28 dicembre 2007

Anche Rumiz decresce felicemente

Tratta da Repubblica.it, questa inchiesta di Paolo Rumiz prova semplicemente a fare i conti con il CO2 annidato nelle nostre scelte quotidiane. Nella scelta delle verdure, dei contenitori, dei trasporti, delle fotocopiatrici. Provando a decrescere.

Niente auto, poco cibo
la mia vita a emissioni zero

di PAOLO RUMIZ

C'è un uomo che vive al freddo, senza automobile e con la dispensa semivuota. Mangia poca carne, riutilizza la carta usata e va in bici al mercato per comprare rape sporche di terra dai contadini. E' un cuorcontento, accetta ogni restrizione e anche nei giorni di festa vive lietamente con i motori al minimo. Chi può essere? Un originale, direte. Un poveraccio con la pensione da fame.

Sbagliato. Quel tale è un paladino solitario di "Emissione-zero", uno che tenta di vivere producendo il minimo di Co2, il gas che la civiltà dello spreco spara nell'atmosfera surriscaldando la Terra e chiudendoci tutti in una cappa mortale. Uno che cerca di vivere mirando a quello zero impossibile, testardamente, per salvare il mondo che verrà.

Ecco, per una settimana ho provato a vivere così. All'osso, calcolando l'equivalente in anidride carbonica di ogni minimo atto. Ho misurato i chilometri in treno, il cibo consumato, i tempi di cottura, gli sciacquoni, e poi ho tirato le somme.

Risultato? Ho consumato metà della metà e la mia vita è cambiata. Sono diventato più ricco, più leggero, più sensibile all'insulto dello spreco. E sicuramente più ai ferri corti con un Paese che non fa nulla per premiare il consumo virtuoso.

La storia comincia quando sento parlare di una società di Legambiente dal nome trasparente di "Azzero Co2", col timbro del Kyoto Club. Telefono, dico cosa vorrei fare, spiego che vivo a Trieste, in una situazione ottimale, già di "bassa energia".

Non sono pendolare, non ho auto né lavastoviglie, sto a un secondo piano senza ascensore e ho tutto sotto casa: ufficio, negozi, stazione. La Tv l'ho buttata per manifesta inutilità; possiedo solo una radiolina a onde corte e un glorioso telefonino vecchio di sette anni.

"Lei è un virtuoso", annunciano. Ma la virtù non basta: loro vogliono accertarsi che sia anche matto abbastanza per sottomettermi alle prove più dure. Così frugano nella mia privacy, annotando ogni minuzia dei miei consumi e si buttano nel conteggio.

Elettrodomestici, caldaia, luce, eccetera: totale 2427 chilowattore annui, corrispondenti a 1578 chili di Co2, come sette frigoriferi pieni. Al giorno fanno 4,32. La metà della media europea che è di nove chili pro capite, dato confermato da Greenpeace.

"Ottimo - penso - parto in vantaggio". Invece no, non sono inclusi i trasporti, e sono proprio quelli che sballano il conto. L'aereo soprattutto, che spara gas-serra in quantità letali. Solo per ricuperare i voli di quest'anno, mi dicono, dovrei piantare alberi per una vita. Replico che sono pronto, anche a non volare più, come Terzani dopo il famoso incontro con l'Indovino. Risposta: "Intanto cominci leggendosi un bel vademecum di consumo etico".

L'inizio è terrificante. Regole penitenziali a raffica. Se fosse prescritto anche il caffè di cicoria, sarebbe un perfetto manuale di autarchia fascista. Ma è una guerra necessaria: Co2 è in agguato ovunque. Nei cibi refrigerati e nelle lunghe cotture. Nelle confezioni luccicanti di plastica e nel cibo che ha alle spalle grandi distanze di trasporto camion. Soprattutto nella carne, perché il foraggio inquina cento volte più del letame.

Scopro che la mia vita va rivoltata come un calzino. Devo acquistare il pane sotto casa; comprare verdure di stagione, meglio se locali; fare scorta di legumi secchi e abbandonare l'acqua minerale. E poi luci a basso consumo, riscaldamento minimo, docce brevi non quotidiane e - ovviamente - raccolta differenziata della spazzatura. Ultimo sigillo: viaggiare meno. Solo treno e bicicletta.

Mi dicono che avrò a disposizione consulenti "etici", pronti a sciogliere i miei dubbi e a calcolare l'effetto-Co2 delle mie giornate, sulla base di un rapporto quotidiano che mi impegno a mandare. "Lo zero se lo scordi - mi smontano in partenza - a quello non arriva neanche un monaco tibetano". Chiedo almeno quale può essere un buon obiettivo. Risposta lapidaria: "Il massimo". Tanta è l'apnea della Terra.

MERCOLEDI' - PRIMO GIORNO
Mi sento sommerso di divieti, come un ebreo osservante cui è prescritto anche il piede con cui scendere dal letto. Dio mio, se devo stare attento a ogni boccone che mangio, al compostaggio, al riciclaggio eccetera, il mio diventa uno sforzo monomaniaco, e allora dove va a finire l'etica se non ho più tempo per accorgermi del mendicante sotto casa? E poi come racconterò tutto questo? Elencare una serie di piccoli gesti sparagnini è una noia mortale; come tenere un diario di bordo restando chiusi in cambusa. Una sfida narrativa oltre che ecologica.

Per cominciare azzero tutto, nel timore di sbagliare. Per un giorno, niente riscaldamento, acquisti, spostamenti. Posso farlo, la dispensa è piena, non ho viaggi in vista e fuori fa un caldo schifoso. M'accorgo che posso cucinare anche senza il fuoco, così mi regalo un pranzo con acciughe marinate, pane e spinaci crudi col parmigiano a scaglie. Funziona, ma sono pieno di dubbi. E' Natale ma sul mio tavolo è quaresima. E poi che senso ha tirare la cinghia se il mondo continua a vomitare gas fottendosene del domani? A fine giornata mi sento strano e leggero, come dopo un Ramadan.

GIOVEDI' - SECONDO GIORNO
Avvio energico. Avvito una cassetta sul retro della bici e, così bardato, affronto il mercato ortofrutticolo. In un angolo trovo un contadino che ha steso a terra un tappeto di meraviglie dimenticate. Verze terragne, crauti, aglio piccolo e pestilenziale, miele di ape dalmatica, uova ruspanti. Compro rape e cachi. Non un'occhiata alle fragole spagnole e ai pomodori di serra. Spendo la metà del solito e mi faccio pure una chiacchierata. Intanto arriva la buona notizia: la prima giornata è andata bene: 1.57 chili di Co2. Grande.

Ma la sera mi chiama Repubblica, l'indomani mi spediscono a Monza per servizio ed è chiaro che il viaggio sballerà la media Co2. Ma è meglio così, lo scontro si fa duro. Così scelgo il massimo: solo treno, niente taxi e partenza con bici al seguito. Cominciano le sorprese: gli Eurostar non hanno il vano necessario al trasporto. In Italia le due ruote viaggiano solo su polverosi regionali, il che vuol dire cambi continui e tempi da tradotta del Piave.

Comincio a capire. La mia è una guerriglia, un atto eversivo. Devo rassegnarmi ad avere il sistema contro. Tengo duro, cerco ancora, finché scopro sull'orario cartaceo che un treno veloce col porta-bici esiste. Va a Schaffhausen, Svizzera. L'unico, in tutto il Grande Nord. Dai, che ce la fai.

La bici comporta altre complicazioni. La liturgia del bagaglio cambia completamente. Devo dividerlo in due sacche e metterci accanto lo zainetto da computer. Come ricambio, niente camicie: solo magliette che non si stirano. Un salutare esercizio di alleggerimento.

Dovrei anche cercare un albergo eco-compatibile - c'è una guida apposita che li elenca - ma è troppo complicato e chiedo a un amico di ospitarmi. Sotto casa scopro un'osteria nuova, mi faccio un baccalà in umido e un calice di rosso. Per la prima volta sono ottimista: a fine giornata ho prodotto 1.22 kg di Co2. Un po' meglio di ieri.

VENERDI' - TERZO GIORNO
Dal treno per Venezia vedo migliaia di camion fermi in una nube di Co2. Tradotte di agnelli dall'Ungheria alle Calabrie, yogourth francesi diretti in Friuli. Lo sciopero-incubo è finito da una settimana e tutto è come prima. L'Italia ostaggio dei Tir, come il Cile di Allende.

A Mestre piazzo le due ruote sull'Intercity. Nella tratta italiana il vano-bici non lo usa nessuno, è tristemente vuoto. In carrozza la gente mi guarda strano. Esco dagli schemi: viaggio con un mezzo povero, ma porto una cravatta elegante e un cappello da rabbino (naturalmente l'ho fatto apposta).

A Vicenza mi si siede accanto una mamma ansiogena con due bambini-mostri. Il dialogo si limita al cibo: tavola pancino fame prosciutto mangia bevi ancora basta finisci gnam gnam. Il maschietto ripete: mio mio mio. Poi, guardando il vuoto: io io io io. Conosce solo l'ausiliare "voglio". Ignora il "posso" e il "devo". Risate, urla, colpi ai tavolini senza timore di punizioni. E' chiaro: sono i bambini il primo anello della catena dello spreco. Ai bambini non si nega nulla. Il livello mondiale di Co2 dipende anche da loro.

Il bar della stazione di Milano è una mostruosa macchina di rifiuti. In un minuto vedo sparire nelle borse dei viaggiatori tonnellate di confezioni di plastica. Fuori l'aria è irrespirabile, inghiotto polveri sottili per una settimana. Ma è un avvelenamento utile: aumenta la rabbia e la voglia di cambiare. Sento che in me sta avvenendo una trasformazione irreversibile.

