... Però, il rimpatrio dell’antropologia non può fermarsi qui. In effetti, fatto il sacrificio dell’esotismo, l’etnologo ha perso quello che rendeva originali le sue ricerche rispetto a quelle disperse dei sociologi, degli economisti, degli psicologi sociali e degli storici.
Sotto il sole dei tropici l’antropologia non si accontenterebbe di studiare i margini delle altre culture. Anche se resta marginale per vocazione e per metodo, è comunque il loro centro che vuole ricostituire, il sistema di credenze, le tecnologie, le etnoscienze, i giochi di potere, le economie, insomma la totalità della loro esistenza.
Se ritorna al suo Paese si accontenta di studiare gli aspetti marginali della sua cultura, finisce col perdere tutti i vantaggi dell’antropologia, tanto faticosamente conquistati. [...]
Un Marc Augé simmetrico studierebbe non solo qualche graffito sui muri delle stazioni del metrò, ma la rete socio-tecnica del metrò stesso, i suoi ingegneri e conducenti, i suoi dirigenti e i suoi utenti, lo Stato proprietario e gestore, e via discorrendo.
Molto semplicemente, continuerebbe a fare nel suo Pese quello che ha sempre fatto laggiù. Ritornando, gli etnologi non dovrebbero limitarsi alla periferia, altrimenti, restando asimmetrici, dimostrerebbero coraggio verso gli altri e timidezza nei propri confronti.
(Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni. Saggio di antropologia simmetrica, Elèuthera, 1995, pp. 123)
17 dicembre 2009
Guardarsi
Pubblicato da
Giorgio Jannis
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