.

La sera a Monza piove. Non demordo, pedalo nel buio in mezzo a villette blindate, tra soli immigrati, fino a destinazione, un condominio di periferia. A intervista finita mi chiedono di restare a cena. Accetto, ma è un clamoroso errore. Per restare nella norma devo rinunciare al meglio: lo stufato di manzo, perché ha consumato troppo gas. Ci ridiamo su, ma io torno a Milano-Centrale scornato, bici-treno nella nebbia tra torvi pendolari lumbard.

SABATO - QUARTO GIORNO
Rientro a casa. A Mestre tutti i treni sono in ritardo ma in compenso quaranta megaschermi sparano in simultanea pubblicità per intontire l'utenza. Un costo spaventoso in termini di inquinamento, acustico e atmosferico. Ma nessuno si ribella, siamo una repubblica delle babane. Tacere, obbedire, consumare.
La carrozza per Trieste è surriscaldata (mi prendo un raffreddore da fieno) e piena di telefonini sintonizzati sul nulla. Ragazzi ridono ascoltando da un computer una voce che gracchia minacce anti-immigrati in un veneto barbarico condito di bestemmie. Torno a casa nella pioggia, stanchissimo, ma la performance Co2 del viaggio è buona: 26.81 (14.40 + 12.41) in due giorni, tutto compreso.

DOMENICA - QUINTO GIORNO
Vado in centro, tra le luminarie. Gli italiani saranno anche più poveri ma i loro carrelli sono stracolmi. In un Paese che frana riempire la dispensa è una terapia ansiolitica, l'unica consentita. Dilapidare, per non pensare che si sta dilapidando. Ma la paura affiora negli sguardi. E' quasi Natale e nessuno sorride. A me sembra invece di sentire le feste per la prima volta dopo anni.

Approfitto della domenica, vado in ufficio e metto la stanza in assetto-risparmio. Nella risma della fotocopiatrice piazzo fogli già usati da un lato, poi elimino ogni situazione di stand-by e faccio strage di luci inutili. E la sera, visto che ho un cesto di pane secco, metto a mollo le pagnotte per fare gli gnocchi. Ricetta della nonna, con aggiunta di speck, aglio, formaggio, prezzemolo eccetera. Vengono una meraviglia, e la performance migliora ancora: 0.97.

LUNEDI', NATALE - SESTO GIORNO
E' Natale e faccio la rivoluzione. Chiudo il freezer, tanto non serve. Visto che è dicembre, metto in terrazza una dispensa per le verdure. Sposto il tavolo vicino alla finestra per consumare meno luce. Compro due prese elettriche intelligenti, che si disattivano quando le batterie del telefonino o computer sono cariche. Installo in bagno un rompi-getto, che dimezza i consumi. Ordino un carica-telefonino da bici che sfrutta l'energia della pedalata.

Ormai ci ho preso gusto. Sostituisco il dentifricio col bicarbonato. Elimino i sacchi di plastica della spesa e metto accanto alla porta una borsa con le ruote. Poi divido le immondizie alla tedesca. Cinque contenitori: vetro, plastica, cibo e carta, divisa tra confezioni alimentari e giornali. E' un atto solo simbolico - nella civilissima Trieste non esiste raccolta differenziata - ma che importa: mi serve come autodisciplina e a capire quanto spreco. La prima somma è stupefacente: in cinque giorni la spazzatura si è dimezzata.

Mi chiedo: perché, accanto alla Costituzione, a scuola non si insegna anche consumo etico? Perché i presidi non smantellano quegli osceni distributori di merendine? Mi accorgo di tante cose, per esempio che i negozi di cose "biologiche" hanno spesso prezzi immorali e vendono roba che ha alle spalle trasporti lunghissimi. Un imbroglio per ricchi e malati terminali.

Un amico mi sfotte, dice che lo sforzo è patetico e il mondo affonderà lo stesso. Rispondo che la parola "Economia" viene dal greco e significa "gestione della casa". Vuol dire che gli antichi sapevano: il mondo si cambia partendo dal proprio piccolo. Sì, sento che funziona. Sono entrato a regime: il bilancio della giornata è ottimo: 0.75. E' una settimana che non accendo il riscaldamento e l'idea che Putin - il "genio" della fiamma azzurra nel mio bollitore - abbia guadagnato meno, mi fa godere.

MARTEDI' - ULTIMO GIORNO
Invece dell'abete natalizio, che non ho mai comprato, trovo dai Forestali una piantina di quercia e salgo a piantarla in un parco di periferia. Scopo della missione: compensare l'anidride emessa nel viaggio a Milano. Per coerenza ci vado a piedi, seguendo le prescrizioni di Kyoto. Poi torno in città felice, con le mani sporche di terra e una fame da bestie. Così ho santificato le feste.

Chiudo la mia settimana "all'osso" invitando a casa tre amici. Cena natalizia autarchica: tonno marinato con sedano e cipolla, seppie in umido. Al posto delle lampadine, candele; e così scopro che con la luce bassa ci di diverte di più. C'è un gran discettare di consumi, la storia di Co2 appassiona tutti. Il risultato del giorno è ottimo: 0.36. Un decimo della mia già virtuosa base di partenza.

Festeggiamo con coppe di yogurth coperto di miele e mirtilli secchi, poi una grappa di Ribolla. In una settimana ho messo a segno una media-record di kg. 0.84 di Co2, che sale a 4.52 con tutto il viaggio a Milano (senza lo sconto dell'albero piantato). E' stato difficile? Per niente. A Natale finito ripenso ai supermarket, agli schieramenti di inutilità luccicanti, e mi sembra di rivedere i reduci malconci di una guerra perduta, mille anni fa.

(28 dicembre 2007)