La sera a Monza piove. Non demordo, pedalo nel buio in mezzo a villette blindate, tra soli immigrati, fino a destinazione, un condominio di periferia. A intervista finita mi chiedono di restare a cena. Accetto, ma è un clamoroso errore. Per restare nella norma devo rinunciare al meglio: lo stufato di manzo, perché ha consumato troppo gas. Ci ridiamo su, ma io torno a Milano-Centrale scornato, bici-treno nella nebbia tra torvi pendolari lumbard.

SABATO - QUARTO GIORNO
Rientro a casa. A Mestre tutti i treni sono in ritardo ma in compenso quaranta megaschermi sparano in simultanea pubblicità per intontire l'utenza. Un costo spaventoso in termini di inquinamento, acustico e atmosferico. Ma nessuno si ribella, siamo una repubblica delle babane. Tacere, obbedire, consumare.
La carrozza per Trieste è surriscaldata (mi prendo un raffreddore da fieno) e piena di telefonini sintonizzati sul nulla. Ragazzi ridono ascoltando da un computer una voce che gracchia minacce anti-immigrati in un veneto barbarico condito di bestemmie. Torno a casa nella pioggia, stanchissimo, ma la performance Co2 del viaggio è buona: 26.81 (14.40 + 12.41) in due giorni, tutto compreso.

DOMENICA - QUINTO GIORNO
Vado in centro, tra le luminarie. Gli italiani saranno anche più poveri ma i loro carrelli sono stracolmi. In un Paese che frana riempire la dispensa è una terapia ansiolitica, l'unica consentita. Dilapidare, per non pensare che si sta dilapidando. Ma la paura affiora negli sguardi. E' quasi Natale e nessuno sorride. A me sembra invece di sentire le feste per la prima volta dopo anni.

Approfitto della domenica, vado in ufficio e metto la stanza in assetto-risparmio. Nella risma della fotocopiatrice piazzo fogli già usati da un lato, poi elimino ogni situazione di stand-by e faccio strage di luci inutili. E la sera, visto che ho un cesto di pane secco, metto a mollo le pagnotte per fare gli gnocchi. Ricetta della nonna, con aggiunta di speck, aglio, formaggio, prezzemolo eccetera. Vengono una meraviglia, e la performance migliora ancora: 0.97.

LUNEDI', NATALE - SESTO GIORNO
E' Natale e faccio la rivoluzione. Chiudo il freezer, tanto non serve. Visto che è dicembre, metto in terrazza una dispensa per le verdure. Sposto il tavolo vicino alla finestra per consumare meno luce. Compro due prese elettriche intelligenti, che si disattivano quando le batterie del telefonino o computer sono cariche. Installo in bagno un rompi-getto, che dimezza i consumi. Ordino un carica-telefonino da bici che sfrutta l'energia della pedalata.

Ormai ci ho preso gusto. Sostituisco il dentifricio col bicarbonato. Elimino i sacchi di plastica della spesa e metto accanto alla porta una borsa con le ruote. Poi divido le immondizie alla tedesca. Cinque contenitori: vetro, plastica, cibo e carta, divisa tra confezioni alimentari e giornali. E' un atto solo simbolico - nella civilissima Trieste non esiste raccolta differenziata - ma che importa: mi serve come autodisciplina e a capire quanto spreco. La prima somma è stupefacente: in cinque giorni la spazzatura si è dimezzata.

Mi chiedo: perché, accanto alla Costituzione, a scuola non si insegna anche consumo etico? Perché i presidi non smantellano quegli osceni distributori di merendine? Mi accorgo di tante cose, per esempio che i negozi di cose "biologiche" hanno spesso prezzi immorali e vendono roba che ha alle spalle trasporti lunghissimi. Un imbroglio per ricchi e malati terminali.

Un amico mi sfotte, dice che lo sforzo è patetico e il mondo affonderà lo stesso. Rispondo che la parola "Economia" viene dal greco e significa "gestione della casa". Vuol dire che gli antichi sapevano: il mondo si cambia partendo dal proprio piccolo. Sì, sento che funziona. Sono entrato a regime: il bilancio della giornata è ottimo: 0.75. E' una settimana che non accendo il riscaldamento e l'idea che Putin - il "genio" della fiamma azzurra nel mio bollitore - abbia guadagnato meno, mi fa godere.

MARTEDI' - ULTIMO GIORNO
Invece dell'abete natalizio, che non ho mai comprato, trovo dai Forestali una piantina di quercia e salgo a piantarla in un parco di periferia. Scopo della missione: compensare l'anidride emessa nel viaggio a Milano. Per coerenza ci vado a piedi, seguendo le prescrizioni di Kyoto. Poi torno in città felice, con le mani sporche di terra e una fame da bestie. Così ho santificato le feste.

Chiudo la mia settimana "all'osso" invitando a casa tre amici. Cena natalizia autarchica: tonno marinato con sedano e cipolla, seppie in umido. Al posto delle lampadine, candele; e così scopro che con la luce bassa ci di diverte di più. C'è un gran discettare di consumi, la storia di Co2 appassiona tutti. Il risultato del giorno è ottimo: 0.36. Un decimo della mia già virtuosa base di partenza.

Festeggiamo con coppe di yogurth coperto di miele e mirtilli secchi, poi una grappa di Ribolla. In una settimana ho messo a segno una media-record di kg. 0.84 di Co2, che sale a 4.52 con tutto il viaggio a Milano (senza lo sconto dell'albero piantato). E' stato difficile? Per niente. A Natale finito ripenso ai supermarket, agli schieramenti di inutilità luccicanti, e mi sembra di rivedere i reduci malconci di una guerra perduta, mille anni fa.

(28 dicembre 2007)

19 dicembre 2007

Tramonto (sasakifujika dixit)

Piano urgente per le scuole medie
Fioroni: "Non sanno perché fa notte"

di SALVO INTRAVAIA

fonte: la Repubblica.it

Le scuole medie italiane avranno nei prossimi mesi a disposizione cinque milioni di euro per organizzare corsi di recupero in Matematica e Italiano. Per l'Italia è la prima volta in assoluto. Il perché lo spiega lo stesso ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, che questa mattina ha firmato una direttiva in cui, tra l'altro, si stabiliscono "le strategie di intervento, le attività di sostegno e di recupero e le modalità di utilizzazione del personale". A convincere l'inquilino di viale Trastevere che era necessario intervenire con urgenza è stata l'ultima bocciatura appioppata al nostro Paese dall'indagine Ocse-Pisa.

La figuraccia rimediata nelle cosiddette literacy (alfabetizzazione) in Matematica, Scienze e Lettura dai quindicenni italiani è stata definita dallo stesso ministro "un'emergenza non solo della scuola italiana ma di tutto il sistema paese". "Per questo - spiega Fioroni - porrò la questione al prossimo Consiglio dei ministri e, dopo Natale, in un incontro con il premier, Romano Prodi, e il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, per mettere rapidamente in atto un piano straordinario che coinvolga anche la riqualificazione e aggiornamento professionale dei docenti".

Ma come mai tanto allarme? Dai questionari somministrati per il Pisa 2006 ad oltre 21 mila quindicenni italiani emerge un livello di conoscenze piuttosto scarso se si considera il livello altamente tecnologico dell'ambiente in cui vivono i nostri adolescenti. Il 62 per cento non sa "il perché del giorno e della notte". La stragrande maggioranza non sa spiegare, dunque, che l'alternanza del giorno e della notte è dovuto alla rotazione della terra intorno al proprio asse.

E le cose non vanno meglio se si passa alla Matematica o alla Lettura. Tre ragazzini su 10 non sono capaci di "interpretare" una semplice formula come quella del "Tasso di cambio" da una valuta ad un'altra. E la "lettura" di un semplice grafico diventa una difficoltà insormontabile per un quarto degli alunni. Tutte operazioni che i quindicenni delle altre nazioni europee, in particolar modo dei paesi nordici, e asiatiche sanno svolgere con maggiore disinvoltura.

L'intervento a supporto dei ragazzini delle prime classi della scuola media, con un finanziamento di 5 milioni, mira a combattere la dispersione scolastica e a vincere "la sfida per recuperare al successo scolastico e formativo migliaia di giovani come stabilito dell'agenda di Lisbona". Perché "quasi tutti i debiti formativi dei primi due anni delle scuole superiori - spiega Fioroni - nascono da carenze già emerse negli anni di studio precedenti".
Stesso discorso per le migliaia di studenti che, in possesso di una preparazione traballante, appena si affacciano alla scuola superiore vanno incontro ad una bocciatura. Per questo il ministro della Pubblica istruzione ha deciso di incrementare il fondo per organizzare i corsi di recupero e sostegno. Saranno 320 i milioni che le scuole superiori potranno utilizzare nel 2008. A conti fatti, fa sapere Fioroni, con questa cifra sarà possibile per ogni singolo ragazzo promosso con debito seguire due moduli di recupero di 15 ore. Basteranno a recuperare tutte le lacune di un anno?

