27 aprile 2007

Paesaggi antropici sonori





Nova24 Ora!: Cacciatori di rumori perduti



Cacciatori di rumori perduti



Sul numero di Nòva oggi in edicola un articolo di Michele Fabbri ci racconta una nuova moda nata sul web: internet sta diventanto un archivio dove conservare la memoria del suono. Stanno nascendo molti siti che archiviano voci quotidiane che provengono dal paesaggio.



Cliccando qui potrete per esempio ascoltare il suono emesso da un ciabattino ottuagenario che vive in un paesino delle Dolomiti (ritratto nella foto a sinistra), uno dei tanti casi raccolti dal progetto Acoustic environment in change



 Continuando a leggere questo post, invece, troverete i link per raggiungere i migliori siti che si occupano di preservare l'esistenza dei suoni in via di estinzione.



Ascoltare la voce di lavandaie in Vietnam, stazioni ferroviarie o rumori del porto di Vancouver. Ma anche comizi per strada, musica popolare. E ancora, squillo di vecchi telefonini e voci di motori. Ecco tre link da non perdere:



www.quietamerican.org

www.radiantslab.com/musiek/phonography

http://freesound.iua.upf.edu



Quest'ultimo ha una sezione molto interessante: cliccando qui - infatti - potrete ascoltare i suoni e scoprire la posizione geografica di provenienza grazie all'integrazione con Google Hearth.





26 aprile 2007

Stili

da Oltre l'e-learning by Gianni Marconato





Predichiamo costruttivismo e razzoliamo istruzionismo





Brent G. Wilson nel suo eccellente libro del 1996, “Constructivist Learning Environments”, un libro che ha influenzato non poco il mio pensiero (spero non tanto “debole”), proprio in apertura (pag. 4) offre una illuminante ed autorevole rappresentazione di come diverse visioni della conoscenza influenzino le nostre visioni dell’istruzione (instruction).





Wilson afferma che:





  • Se pensi che la conoscenza sia una quantità oppure un pacchetto di contenuti che aspettano solo di essere trasmessi, allora, il tuo orientamento sarà quello di pensare all’istruzione come un prodotto da essere distribuito attraverso un veicolo
  • Se pensi che la conoscenza sia uno stato cognitivo come viene riflesso negli schemi e nelle abilità procedurali di una persona, allora, il tuo orientamento sarà quello di pensare all’istruzione come ad un insieme di strategie didattiche finalizzate a modificare lo schema di quel individuo
  • Se pensi che la conoscenza sia un significato personale costruito nell’interazione con il proprio ambiente, allora, il tuo orientamento sarà quello di pensare all’istruzione come ad una persona che lavora con strumenti e risorse all’interno di un ambiente ricco
  • Se pensi che la conoscenza sia un processo di acculturazione o di adozione di modi di vedere e di agire di gruppo, allora, il tuo orientamento sarà quello di pensare all’istruzione come ad una partecipazione alle attività di tutti i giorni di una comunità 


Con questo post chiudo la serie sulla coerenza tra tra pensiero dichiarato ed azione, sulla molteplicità delle visioni e delle pratiche e sulla necessità di rendere esplicite e consapevoli le nostre "teorie implicite".





Tags:

20 aprile 2007

I bambini hanno un avatar, e giocano

Coipoincollo un post di Maestro Alberto, dedicato a StarDoll, community protetta per giovanissimi.

Ai vostri commenti lascio i risvolti educativi.







maestroalberto » Stardoll: che bambole!

Devo ammettere che quando Stardoll si è presentato al pubblico, l’ho un po’ snobbato, pensando che fosse un servizio troppo faceto e poco utile.





In meno di un anno Stardoll ha raggiunto un successo strepitoso: quasi 7 milioni di utenti e ogni giorno mezzo milione di adolescenti dai 7 i 17 anni accedono alla comunità.





In Stardoll ragazzini e soprattutto ragazzine costruiscono, animano e fanno agire un loro avatar, un sosia sotto forma di bambola. Adulti, genitori ed insegnanti, vigilano (o dovrebbero) tali attività.





E’ un colorato e divertente mondo immaginario, alternativo e virtuale, dove si può fare shopping, vestirsi alla moda, concorrere con le altre ragazze per diventare cover girl, inserire le sosia in scenari diversi, interagire con ospiti, amici ed amiche.





Un po’ The Sims, un po’ Barbie, bambini ed adolescenti possono dare libero sfogo alla loro fantasia, costruendosi un alter ego virtuale.





