Ci risiamo. Come la Chiesa faceva con l'Indice dei libri da pubblicare, come i fascismi e i regimi totalitari han fatto nel '900 impedendo la libera circolazione delle idee, come da sempre il Potere cerca di fare riducendo al silenzio non solo la libera espressione dei Cittadini, ma anche il loro diritto universale di accesso all'informazione, ecco un altro tentativo di chiuderci la bocca e le orecchie.
Zitti e ignoranti, non solo non possiamo reagire, ma nemmeno sappiamo di poter reagire: qual miglior garanzia per chi comanda di non trovarsi qualcuno che mette i bastoni tra le ruote?
Ormai da molti anni, da quando è emersa la sua valenza sociopolitica, la rete internet è soggetta a tentativi di controllo "dall'alto" e a proposte di legiferazioni che cercano di limitare le potenzialità di comunicazione offerte dal web a tutti i cittadini.
Motivi tecnici (l'assoluta neutralità dell'infrastruttura della Rete rispetto ai contenuti pubblicati, per cui le mail del Presidente del Consiglio non viaggiano più veloci di quelle che spedisco io) e motivi etici (l'assoluta importanza della condivisione della Conoscenza tra le comunità locali e planetarie) garantiscono su web la libertà di espressione di ognuno di noi, fermo restando che i reati esistenti di diffamazione e di calunnia nei confronti di altre persone già ora permettono ai magistrati di inquisire chi ecceda nelle proprie invettive o chi pubblichi illazioni non comprovate dai fatti, senza bisogno di ricorrere a specifiche "leggi per internet", che guarda caso finiscono sempre per limitare le nostre libertà personali.
Qualche anno fa provarono a far tacere i blog, equiparandoli alla stampa periodica editoriale, cosa che evidentemente non sono, prescrivendo che per ogni sito web di informazione fosse indicato un direttore responsabile, ovvero un giornalista iscritto all'albo. Non funzionò.
Ma il web si è evoluto, quello che si poteva fare con il testo scritto oggi si può fare direttamente producendo e pubblicando in proprio contenuti di tipo audiovideo, da trasmettere liberamente.
Questo è quanto cerca oggi di regolamentare il decreto Romani, dove tra diritto d'autore e definizioni di broadcasting si indica come "i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale" debbano essere sottoposti a controllo governativo.
Significa che non possiamo più pubblicare liberamente documentazione video di tipo giornalistico, non possiamo fare più videostreaming inventandoci una nostra webTV (tecnicamente cosa ormai facile da realizzare, utilizzando semplicemente un cellulare connesso alla Rete), le piattaforme pubbliche tipo Youtube potrebbero vedersi oscurate per via di un video incriminato.
Dietro le limitazioni della libertà di espressione personale, si agitano ovviamente anche grossi interessi economici, quelli relativi alla battaglia in corso (il caso Mediaset-Youtube, a esempio) tra l'industria tradizionale degli audiovisivi e le nuove forme di pubblicazione disintermediata permessa dalla rete Internet.
Vi rimando per un'analisi tecnica del decreto Romani all'articolo di Elvira Berlingeri segnalato anche da Vittorio Zambardino su repubblica.it, nonché all'Osservatorio sulle famigerate "leggi di internet" disponibile presso Apogeonline.
Zitti e ignoranti, non solo non possiamo reagire, ma nemmeno sappiamo di poter reagire: qual miglior garanzia per chi comanda di non trovarsi qualcuno che mette i bastoni tra le ruote?
Ormai da molti anni, da quando è emersa la sua valenza sociopolitica, la rete internet è soggetta a tentativi di controllo "dall'alto" e a proposte di legiferazioni che cercano di limitare le potenzialità di comunicazione offerte dal web a tutti i cittadini.
Motivi tecnici (l'assoluta neutralità dell'infrastruttura della Rete rispetto ai contenuti pubblicati, per cui le mail del Presidente del Consiglio non viaggiano più veloci di quelle che spedisco io) e motivi etici (l'assoluta importanza della condivisione della Conoscenza tra le comunità locali e planetarie) garantiscono su web la libertà di espressione di ognuno di noi, fermo restando che i reati esistenti di diffamazione e di calunnia nei confronti di altre persone già ora permettono ai magistrati di inquisire chi ecceda nelle proprie invettive o chi pubblichi illazioni non comprovate dai fatti, senza bisogno di ricorrere a specifiche "leggi per internet", che guarda caso finiscono sempre per limitare le nostre libertà personali.
Qualche anno fa provarono a far tacere i blog, equiparandoli alla stampa periodica editoriale, cosa che evidentemente non sono, prescrivendo che per ogni sito web di informazione fosse indicato un direttore responsabile, ovvero un giornalista iscritto all'albo. Non funzionò.
Ma il web si è evoluto, quello che si poteva fare con il testo scritto oggi si può fare direttamente producendo e pubblicando in proprio contenuti di tipo audiovideo, da trasmettere liberamente.
Questo è quanto cerca oggi di regolamentare il decreto Romani, dove tra diritto d'autore e definizioni di broadcasting si indica come "i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale" debbano essere sottoposti a controllo governativo.
Significa che non possiamo più pubblicare liberamente documentazione video di tipo giornalistico, non possiamo fare più videostreaming inventandoci una nostra webTV (tecnicamente cosa ormai facile da realizzare, utilizzando semplicemente un cellulare connesso alla Rete), le piattaforme pubbliche tipo Youtube potrebbero vedersi oscurate per via di un video incriminato.
Dietro le limitazioni della libertà di espressione personale, si agitano ovviamente anche grossi interessi economici, quelli relativi alla battaglia in corso (il caso Mediaset-Youtube, a esempio) tra l'industria tradizionale degli audiovisivi e le nuove forme di pubblicazione disintermediata permessa dalla rete Internet.
Vi rimando per un'analisi tecnica del decreto Romani all'articolo di Elvira Berlingeri segnalato anche da Vittorio Zambardino su repubblica.it, nonché all'Osservatorio sulle famigerate "leggi di internet" disponibile presso Apogeonline.
1 commento:
L'aspetto più inquietante dei disegni di legge che riguardano Internet secondo me è nel continuo, ricorrente tentativo di equiparare un ambiente nuovo, aperto e reticolare a un medium. Per definizione Internet non può essere equiparato a media come i giornali o le TV: è il contrario esatto, siamo noi che ci affacciamo sul mondo e non il mondo che entra in casa nostra (secondo una rappresentazione decisa da una redazione e magari suggerita da qualche gruppo di potere). Ma pretendere che chi legifera capisca questo passaggio essenziale è evidentemente impossibile...
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