Ma, oltre agli studenti, l'attenzione del ministro è rivolta anche ai professori. "Oltre ad attività specifiche di recupero e sostegno, gli insegnanti potranno attivare appropriate strategie di apprendimento in un rinnovato impegno professionale". Occorre, insomma, riqualificare i docenti italiani, la cui età media è di 50 anni, che sarebbero un po' troppo un troppo vecchi per offrire un insegnamento "moderno". E' lo stesso Fioroni a fornire una dato che spicca su tutti: in tutta la scuola media italiana ci sono soltanto due professori di Matematica sotto i 31 anni. "Soltanto con una coralità di sforzo del personale docente, degli studenti e delle famiglie si può invertire la tendenza. Il piano straordinario di aggiornamento dei docenti dovrà quindi iniziare dalla scuola media", ha concluso Fioroni spiegando che "non si tratta di trovare un capro espiatorio ma di mettere mano dove le lacune si sono dimostrate più evidenti".
(19 dicembre 2007)


18 dicembre 2007

Social network

Social Network

Cosa sono i Social Network e come funzionano. Dalle architetture per la gestione dell'informazione ai sistemi di relazione tra persone.

Interessante video divulgativo, su ICTV.



16 dicembre 2007

Decrescita Felice


"In fondo lo Stato dovrà organizzare un impoverimento costruttivo, mirato"

Ecco qui il link per un bell'articolo di Barbara Spinelli su La Stampa di oggi, eloquentemente intitolato "La festa è finita" come l'omonimo libro dell'accademico Richard Heinberg (Fazi 2004).
Lo spunto è dato dalla necessità di prendere seriamente in esame qualche strategia per fronteggiare il disastro ambientale verso cui stiamo conducendo il pianeta, e necessariamente ne conseguono delle considerazioni più ampie, riguardanti l'economia, la politica, il modo stesso di abitare il pianeta da parte di un'umanità che si crede consapevole e onnipotente, ed invece non è nemmeno in grado di percepire il problema in tutte le sue componenti e in tutta la sua portata.

Alcune frasi interessanti:
  • obsoleta è ogni distinzione tra vicino e lontano
  • l’Europa ... è percepita come avanguardia
  • i negoziati sul clima, la collera dei camionisti per l’aumento del gasolio, gli aumenti di pasta, latte, grano, carne, sono tutti eventi collegati tra loro
  • è tempo di cambiare parole cui eravamo avvezzi, dottrine che sembravano sicure, abitudini.
  • c’è di nuovo bisogno di Stato, di forza della politica. Solo la politica può frenare il precipizio, perché frenarlo vuol dire pagare prezzi ben salati, tassare la gente in nome del pianeta, spendere meno, consumare diversamente, tener conto del mondo e non solo di se stessi.
  • avremo case meno scaldate, pagheremo alte imposte, saremo un po’ più poveri
  • lo Stato dovrà organizzare un impoverimento costruttivo, mirato.
    • la prima metamorfosi riguarda il rapporto tra politica, mezzi di comunicazione e scienza
    • seconda metamorfosi costi di riparazione del pianeta
    • terza metamorfosi riguarda ciascuno di noi: produttori o consumatori.
Nell’apocalisse sono due le vie. Una è quella del tutto è permesso: festeggiamo, visto che non avremo discendenti. L’altra prepara il futuro, trattiene il disastro con l’azione. Nel secondo capitolo della Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, si parla del katèchon che trattiene la venuta del Male con mezzi terreni, in attesa di interventi divini. Il katèchon per gli stoici è qualcosa di più semplice: è fare il proprio dovere, rispettando l’altro e la natura anche se la terra viaggia verso la conflagrazione.

Grazie a Ferruccio Nilia per la segnalazione via sms: l'articolo completo si trova qui.

13 dicembre 2007

Abitanza digitale a Pordenone

Crosspost da [ semioblog ]

Alla fine a Pordenone l'altro giorno ho passato un pomeriggio piacevole, con una platea abbastanza folta e incuriosita da questo progetto cittadino della connettività wifi con eDemocracy incorporata che li riguarda direttamente. Un signore di una certa età ha voluto sapere per bene eventuali spese tasse balzelli, ma gli è stato assicurato che la connettività è garantita gratuita per i cittadini e anche per quelli che vengono da fuori, con delle password specifiche.

A me piacerebbe sentir dire che si tratta proprio di un diritto dei cittadini, dalla nascita. Diritto di banda. Ci arriveremo. E misureremo anche il grado di civiltà delle collettività planetarie in base alla banda disponibile pro-capite, dice uno che conosco.

Ad un certo punto nella mia relazione - la trovate a questo indirizzo, per provare l'ho fatta con GooglePresentazioni - racconto di come in questo momento storico di edificazione "urbanistica" degli spazi sociali online sia credo importante riuscire a costruire collaborativamente da parte degli Attori sociali di un territorio una grammatica dei Luoghi rilevanti, dove alla semantica dei nodi delle reti socioterritoriali esistenti (PA, proloco, servizi, terzosettore, associazioni, gruppi, sportivi, parroco, scuola buddista, comunità cinese, biblioteche, negozi, imprese, etc.: ciascuna entità produrrà e manterrà una immagine di sé dentro la Rete Civica online) bisogna aggiungere una sintassi delle relazioni tra i nodi: qui un valido aiuto lo offre la Cultura TecnoTerritoriale, nel mostrare le reti tecnologiche di produzione e distribuzione che da secoli innervano il Comune di Pordenone, e che vanno mediaticamente rappresentate nelle linee relazionali tra portatori di interesse, dentro le comunità digitali territoriali.

E' argomento che mi affascina molto, questo della costruzione delle identità web come rappresentazione o ri-modellazione delle collettività territoriali. C'è di mezzo un passaggio, un accorrere di simboli, avatar gruppali.
In realtà si tratta come al solito di identità in progress, che auspicabilmente saranno in grado di narrativizzare sé stesse, sapranno leggersi, e quindi progettarsi (dopo il saper leggere, il saper scrivere) coerentemente con i valori di Abitanza digitali che emergeranno dal calderone delle community.

Questo comporta però una postura progettuale attenta alle strategie identitarie dei gruppi sociali e relative dinamiche comunicative, ma soprattutto una consapevolezza sui limiti stessi del progettare: come sento dire da più parti, bisogna progettare meno. Lasciare il tempo alle cose, aver fiducia.
Soprattutto poi quando si cerca proprio di trarre indicazioni di tipo folksonomy nel progettare flussi informativi e relazionali, potrebbe essere buona cosa approntare dei contenitori generici o comunque abbastanza destrutturati (la cosa può creare ansia, ma si può fronteggiare con linguaggio appropriato e procedure snelle) dove possano incontrarsi le idee e nascere dei motori di socialità digitale.

Saluto nuovamente Sergio, che sta facendo un ottimo lavoro per la sua città, e gli auguro buon viaggio e buon divertimento verso questo convegno eccezionale di Matera, intitolato "La nuova grammatica digitale per comunicare la promozione del territorio. Dai linguaggi della rete all’esperienza di Second Life"; già aspetto impaziente le relazioni online degli invitati.

Riciclaggio mentale

Un bel video: come ricavare delle scope dalle bottiglie in plastica PET

12 dicembre 2007

Tecnologia e istruzione: una visione buddista

Luca Chittaro racconta l'incontro che il Dalai Lama ha avuto con gli studenti di Udine.
Interpellato sulla tecnologia e l'istruzione, quest'ultimo dice:

Grazie alla tecnologia, viviamo in un mondo sempre piu' interconnesso. Dobbiamo riflettere sugli effetti di ogni nostra azione su tutti e su tutto il mondo perche' siamo sempre piu' interdipendenti. La globalizzazione ci richiede di introdurre il concetto di "responsabilita' globale". Dobbiamo puntare al benessere globale, sentirci come genere umano parte di una cosa sola. Non essere compassionevoli solo in cambio di una gratificazione di nostri piccoli desideri. Il raggiungimento del benessere deve passare attraverso l'azione, non solo preghiera, speranza e aspettative. Dobbiamo conoscere la realta', avere una "visione realistica della realta'" e l'istruzione e' il fattore chiave per raggiungere questo obbiettivo. Quando come studenti avrete terminato l'universita' e vi troverete a risolvere problemi, abbiate una visione piu' panoramica possibile, cioe' olistica, della realta'; non focalizzatevi solo su singoli aspetti specifici.
Istruzione e tecnologia in se' non hanno un valore ne' negativo ne' positivo. Cio' che ne determina il valore e' lo stato mentale di chi le applica.


10 dicembre 2007

NuoviAbitanti a Pordenone

Martedì 11 dicembre, alla Sala Convegni della Camera di Commercio di Pordenone (vedi invito) avrà luogo un seminario pubblico promosso dall'Assessorato alle Politiche sociali sulle tematiche dell'e-Democracy e dei social network.

Il Comune di Pordenone sta provvedendo in questi giorni - la notizia è apparsa anche sulla stampa - alla realizzazione di reti wireless per la diffusione della connettività veloce ai cittadini sul territorio comunale, ed è sicuramente un buon segno che presso la Pubblica Amministrazione venga presa seriamente in considerazione la progettazione e l'allestimento di Luoghi digitali dove i cittadini possano ricevere ed offrire informazioni, spazi web dove certo il Comune possa illustrare sé stesso e le proprie iniziative, ma al contempo offrire piazze telematiche e occasioni di incontro per tutti gli attori sociali del territorio.

NuoviAbitanti partecipa al progetto pordenonese portando i propri ragionamenti e la propria esperienza nel delineare alcune dimensioni senz'altro antropologiche della moderna Abitanza digitale, come pure la necessità di una diffusione di una Cultura TecnoTerritoriale in grado di far comprendere il significato "connettivo" e identitario, nonché civico, degli oggetti e degli ambienti vitali interattivi delle generazioni biodigitali.

Tra qualche anno guarderemo indietro e giudicheremo buffi questi incerti primi passi nei Luoghi dell'Abitanza digitale, dove quasi senza mappe noi primi esploratori oggi stiamo costruendo i primi spazi digitali urbani, in quanto espressamente progettati per una fruizione sociale da parte di una collettività residente in modo biodigitale.