Ricchissimo il campionario delle celebrità rappresentate in Stardoll, anch’esse virtuali, con le quali possono essere fatte gran parte delle stesse cose che si fanno con il proprio avatar, in una totale forma d’identificazione ludica e coinvolgente.





I personaggi creati, alter ego personali e personaggi famosi, possono essere salvati in un album, stampati, condivisi con un’amica.





Se pensiamo al successo fenomenale di Second Life, al gusto che anche gli adulti hanno di vivere un’altra identità, realizzando attività diverse da quelle del mondo fisico e che spesso nella realtà rimangono solo un frustrante sogno irrealizzabile, si può facilmente capire l’approccio adolescenziale a Stardoll.





Del resto anche Second Life ha una sua area under 18 e promuove proficuamente il suo aspetto educativo, legato all’apprendimento a distanza, al lavoro di gruppo via internet, alla simulazione di attività autentiche, allo studio dei nuovi media e alla formazione aziendale.





Con un clic si ha la possibilità di intrecciare la vita di tutti i giorni con una vita parallela, in una parola di si può “giocare” e vivere un’esperienza a cui nessun bambino o adolescente intende rinunciare (e anche molti adulti… fortunatamente!).





Proprio vero: non esistono più le bambole di una volta…

4 aprile 2007

Quattro milioni e mezzo di Euro





Associazione per il Software Libero

Non verranno spesi oltre 4,5 milioni di euro, derivati dai contributi dei cittadini italiani, nell'acquisto di licenze di software proprietario (Microsoft) senza aver prima valutato tutte le possibili soluzioni tecnologiche adottabili e tanto meno senza aver considerato la possibilità di utilizzare software libero.

3 aprile 2007

Internet, la città, la rete sociale

di Sergio Maistrello

Da Apogeo, giugno 2006

Che cosa resta della retorica dell'innovazione alla fine della tormentata primavera elettorale? Poco coraggio e molta dispersione di risorse, soprattutto. E se all'amministrazione pubblica applicassimo le stesse intuizioni che stanno alla base di Internet? Il territorio come rete, il cittadino che dialoga, il municipio come social network: un'ipotesi tra Simcity e Monopoli.

Col referendum confermativo sulla riforma costituzionale, si chiude un lungo e a dir poco sofferto periodo elettorale. Qui, su Apogeonline, si era aperto con una riflessione di Andrea Granelli sulla retorica dell’innovazione, così presente e al tempo stesso così assente dai programmi elettorali dei partiti politici alla ricerca di un voto. Il bilancio, tre mesi e tante parole dopo, non è confortante. L’impressione, per farla semplice, è che la via all’innovazione suggerita nei programmi politici della collezione primavera-estate 2006 sia ancora saldamente ancorata alla retorica di inizio 2000: le autostrade dell’informazione, il divario digitale, i corsi di informatica per i cittadini. È chic e impegna poco, ma soprattutto non serve.

E dunque, visto che si avvia alla conclusione questa stitica stagione di realpolitik e si può ricominciare finalmente a progettare un mondo migliore, proviamo a tracciare uno stato dell’arte per il governo della complessità attraverso tecnologie nuove ma a misura d’uomo. Immaginiamo, per esempio, di essere il sindaco di un comune italiano di medie dimensioni che si pone il problema di come tradurre in pratica questa benedetta innovazione. Abbiamo due scelte a disposizione: possiamo inseguire faticosamente le buone pratiche altrui, disperdendo a pioggia un budget che per definizione è contenuto; oppure possiamo immaginare di prendere tutti i soldi a disposizione e investirli in un progetto complessivo in grado di anticipare (per una volta) l’innovazione e dare vita spontaneamente a buone pratiche. Visto che questo è l’equivalente di Simcity e i soldi sono come quelli del Monopoli, prendere la seconda strada richiede soltanto un po’ di immaginazione.

La prima considerazione è che abbiamo un bene scarso, la connettività, e un bene talmente abbondante da andare sprecato, l’informazione. Affrontare il primo ci mette nelle condizioni di dominare il secondo e mettere in circolo esperienze e competenze altrimenti disperse. Si tratta, in altre parole, di trasferire la complessità di un territorio in un ambiente in cui la gestione sia più agevole: per fare questo è necessario – ricorrendo a una locuzione che piace molto alle amministrazioni locali – fare rete. Questa volta però non è una metafora: si tratta proprio di posare un po’ di cavi, montare punti di accesso senza fili (e quel Naaw di cui si parlava in questo spazio nei giorni scorsi casca a fagiolo), distribuire l’accesso a Internet quanto più possibile e quanto più liberamente concede oggi la legge – considerandolo, come presto potrebbe essere davvero, un diritto insito nell’idea stessa di cittadinanza. Un investimento di questo tipo è costoso e non dà risultati immediati, ma è il volano imprescindibile.