Il nostro procedere a tentoni (peraltro, l'unico modo giusto: chi potrebbe saper cosa fare dinanzi all'ignoto?) non può ora che nutrirsi delle idee di tutti, di opinioni, riflessioni, dialogo: i Luoghi sociali dell'Abitanza sorgeranno come risultato olistico della partecipazione della collettività, dei singoli e dei gruppi sociali già motori di socialità e nodi nelle reti di relazioni interpersonali, dell'allestimento corale di una identità multipla e dialogica.


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http://nuoviabitanti.blogspot.com

1 dicembre 2007

Progettare tra mentale e virtuale

Copioincollo un bell'articolo di Gianandrea "Ibridazioni" Giacoma, relativo all'emergere nella nostra vita quotidiana di certi artefatti cognitivi, alla progressiva "trasparentizzazione" delle interfacce, alla progettazione dell'esperienza del fruitore nei nuovi ambienti sociali.






Nel mio intervento a Frontiers of Interaction III ho cercato di proporre una veloce e generale riflessione sulla recente diffusione del virtuale come parte di un processo più ampio di “emersione” della nostra mente, messo in atto dagli artefatti cognitivi.

Partendo dal presupposto che da secoli gli artefatti cognitivi estendono, memorizzano, diffondono e potenziano la possibilità dei contenuti mentali (conoscenze, idee, fantasie, desideri, intezioni, ecc.) di agire sul mondo e di influenzare più persone, oggi, con i recenti sviluppi della ICT, questo processo ha raggiunto livelli tali che permettono una prima possibilità di diffusione del virtuale in varie forme.

La distanza tra la nascita di un pensiero, la possibilità di trasformarlo in un contenuto rielaborabile, comunicabile e condivisibile, fuori e oltre noi, è sempre più facile, efficace, vario e potente. E’ in atto un processo di progressiva dilazione del canale di emersione e influenza del mentale sul mondo. Il quotidiano esercizio di trasformazione di un nostro contenuto mentale su di un “supporto” per memorizzarlo, comunicarlo, condividerlo, rielaborarlo e la visione di crescenti contenuti generati da altri utenti, mette in atto un processo di naturalizzazione di questa tecnologia, rendendola “trasparente” nella sua vincolante materialità. In modo, più o meno consapevole, ogni anno che passa siamo sempre più immersi, interessati, vincolati alle nostre idee e fantasie che viaggiano, si difondono, si moltiplicano e ci influenzano sempre di più, come mai nella storia dell’uomo.

Questa evoluzione tecnologica, culturale e psicologica accellera ulteriormente un progressivo movimento (già in atto da molto tempo) di destrutturazione di un mondo passato, lento, vincolato alla materialità, che non riesce a tenere il passo. Si potrebbe dire che la materialità tecnologica (nel senso di hardware) che ha permesso questo salto “esiste” solo quando manca, mentre invece ”scompare”, diventa “trasparente”, quando c’è; l’hardware diventa il vincolante presupposto da cui emergere ma al quale non ci si può più ridurre (vedi il concetto di emergenza).

A mio parere, per capire la recente diffusione del virtuale è importante inserirla come parte di questo salto tecnologico e di Cultura di Interazione. La tecnologia e soprattutto un crescente numero di utenti sono oggi in grado di ricollocare la “materialità perduta”, le riduzioni dello spazio e del tempo, in un nuovo “luogo”, che si aggiungerà alle “pagine” del Web e alle “cose” del mondo, ampliandole. Solo adesso siamo tecnologiamente e culturalmente in grado di aggiungere il virtuale a quel costante processo di estensione e diffusione della mente.

Collocare il virtuale in questa lunga e complessa mediazione tra mente e mondo, messa in atto dagli artefatti cognitivi, ci può aiutare a capire come “l’immedesimazione” sommata alla “immersione” (intesi come processi fondanti la virtualità) portino in superfice parti più profonde della mente creando la necessità di passare ad un altro livello che è quello dell’emersione della Psiche. Infatti, il processo psichico di immedesimazione (identificazione cognitiva ed emotiva con un personaggio e/o alter ego) sommato a quello di immersione (esperienza percettiva, cognitiva ed emotiva di essere “gettati in un mondo” altro) può creare una leggera alterazione di coscienza (di varia tipologia e grado) che apre un canale tra l’esperienza nel mondo virtuale e il nostro inconscio.

Capite che, a questo punto, progettare una esperienza immersiva diventa qualcosa di molto complesso e si aprono nuovi scenari sulla diffusione e l’uso che si può fare del virtuale. Un esempio, può essere ragionare sullo stato dell’arte della progettazione in Second Life non dimenticandosi comunque che c’è stato un virtuale prima e ci sarà un virtuale dopo Second Life.

A mio parere, negli anni futuri, gli scenari di diffusione del virtuale oscilleranno tra un uso estrinseco, come applicazione, come interfaccia grafica (più adatta per certi contesti e fini) rispetto alle solite metafore delle pagine e delle cartelle, oppure come assistenti virtuali , e un uso intrinseco, per il gusto dell’immersione stessa intesa come “esperienza”.

In particolare credo che la progettazione delle immersioni possa diventare nei prossimi anni molto importante nel mondo della comunicazione (pensiamo alla società della conoscenza in cui gli utenti, clienti, pazienti, studenti, cittadini, saranno sempre più attivi e vicini alla conoscenza, alle istituzioni e alle aziende grazie alla rete), del marketing (si parla già di marketing esperienziale), dell’intrattenimento (dove i videogiochi saranno l’avanguardia che condizionerà e ibriderà tutti gli altri prodotti come Cinema e TV), della ditattica, della riabilitazione e per creazione di prodotti e servizzi che non riusciamo ancora da immaginare.

29 novembre 2007

Abitanza digitale


Incollo qui le parole della responsabile per la Società dell'Informazione e Media della Commissione Europea Vivane Reding, per come riportato da BeppeGrillo nel suo blog.


"La situazione italiana è molto chiara: in Europa il tasso medio di penetrazione della connettività è del 18%. l'Italia si attesta intorno al 17%, quindi sotto la media europea, ed è del 20% sotto il dato migliore. Credo che l’Italia possa davvero fare meglio, ma c’è qualcosa di più preoccupante, cioè la copertura dell’accesso.
Guardiamo le persone che vivono nelle città: hanno accesso alla banda larga. Ma appena si esce dalle città le persone non hanno alcun accesso alla Rete. Sono ciò che chiamo “macchie bianche”, sulla mappa. Abbiamo troppe macchie bianche ed è una situazione che va cambiata perché credo che tutti abbiamo diritto all’accesso alla banda larga in una società che voglia svilupparsi in modo omogeneo.

Nel mondo, i quattro migliori Paesi per tasso di penetrazione della connettività sono europei, mi riferisco a Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia. Bene. Ma abbiamo una coda orribile, con tassi bassissimi e questo, ovviamente, abbassa la media al 18%, quando i player migliori hanno un tasso del 20% più alto e la differenza con i peggiori è del 30%.

E’ evidente che nei Paesi dove il tasso è alto c’è concorrenza nel mercato. La concorrenza porta investimenti, innovazione e ciò permette l’accesso prima di tutto agli enti pubblici, cittadini anche a prezzi accettabili. Quindi, il punto centrale è investire in concorrenza e innovazione che spingono in basso i prezzo e l’accesso verso l’alto. Questo è il motivo per cui devo promuovere le riforme in favore della concorrenza, che è il cuore dello sviluppo.
Più offerte ci sono meglio è.

Credo che tutte le tecnologie vadano usate perchè sono complementari. Infatti, non è molto economico portare la fibra ottica in un paese di montagna, ma si può usare il WiMax, è logico. Anch'esso dovrebbe essere introdotto con la competizione tra differenti aziende e la migliore dovrebbe fornire il servizio. Ma fornire il servizio è la cosa importante, non come viene introdotto. Io sono contraria a tutti i monopoli perchè non portano concorrenza. Se non c'è concorrenza non c'è accesso, è chiaro. Se ci sono più provider i cittadini possono scegliere e i più informati possono scegliere l'offerta migliore.

Questo è il motivo per cui nella mia riforma è previsto l'obbligo per i provider di informare davvero i cittadini. La trasparenza è una regola fondamentale.
Non credo che ci sia conflitto di interessi. Credo solo che sia da incentivare la concorrenza. Alla gente non interessa chi gli fornisce la banda larga. L'unica cosa a cui è interessata è avere il servizio a un prezzo decente.

Non è importante il “brand”, non è importante l'operatore. E' importante che sia fornito il servizio. E il modo migliore per farlo è in un mercato concorrenziale.
Se libero accesso significa gratuità, non sono d'accordo. Ma se vuol dire che si possa accedere liberamente all'informazione, questa è la grande battaglia che sto combattendo, in nome dell'Europa, alle Nazioni Unite in termini di Internet governance: ho spiegato con parole molto determinate che copiare le informazioni non è la strada che Internet deve intraprendere.
Crediamo che la creatività e le libertà individuali debbano potersi esprimere in Rete e questo è il motivo per cui crediamo in una Internet libera non solo in Europa ma a livello planetario. Questa è la ragione per cui insistiamo, e l'abbiamo fatto alla conferenza sulla Internet governance a Rio, nel dire che Internet, l'informazione, deve restare libera e senza ostacoli. Il Web 2.0 è la nostra risposta a coloro che cercano di impedire che le persone siano informate.
La mia opinione è che i blog debbano restare liberi, che la creatività e l'espressività dei blogger non siano limitate.

Ovviamente i blog non possono essere criminali, lasciatemelo dire molto chiaramente – non credo che nessuno voglia aiutare i blog criminali – ma a parte questo i blog devono restare aperti, dovrebbero... devono dare alla gente la libertà di esprimersi, di dire quello che vogliono, di criticare i politici se lo vogliono. Credo che noi dovremmo imparare a (comprendere) le critiche sui blog. Io amo i blog, sono un ottimo strumento di libertà di espressione."

Viviane Reding

17 novembre 2007

Abitanza biodigitale

Il solito, ottimo articolo di Giuseppe Granieri, su Apogeo.

Granieri prende le mosse da alcune considerazione su SecondLife; il discorso affronta in seguito la tematica dell'abitare consapevolmente nei mondi digitali, e soprattutto pone l'attenzione sui processi sociali in atto che portano i nuovi ambienti di vita degli Umana ad essere percepiti e riconosciuti come dimensione imprescindibile del vivere odierno.

Alcune frasi interessanti:

... Il blogging e il social networking imponevano, per essere capiti, la necessità di cambiare completamente schemi mentali nel rapporto con l’ambiente mediale.

... Non c’è redenzione, l’uomo del XXI secolo è destinato a non smettere mai di imparare (B. Sterling)

... Pensiamo a come percepiamo la responsabilità delle nostre azioni in un ambiente che consideriamo virtuale, quindi - in vulgata - non esistente, contrario a reale

... De Kerkhove parla della necessità, per capire chi siamo oggi, di superare il vincolo naturalistico e accettare che viviamo in una condizione anche digitale che ristruttura la nostra vita sensoriale. Rodotà ragiona sulla necessità di adeguare il diritto, partendo da una considerazione dell’habeas corpus che oggi è sia fisico sia elettronico. Antonio Caronia parla di corpo disseminato

... Per ragionarci, come nella tradizione del web, tutti insieme. E per imparare, come abbiamo fatto con il web, a superare la fase delle cassettiere o delle gif animate.

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15 novembre 2007

Riti di passaggio

Riporto qui integralmente un articolo di Luca Sofri per Nova, riguardo la nota passione del giornalista Gigi Moncalvo per le querele verso chi scrive liberamente di lui.
Se siete interessati all'argomento, con qualche ricerca troverete tutto.

In realtà l'articolo si rivela molto interessante nella seconda parte, perché sancisce a chiare lettere le differenti "qualità ambientali" dei Luoghi online e conseguentemente la necessità per ciascuno di noi di immergersi in questa nuova realtà (flusso di informazioni, relazioni interpersonali, comportamenti) prima di pronunciare giudizi affrettati, malfondati.

E il ragionamento su quanto sia importante comprendere il mondo digitale nelle sue peculiarità (come forma e possibilità di Abitanza digitale, in questo blog), senza applicare pedissequamente norme e regole che qui dentro lo schermo semplicemente non funzionano, viene condotto da un giornalista di fama nazionale come Sofri jr., osservatore acuto di costumi e lifestyle, non certo informatico o persona connotata come geek.
Forse qualcosa si muove nell'opinione pubblica; forse stanno prendendo forma storica e sociale le prime norme etiche di una collettività in grado di comprendere il Ben-stare in maniera biodigitale.



L'onere delle avanguardie: educare le retroguardie
di Luca Sofri

Ci sono alcune ragioni, dalla parte di Gigi Moncalvo. La pretesa che poiché la rete sarebbe libertà, democrazia, bla bla bla, questo consenta a chiunque qualsiasi inciviltà è una sciocchezza che ricorda le parodie di Corrado Guzzanti sulla Casa delle libertà, quella dove “facciamo un po' come cazzo ci pare”. Poi si può suggerire a Moncalvo maggiore indifferenza e serenità nei confronti delle violente ma piccole aggressioni di critici con pochi mezzi, lui che va in onda in tv tutte le settimane: ma è indubbio che alcune delle sue querele stiano del tutto dentro la legittimità legale.

Poi ci sono diversi torti, dalla parte di Gigi Moncalvo.
Alcune delle sue denunce riguardano espressioni che solo giudici molto bigotti potrebbero definire “diffamazione” (e però ci sono, giudici molto bigotti), e le sue cause legali travolgono con seccature, spese, e preoccupazioni persone che non hanno fatto nulla di male. Quando non si arriva addirittura a una condanna - come è avvenuto - per l'uso dell'espressione “ex idiota”, di cui ognuno valuti la gravità: probabilmente dovrebbe esistere una differenza tra la critica antipatica o maleducata e la diffamazione.
Differenza percepita dal giudice che ha invece archiviato la denuncia nei confronti del blogger che lo aveva definito “leghistone” e “ridicolo”.

Ma gli argomenti di Moncalvo sollevano un altro problema, e non solo quello delle normative che riguardano internet. Ed è quello della grandissima difficoltà che molte persone hanno a relazionarsi con un mondo che non ha niente a che fare con quello che conoscono e a cui fanno riferimento. Ed è una difficoltà di cui non si può solo sorridere, avendo gli strumenti per farlo. Perché l'abitudine che tutti abbiamo, nel tentativo di definire le novità della rete, a fare dei paralleli con il mondo “di prima” o “di fuori”, è utile fino a un certo punto: oltre il quale diventa fuorviante o impraticabile.

Questo mondo, la rete, funziona in tutti altri modi e con tutt'altri meccanismi: è un'altra cosa. E bisogna inventare nuove regole per spiegarla e definirne i casi, e sapere chiarire queste regole.

Altrimenti, quando si parla di internet usando per facilità i paragoni con il mondo che c'era prima, poi bisogna affrontare l'obiezione di Moncalvo di fronte a un link: “io clicco, e mi trovo davanti un testo diffamante. È come un giornale che pubblichi una calunnia copiata da un altro giornale. È come se io in tv ospito uno che dice cose diffamatorie nei confronti di qualcuno: io sono responsabile, e vengo denunciato e condannato”. Avendo gli strumenti, è facile vedere le differenze tra questi casi: quello che è difficile, è vedere qualcosa a cui invece assomiglino, i links.

Perché non assomigliano a niente di quello che c'era prima, di quello che conoscevamo, di quello che per gran parte delle persone è ancora la realtà: e forse bisogna trovare modi e pazienze per spiegarle, queste cose, perché d'ora in poi siano chiare per tutti. E non definite dalla roulette russa delle sensazioni di giudici più o meno preparati e attenti.
Nova [*]

[il grassetto è NuoviAbitanti]

8 novembre 2007

www.comunivirtuosi.org


Il “Comune virtuoso” ama il proprio territorio, ha a cuore la salute, il futuro e la felicità dei propri cittadini. Adotta tutte quelle buone prassi amministrative orientate alla sostenibilità ambientale, alla partecipazione dei cittadini e alla cooperazione dal basso. Il Comune virtuoso pensa globalmente ed agisce localmente: partendo dalle piccole realtà, attraverso la prassi quotidiana, avvia grandi processi di trasformazione e di innovazione. Imprime un nuovo modello di società basato su autoproduzione e dono, sobrietà e buon senso, abbattendo ogni giorno mattoni di quel muro apparentemente insormontabile del consumo all’ennesima potenza e a qualunque costo.

Quattro Comuni italiani hanno fondato l'Associazione dei Comuni virtuosi.
Piccoli Comuni dove si cerca di rendere efficiente ad esempio l'utilizzo dell'energia (coinvolgendo magari delle imprese che attuano progetti per la riduzione dei consumi grazie a tecnologie innovative e buone prassi), dove si cerca di ragionare di bioedilizia, oculatezza nelle spese, gestione rifiuti, trasporti.

Trovate questo bell'articolo su MenteCritica

6 novembre 2007

Museo Emozionale della Memoria - GeoBlog

vEcco qui un link per una bella idea realizzata a Torino: si tratta di un Museo Diffuso dedicato ai Luoghi della Memoria della seconda Guerra Mondiale, il quale nelle sue pagine web ospita anche un esempio di mappa satellitare interattiva (realizzata con GEarth) dove è possibile scoprire georeferenziati i territori torinesi maggiormente correlati con i sanguinosi fatti di guerra, Luoghi resi eloquenti dall'utilizzo di SemaCode (o MatrixCode).

Essendo aperti agli apporti degli Abitanti, le mappe Territorio e Momoria vanno viste come importanti risporse a disposizione delle collettività per costruire collaborativamente la Storia dei Luoghi, nelle sue valenze ad esempio antropologiche oppure tecnoterritoriali.

http://www.museodiffusotorino.it/geoblog.html


4 novembre 2007

Archeologia industriale


Articolo originariamente apparso sulla rivista culturale "LaBassa" n°42/2001, qui pubblicato per gentile concessione.


Parlando di Archeologia Industriale fra il latisanese e il portogruarese: le fornaci "a fuoco continuo" Hoffmann nella Provincia del Friuli tra il 1866 e il 1920

di Valentina Piccinno

L'Archeologia Industriale è un mezzo importantissimo per studiare e comprendere il passato più recente della nostra attuale civiltà industriale.


Prendere coscienza di questo passato, capirne i meccanismi e i passaggi, significa trovare una risposta a molti quesiti sul nostro stesso modo di vivere. Il termine Archeologia Industriale fu coniato in Inghilterra negli anni Cinquanta anche perché in questo periodo di cambiamento e di distruzioni non belliche, le vecchie fabbriche e le strut
ture di servizio venivano abbattute e ricostruite senza troppo pensarci. In Italia si cominciò a parlare di Archeologia Industriale in ambito universitario a Milano solo agli inizi degli anni Settanta e in seguito si pose l'attenzione su tutti quei manufatti che in qualche modo erano e sono testimonianze produttive del nostro passato tecnologico. I monumenti che l'archeologia annovera sono in generale tutte quelle fabbriche che si svilupparono con l'avvento dell'industrializzazione in Italia, dalle filande, per fare un esempio, alle fornaci e comunque tutti quegli edifici che applicarono le nuove tecnologie e improntarono la produzione sul concetto della continuità.

Il copioso patrimonio dell'Archeologia Industriale in Friuli presenta, dal punto di vista del linguaggio e delle forme, una fisionomia difficilmente riconducibile a schemi costanti. Gli edifici industriali della prima industrializzazione sono, in genere, sviluppati in altezza e solo in seguito si sono trasformati in costruzioni orizzontali al massimo di due o tre piani, a differenza delle fornaci che solo agli inizi del Novecento si ampliarono in altezza. Il linguaggio dell'architettura delle industrie ha anche molto attinto dalle consuetudini locali e dall'impiego di materiali reperibili in loco; nel caso delle fornaci i manufatti si presentano con forme inedite ed originali, che senza camuffamenti derivano dalle funzioni ospitate.

Le fornaci, dopo l'introduzione del forno Hoffmann, assumono caratteristiche forme allungate dalle quali fuoriesce la ciminiera con soluzioni edilizie non sempre scontate.


Delle numerose fornaci "a fuoco continuo" Hoffmann diffusesi nella Provincia del Friuli (le attuali province di Udine e Pordenone) censite in uno studio in corso di pubblicazione, poche sono rimaste a testimonianza dell'attività produttiva industriale. Il Friuli essendo terra ricca di argilla adatta alla confezione dei laterizi, nel suo paesaggio da sempre sono esistite fornaci per laterizi e per la calce.

Prima dell'introduzione del forno Hoffmann, fornaci a fuoco intermittente o provvisorie di campagna a metà dell'Ottocento in Friuli ne esistevano praticamente in ogni comune e anche successivamente, dopo l'introduzione della fornace Hoffmann, alcune fornaci provvisorie continuarono a lavorare e a produrre laterizi e calce.


Il principio di funzionamento delle fornaci provvisorie arriva da una tradizione secolare sopravvissuta praticamente immutata dove i tempi di attesa tra una cottura e l'altra variavano da cinque a trenta giorni, mentre con l'introduzione delle fornaci "a fuoco continuo" il nuovo metodo di cottura cambiò radicalmente poiché non esistevano più tempi morti e la cottura dei laterizi proseguiva ininterrottamente.

Le fornaci industriali nella Provincia del Friuli si diffusero sia in corrispondenza dei maggiori agglomerati urbani sia nella campagna e anche in prossimità delle città minori.

La diffusione nella Provincia del Friuli delle fornaci "a fuoco continuo" inizia dopo l'annessione di questa parte di territorio alla giovane Italia. La svolta tecnologica di portata storica fu introdotta dall'Ingegner Architetto Friedrich Hoffmann (Gröningen 1818, Berlino 1900) che brevettò, in Italia, nel 1864 un progetto di fornace "a fuoco continuo" rivoluzionando il metodo di cottura dei laterizi e con l'introduzione di quest'innovativo metodo di cottura cambiò radicalmente il significato di forno per laterizi perché con il forno "a fuoco continuo" non esistevano più tempi morti.


Non tutto il territorio delle attuali province di Udine e Pordenone applicò con rapidità il nuovo metodo di cottura, alcune fornaci seguirono uno sviluppo complesso e frammentato perché si attuarono con ritardo rispetto all'impulso dell'industrializzazione del restante territorio. Si approssimava l'epoca dell'urbanizzazione e le fornaci esprimevano una significativa dipendenza sia dall'economia rurale sia da quella urbana, resa evidente dall'utilizzo di risorse e forza-lavoro condivise con l'agricoltura e il rafforzarsi dei legami commerciali con le città. Vi era una continua domanda di materiali da costruzione per il crescente bisogno sia di trasformare sia di fare realizzazioni ex novo.

Nella Provincia del Friuli il forno continuo fu impiantato già dal 1870, quando l'imprenditore Carlo Chiozza costruì una fornace Hoffmann in una plaga della bassa pianura pordenonese e quando Giuseppe Fabretti, negoziante in Udine, acquistò la privativa industriale o brevetto del forno Hoffmann, ma solo per i distretti di Udine, San Daniele, Palmanova, Tarcento, Cividale e Gemona e nel 1872 costruì una fornace sistema Hoffmann in Zegliacco in comune di Treppo Grande.

Per comprendere fino in fondo la novità del forno introdotto da Friedrich Hoffmann bisogna capirne il funzionamento che nella forma originale consisteva in un canale circolare continuo, nella parete esterna del quale erano aperte, ad intervalli costanti, le porte per l'introduzione e l'estrazione dei materiali. In corrispondenza di ciascuna porta il canale di cottura poteva essere costruito con diaframmi in ferro, aventi esattamente le dimensioni della sua sezione trasversale, che si manovravano dalla parte superiore della fornace alzandoli od abbassandoli a guisa di paratie. Il tratto di canale compreso tra i due successivi diaframmi prendeva il nome di cella o camera di cottura. Ogni camera presentava nella parete interna, verso il basso ed all'estremità opposta a quella dove si trovava la porta di servizio, un passaggio che si scaricava in un canale collettore del fumo, concentrico al canale di cottura.
Questi passaggi potevano essere chiusi con valvole, manovrabili
dall'alto per mezzo di aste che passavano entro fori praticati nella volta del collettore del fumo. Il camino, situato al centro della costruzione, comunicava con il canale del fumo per quattro aperture. La volta del canale di cottura presentava numerosi fori o bocchette per l'introduzione del combustibile, chiuse da un coperchio cavo di ghisa, assicurando la chiusura ermetica. Si caricava il materiale crudo in una bocca, in quella subito a destra si scaricava il materiale cotto; le altre camere erano piene di prodotti che avevano subito la cottura e si stavano raffreddando. Il fuoco si trovava nella camera caricata con materiale crudo.

In tali condizioni, il servizio
di "infornatura" e di "sfornatura" si effettuava attraverso una bocca di carico, che era la sola aperta mentre tutte le altre erano chiuse. Il fuoco era alimentato con il combustibile che si introduceva dalla volta. L'aria esterna, richiamata dal tiraggio del camino, penetrava nel forno per la bocca di caricamento, passava attraverso i materiali cotti riscaldandosi progressivamente, giungeva nella zona del fuoco e attivava la combustione. I gas caldi che si producevano, proseguendo sempre nella stessa direzione, venivano a contatto con i materiali crudi, ai quali cedevano buona parte del loro calore, e si liberavano infine nel camino passando attraverso l'apertura dell'ultima camera, la cui valvola era sollevata a differenza delle altre che erano chiuse. Con questo metodo si procedeva all'infinito, avanzando in media di una camera ogni quattro ore. Il principio basilare di queste fornaci consisteva nel riscaldare l?aria di alimentazione a spese del calore ceduto dai prodotti cotti che si raffreddavano e di utilizzare il calore posseduto dai prodotti della combustione per il riscaldamento dei materiali da cuocere.

Se focalizziamo l'attenzione sulle fornaci costruite nella bassa latisanese ci rendiamo subito conto che in questo territorio si adottò il nuovo sistema di cottura per laterizi con qualche anno di ritardo rispetto alla vicina San Giorgio di Nogaro, ad esempio, dove già da anni si utilizzava un forno "a fuoco continuo" per la cottura dei laterizi.

Solo all'inizio del Novecento si diffusero, nella bassa latisanese, le fornaci sistema Hoffmann e tra queste quelle di Dal Maschio-Visentin a Palazzolo dello Stella, quella dei fratelli Anzil a Sivigliano di Rivignano, quella di Antonutti e Minzi a Talmassons, quella di Mangilli D'Agostini Turini, detta di Torsa, ma anch'essa in comune di Talmassons.

Nel vicino Veneto le fornaci ebbero uno sviluppo diverso, legato alla qualità dell'argilla, più adatta alla produzione di ceramiche in genere e si potenziarono con fornaci continue con molto ritardo rispetto alle fornaci del Friuli, solo a Treviso esistevano fornaci continue già dal 1875.


La difficoltà principale nel compiere una ricerca precisa e puntuale delle fornaci da laterizi industriali è stata la difficoltà di reperire i materiali e la documentazione, in quanto non vi è stata non solo la distruzione degli edifici industriali ma anche la dispersione degli archivi di queste industrie.
Ad esempio poco si conosce del grado di industrializzazione della fornace di Dal Maschio e Visentin di Palazzolo dello Stella: sappiamo con certezza che utilizzavano un forno Hoffmann e che l'oggetto della società, costituitasi con contratto privato agli inizi del Novecento, era l'esercizio di una fornace per la fabbricazione di materiali laterizi in comune di Palazzolo dello Stella, l'esercizio di commercio di legname ed altri materiali da costruzione ed infine fabbricazione e smercio di materiali in cemento a Latisana, con l'esecuzione di lavori in cemento e cemento armato in provincia di Udine.

Con certezza sappiamo che Luigi Visentin già dal 1898 a Latisana possedeva una rivendita di legnami, materiali laterizi, calce, cementi e calci idrauliche; del suo socio Angelo Dal Maschio conosciamo poco: veneziano di nascita divenne subito socio della fornace Hoffmann e mantenne la proprietà anche dopo la morte di Luigi. Intorno al 1921 la fornace "a fuoco continuo" di Palazzolo era ancora in attività come lo era anche il commercio a Latisana della famiglia Visentin, rimangono aperti ancora molti interrogatici anche perché non è stato possibile rintracciare gli credi di queste famiglie.

Dell'opificio industriale di Talmassons al contrario si è potuto tentare una ricostruzione del passato grazie ai molti passaggi di proprietà della fornace e con certezza si può affermare che l'opificio fu costruito i primi anni del Novecento. Gli iniziatori di quest'industria furono i fratelli Ciro, Giovenzio e Ludovico Antonutti di Talmassons e Umberto Minzi di Trieste, che operavano con contratto societario avente per iscopo la fabbricazione e smercio di laterizi.
La società possedeva una fornace sistema Hoffmann e la produzione dei laterizi in principio avveniva a mano, esperti fornaciai forgiavano i mattoni operando a cottimo.

Lo stabilimento in località detta Levada, nel comune di Talmassons, oltre al forno "a fuoco continuo", era affiancato da una vasta tettoia, esisteva anche un'abitazione per gli operai, successivamente la fornace
si attrezzò con macchinari per la formatura dei laterizi. La fornace di Talmassons superò la Grande Guerra, ma nel 1923 cessò definitivamente la produzione di laterizi e si presume vi fu la demolizione del forno "a fuoco continuo". La fornace "a fuoco continuo" Hoffmann dei fratelli Domenico, Geremia e Giovanni Battista Anzil a Sivigliano di Rivignano fu costruita sul finire del 1900 ed impiegava 65 operai, di questa fornace oggi esiste lo stabilimento, stravolto nella sua forma originale per ospitare un'altra industria.
Anche lo stabilimento detto di Torsa, a Talmassons, di Mangilli, Agostini e Turini è in parte ancora visibile, il forno "a fuoco continuo" si è conservato, anche se sono state apportate alcune variazioni al canale di cottura, il camino è stato di recente abbattuto per problemi statici. Questo opificio fu costruito intorno agli anni venti del Novecento e, infatti, ha caratteristiche architettoniche diverse rispetto alle fornaci più antiche.


Rintracciando tutte le fornaci "a fuoco continuo" sviluppatesi in Friuli (province di Udine e Pordenone) tra il 1866 e il 1920 si comprende come l'impulso dell'industrializzazione per i materiali da costruzione trovò terreno fertile e le poche fornaci rimaste a testimonianza di questo passato andrebbero conservate perché anch'esse fanno parte della cultura e delle tradizioni dei friulani, in quanto fornaciai più o meno specializzati e, del Friuli perché terra di fornaci.



31 ottobre 2007

Wi-fi territoriali e Abitanza attiva

Vedete, parecchie Pubbliche Amministrazioni locali (Comuni più o meno popolosi, Comunità) di questi tempi stanno pensando o vengono loro proposti dei progetti per la realizzazione di una copertura territoriale in tecnologia wi-fi, per offrire a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di una connessione veloce a Internet, indipendentemente dall'essere fisicamente connessi via cavo con una centralina ADSL.

Personalmente (confortato dal buon Quinta) credo che il discorso della "fibra fino a casa" (FTTH, Fiber To The Home, ovvero collegare tutte le abitazioni nazionali in fibra ottica) non dovrebbe essere rapidamente accantonato, perché se è vero che sarebbero da sborsare un mucchio di quattrini per la posa dei cavi, d'altro canto in quanto a capacità tecnica della Rete saremmo a posto per i prossimi cinquant'anni. E badate che l'argomento sarebbe da inquadrare in un ragionamento serio, pari almeno alle discussioni presenti nell'opinione pubblica putacaso sulla TAV o sul Ponte di Messina, visto che in fin dei conti stiamo parlando di una di quelle grandi opere infrastrutturali su cui si fonderà il benessere del Paese, come ottant'anni fa le ferrovie o cinquant'anni fa le autostrade.

Inoltre, è opinione di qualunque NuovoAbitante che la connettività gratuita per tutti dovrebbe essere un diritto del cittadino, in quanto strumento essenziale nel nostro tempo per garantire l'espressione delle libertà individuali sancite dalla Dichiarazione Universale degli Umana (Articolo 19: ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere).

Magari le PA intendevano proprio questo, offrire connettività gratuita ai cittadini e nel contempo studiare nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nei Luoghi online dedicati alla Comunicazione Pubblica, alle reti civiche e ai contenitori digitali per le nuove forme di e-democracy.
Ma wifizzare un territorio costa sempre una certa cifra, bisogna costruire la rete degli AccessPoint, sviluppare del software specifico, e anche formare e mantenere un po' di risorse umane, negli anni.

Può capitare che una Pubblica Amministrazione non possa sostenere finanziariamente questa iniziativa, e che ritenga buona cosa appaltare il tutto ad un privato, o ad una partecipata, il quale provvede a proprie spese alla wifizzazione del territorio, riservandosi poi di chiedere ad esempio una cifra all'Ente per permettere la navigazione sui propri AccessPoint, oppure direttamente al cittadino.
Quindi non solo l'utente finale verrà discriminato in base al censo (e colmare il DigitalDivide resterà utopico), ma siamo nel caso in cui chi possiede l'infrastruttura possiede anche il servizio, ovvero l'offerta di contenuti da trasmettere sulla Rete, e quindi può decidere l'accessibilità a certe informazioni, ad esempio impedendone la visione oppure praticando tariffe differenziate.
E' come se al pedaggio autostradale mi chiedessero di più perché voglio andare a Venezia o a Gardaland, luoghi turistici sponsorizzati.
Qui spero che qualcuno commenti per chiarirmi le idee.

Nel frattempo, dopo alcune notizie che parlavano di un certo ripensamento di certi avanzati progetti di wifi territoriale nelle grosse città degli Stati Uniti (link, dall'Economist.com), pare che le cose stiano riprendendo a muoversi, perché appunto quello che sembrava per le metropoli un investimento senza alcun ritorno economico, e quindi insostenibile, si sta rivelando (link, da Repubblica.it) uno strumento per abbattere alcuni costi dell'Amministrazione cittadina, sì da rendere la connettività via onderadio per tutti un'iniziativa nuovamente perseguibile.

Se ad esempio i parchimetri, i contatori del gas e dell'acqua, le ambulanze, i rilevatori ambientali, comunicassero in wifi, sarebbe possibile risparmiare moltissimo, dice l'articolo di Repubblica.

Per tener sotto controllo la situazione nazionale, tenete d'occhio i Centri Regionali di Competenza per l'e-Government e la Società dell'Informazione.


Aggiornamento
Sull'argomento, oggi scrive anche il Beppe su MenteCritica




nuoviabitanti.blogspot.com


26 ottobre 2007

Progetto “Nuove tecnologie per la didattica”

Aver cura degli ambienti di vita e di crescita, abitare glocalmente in modo consapevole, oggi significa anche essere in grado di progettare iniziative per la qualità sociale degli Luoghi digitali, quelli Educational in particolare.

NuoviAbitanti promuove, di concerto con alcune locali Amministrazioni Pubbliche scolastiche, una progettazione sociale capace di apportare una nuova visione e una diversa Cultura Tecnologica presso le scuole e le giovani generazioni, contraddistinta dalla filosofia OpenSource quale scelta anche etica nell'allestimento tecnico di laboratori informatici scolastici.

Dal punto di vista delle migliorìe tecniche, gli ambienti didattici coinvolti nel progetto possono ora contare su una infrastruttura informatica di rete molto più solida e potente; diventa ora possibile recuperare decine di computer obsoleti utilizzando Linux Edubuntu e LTSP, realizzare reti wireless di supporto alla didattica, lavorare e creare in ambienti OpenSource educational-oriented.

LinuxDay 2007: Cultura TecnoTerritoriale e promozione sociale: software Open Source e LTSP a Scuola

Qui sotto, una mappa schematica degli interventi NuoviAbitanti in Friuli Venezia Giulia per la promozione dell'Abitanza biodigitale in àmbito scolastico.



Ingrandisci la mappa


nuoviabitanti.blogspot.com

19 ottobre 2007

Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa

nuoviabitanti.blogspot.com

Apogeonline - Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa
Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa
di Gianluca Miscione

La progressiva integrazione tra reti - telefoniche, telematiche, di servizi, di dati, sociali – ci racconta che molto accade in modo creativo e non previsto. Nessuna soluzione è per sempre, così perfino lo scorporo della rete dagli operatori potrebbe non essere una buona idea .

Potreste aver letto di un recente ed inatteso accordo fra l’ex monopolista British Telecom e la comunità transnazionale di foneros che, promossi e coordinati da Fon, condividono banda passante su connessioni WiFi, e nell’insieme, vanno costituendo una rete senza fili globale ed ad accesso pubblico. Magari siete inciampati un qualche breve articolo sulle voci di un telefonino targato Google, la quale ha anche partecipato all’asta per l’assegnazione di frequenze radio per cellulari negli Stati Uniti (tempo fa partecipò al bando del comune di San Francisco per fornire copertura WiFi). Questi, e molti altri possibili esempi non sono tanto per ripetere che nel mondo delle ICT molto bolle in pentola. Più specificamente volevo parlare di integrazione, a un livello più ampio della consueta integrazione di archivi aziendali o pubblici.

BT e Fon (BTFon), che cosa stanno integrando? I profili dei loro utenti? I flussi di dati sulle rispettive reti? I profitti delle loro attività? Sì, ma perchè non anche le loro, radicalmente diverse – almeno finora – concezioni di rete telematica? Una originata da un ministero, l’altra dalla spontanea partecipazione degli utenti. Skype è un esempio sorprendente, essendo l’integrazione di una rete peer-to-peer con reti telefoniche fisse e mobili di tutto il mondo (e, conseguentemente, miliardi di utenti raggiungibili). Insomma integrare reti significa mettere in relazione, in maniere impreviste e non raramente creative, gli elementi tecnici e socio-organizzativi, sempre più mutuamente interdipendenti.

Altri esempi di integrazioni inattese: Skype distribuito su cellulari economici da 3 nel Regno Unito. La prima esce dall’ormai stretto mondo dei personal computer, l’altra fornirebbe comunicazioni illimitate al prezzo dell’accesso flat alla sua rete mobile. I cellular-dipendenti potrebbero esserne contenti. Ancora: avete conosciuto qualcuno nel metaverso di Second Life. La stessa persona, sul cellulare della vita “reale” (o la “prima”, almeno) può essere contattata dal vostro avatar con un servizio di Vodafone. Meebo e Flick integrano il frammentato mondo della messaggeria istantanea attraverso il web, davanti agli occhi dell’utente, oltre l’ultimo miglio. Le basi dati degli utenti di Microsoft, Yahoo!, AmericaOnLine non scambiano dati direttamente.

Analogamente, all’annosa questione dell’integrazione di sistemi operativi, Synergy propone una soluzione dell’ultimissimo metro: macchine con sistemi diversi possono condividere la stessa tastiera, mouse e clipboard (per copia/incolla). Per l’utente il passaggio fra sistemi è invisibile come il cursore che raggiunge il bordo di un monitor e appare sull’altro. Sistemi di social networking (Facebook per esempio) offrono un social layer per altri servizi (Trillian Astra, per esempio). Google da anni sta integrando tutto (profili, pubblicità mirata, parole chiave, informazioni finanziarie) con tutto (libri, immagini, mappe, rappresentazioni tridimensionali, flussi Rss).

Più a livello macro, proprio per la necessità di integrare reti in maniera a priori imprevedibile, rende la regolamentazione difficile. La Commissione Europea sembra per esempio determinata a separare le reti di telecomunicazioni europee dai fornitori di servizi, con il giusto intento di evitare situazioni tendenzialmente monopolitistiche. Chi controlla l’accesso alla rete, ha infatti il duplice vantaggio di rendere difficile l’ingresso ai concorrenti, e di beneficiare di una base di utenti per i propri servizi. La soluzione pare quindi essere una rete alla quale tutti abbiano imparziale accesso, e concorrenza sui servizi. Il problema è che allora la rete, sottratta alle tensioni di diverse parti in causa, rischia di vedere rallentata la sua evoluzione.

In altri termini, le infrastrutture informative sono costituite sia dall’hardware delle reti, sia da un’indefinita serie di livelli di software e dati. In astratto, tutte le integrazioni sono potenzialmente vantaggiose – o svantaggiose. Ogni taglio legislativo, inevitabilmente arbitrario, rischia di limitare possibilità di sviluppo. Il problema è che non si può dire quali finchè non ci sono le condizioni perchè succedano (o siano anche solo immaginate). Per esempio, quattro anni fa, chi avrebbe trovato credibile che Google sarebbe stata interessata a una propria rete mobile e terminali? Per farne che cosa, visto che Gmail, Maps eccetera non c’erano?

Le reti – Internet ma non solo – hanno bisogno di mantenersi generative, non di diventare elettrodomestici, il cui uso è definito una volta per tutte (vedasi The Generative Internet, di Jonathan Zittrain). E soprattutto, le società hanno bisogno di infrastrutture generative che sono insieme vincolo e possibilità di molte libertà contemporanee. Integrazioni, come anche separazioni, sono i necessari ingradienti di tale dinamica.

Guardando avanti, quali sono le possibili integrazioni fra siti web, telefonia, frigoriferi, negozianti e dietologi? E fra rete elettrica, gasdotti e reti giornalistiche? Nessuna? Eppure quando le tensioni Russia/Ucraina sono riportate dalla stampa infleunzano le politiche continentali e il prezzo dell’energia. Integrare fonti alternative aiuterebbe la flessibilità della distribuzione. Nel bene e nel male, abbiamo bisogno di abituarci all’idea (ed alla pratica), che nessuna soluzione può essere “per sempre”, che ogni confine fra reti tecniche e sociali-organizzative è arbitraria. La soluzione migliore non può forse venire da una legge risolutiva, ma dalla capacità – tanto di organi dedicati quando di privati cittadini – ad amministrare le reti sulle quali sono attivi e di trovare equilibri adatti alle variabili esigenze e contingenze.


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Gianluca Miscione è laureato in Sociologia della Comunicazione all'Università di Torino con una tesi su come società e politica inevitabilmente danno forma alla rete (in contrapposizione all'allora dominante illusione che il"cyberspazio" fosse autonomo). Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia di Trento, con una ricerca etnografica"sulla frontiera della società della conoscenza": Telemedicina in Alta Amazzonia. Ha svolto periodi di ricerca negli Stati Uniti e ha pubblicato numerosi articoli e presentazioni che hanno aiutato a capire come relazionare questioni così distanti. Dal 2006 è professore a contratto presso il gruppo di ricerca in Infrastrutture Globali dell'Univeristà di Oslo, dove si occupa della dimensione socio-organizzativa delle infrastrutture informative, soprattutto in Asia e Africa.

18 ottobre 2007

Enaction come co-emergenza

Un bell'articolo di Pier Luigi Luisi, sul concetto di autopoiesi.
Si parla di cellule, di omeostasi, di confine, di sistema regolato, di evoluzione, di adattamento, di cognizione, di ambiente, di vita. Maturana e Varela, obviously.


Autopoiesi e definizione del vivente
Foto di PabloSanz, da FlickrQuello che distingue i componenti della ‘lista del vivente’ è questa capacità di mantenere l’identità grazie a un sistema di trasformazioni coordinate e organizzate, facenti parte del sistema stesso. Questo insieme di trasformazioni e la loro auto-organizzazione sono le chiavi del concetto di autopoiesi, e determinano e caratterizzano l’interazione del vivente con l’ambiente esterno, dall’evoluzione all’ecologia: il mondo è visto dall’interno del sistema vivente stesso. Quindi si arriva a questa definizione del vivente che è vera così per una cellula come per un albero. L’albero che perde i frutti e le foglie nell’inverno, li riproduce dal proprio interno nella primavera e nell’estate, anch’esso assimilabile alla definizione di ‘fabbrica che si rifà dall’interno’.

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Passando dal piccolo al grande, l’autopoiesi oggigiorno è importante anche nella scienza sociale, perché questo discorso di un sistema che è definito dalle sue stesse regole e che tende ad auto-mantenersi a dispetto di trasformazioni interne, grazie al proprio sistema di rigenerazione, vale per una cellula ma vale, ad esempio, anche per un partito politico. In un partito politico entrano dei membri, è definito da certe regole, è delimitato da un certo confine nel quale i nuovi membri entrano. Questi vengono trasformati in membri del sistema dalle regole stesse. I membri diventano così parte del sistema e fanno, a loro volta, sì che altri vengano accettati grazie alle regole del sistema. Questo meccanismo vale per un ospedale o per una grossa compagnia, e si può applicare anche nello studio del marketing, come nel caso di Luman.


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17 ottobre 2007

Progettare le città come hardware e software


Da Experientia, diffondo alcuni interessanti ragionamenti di Carlo Ratti: l'argomento è l'ideazione di "... una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani."

Mi ricorda, in qualche modo, un rastrello: in questo momento diventa interessante progettare dei rastrelli che siano in grado di raccogliere le innumerevoli informazioni e flussi che tutti noi emettiamo durante il giorno, con cellulari e la Rete e tracciabilità, per orientare poi l'interpretazione verso quelle qualità emergenti dal sistema, capaci di far meglio percepire l'Abitanza effettiva di un territorio, osservata in tempo reale attraverso i flussi di persone merci e denaro e idee.

Putting People First in italiano » WikiCity, un progetto MIT
Come può una città operare come un sistema open-source in tempo reale.

Sebbene sembri che l’approccio di questo progetto sia principalmente guidato da una perspettiva culturale, ci sono alcuni elementi centrati sulla gente interessanti:

Nei decenni passati, sono stati sviluppati sistemi di controllo in tempo reale in una certa varietà di applicazioni di ingegneria. Così facendo, è aumentata drasticamente l’efficienza dei sistemi attraverso il risparmio dell’energia, la regolazione delle dinamiche, la maggiore resistenza e tolleranza dei disturbi.

Adesso: può esserci una città che si comporti come un sistema di controllo in tempo reale? Questo è l’obiettivo del progetto WikiCity al MIT. Esaminiamo i quattro componenti chiave di un sistema di controllo in tempo reale:

1. entità da controllare in un ambiente caratterizzato dall’incertezza;
2. sensori capaci di ottenere informazioni sullo stato dell’entità in tempo reale;
3. intelligenza capace di valutare la performance del sistema contro esiti indesiderati;
4. attuatori fisici in grado di operare sul sistema per realizzare la strategia di controllo.

Una città rientra certamente nella definizione del punto 1, e il punto 2 non sembra porre particolari problemi, Per esempio, il progetto di Roma in Tempo Reale usava cellulari e dispositivi GPS per raccogliere gli schemi di movimento della gente e dei mezzi di trasporto, e il loro utilizzo spaziale e sociale delle strade e i quartieri. Ma come mettere in atto la città? Anche se la città contiene di per sè diversi tipi di attuatori come i semafori e la segnaletica stradale aggiornata a distanza, un attuatore ben più flessibile sarebbe i suoi stessi abitanti.

Di conseguenza, noi stiamo creando una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani.

La visione del progetto, portata avanti dal SENSEable City Lab di Carlo Ratti, sta attualmente essendo applicata su Roma, Italia.

Visita il sito del progetto


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