Se la città è una rete sociale, dotare ciascun nodo di una connessione (dunque della cittadinanza digitale) significa proiettare su Internet una mappa della realtà locale, con tutti i vantaggi che si ottengono in fatto di velocità, bidirezionalità e uniformità di scambio delle informazioni. La città in Rete sarebbe un classico esempio di applicazione basata su rete sociale, un social network in cui una volta tanto lo scopo non sarebbe soltanto quello di incontrare amici (MySpace, Orkut, Friendster), pubblicare fotografie e video (Flickr, YouTube) o cercare lavoro (LinkedIn), ma di diventare protagonisti di un territorio e rappresentarne la complessità. Le reti sociali ci stanno educando all’idea di emergenza: partendo da regole semplici si ottengono schemi complessi che la semplice somma delle parti non avrebbe lasciato immaginare. Le formiche e il formicaio, i neuroni e il cervello, l’uomo e la civiltà: la dimensione collettiva è l’evoluzione del sistema. Più il sistema è efficiente ed esalta l’azione del singolo, più il sistema cresce: in questo senso, lo strumento Internet – con tutta la dotazione di pratiche con cui ottenere il miglior ordine possibile dal caos – fornisce l’opportunità di fare un salto epocale d’efficienza.

Metti progressivamente tutti i tuoi cittadini su un social network cittadino, lasciali esprimere, stimolali a costruire punti di presenza personali, promuovi la creazione di reti di identità e di comunità di interesse, invitali a spendere il loro capitale sociale nelle cause che stanno loro a cuore: avrai uno strumento inaudito di interpretazione del territorio. Tutto ciò richiede evidentemente una profonda rivisitazione dei ruoli: l’amministrazione, in una logica reticolare, non è più il centro ma uno dei nodi della rete senza ragno, un hub di hub, il primo tra i pari. Se la città è l’insieme di tante visioni del mondo quanti sono i suoi cittadini, chi la governa è il nodo deputato alla sintesi di questo flusso di comunicazione che prorompe dal basso. La rappresentanza non è più soltanto un voto quinquennale, ma l’interpretazione costante del racconto della realtà di ciascun nodo, corrisponda esso a un cittadino, a un’associazione, a un’istituzione o a una realtà produttiva. Chi interpreta meglio, governa meglio.

A cascata vengono tutte le sfide complesse che già ci si pone urgentemente, pur senza avere un supporto tecnologico adeguato: il superamento delle barriere d’accesso, le difficoltà di dialogo sociale, le opportunità imprenditoriali. Il circolo virtuoso nasce con l’infrastruttura di comunicazione e con le tecnologie per la condivisione sempre più diffuse, facili da usare ed economiche: gli strumenti più maturi di Internet stanno abilitando le persone a esserci, a partecipare, a organizzarsi spontaneamente tra di loro, a contribuire con le proprie idee, a supportarsi a vicenda in caso di bisogno. Un patrimonio di conoscenza (più o meno locale) distribuita e facilmente accessibile – in grado di dare risposte al giovane e all’anziano, all’imprenditore e al disoccupato, all’immigrato extracomunitario e al turista, all’associazione e all’istituzione – è un motore formidabile per la crescita di un territorio. Se dai alle persone un motivo per esserci, e non solo generiche istruzioni per accendere un aggeggio e lanciare programmi, è molto probabile che ci saranno.

Fantascienza? Sì, se si dovesse immaginare un progetto del genere imposto dall’alto, da un giorno all’altro. Tuttavia i fronti più evoluti di Internet ci parlano di un pubblico sempre più attivo, che non ragiona più come massa ma è informato e soddisfa facilmente bisogni individuali che in precedenza dipendevano da catene di mediazioni di tipo culturale, politico, informativo o economico. Non chiede più di essere ascoltato, lo pretende. Dove non trova orecchie disponibili, si organizza da sé aggregando spontaneamente competenze per risolvere esigenze nuove in modo nuovo. La scelta, già oggi, è tra il presidio sempre più costoso e conflittuale degli accentramenti di potere e l’accoglienza progressiva di quest’onda lunga, che promette di ridefinire la società almeno quanto a suo tempo fece la scrittura. Le prime scelte, a cominciare da quella di mettersi in ascolto, devono essere fatte già oggi. L’alternativa è la solita: accumulare ritardo e perdere competitività.



2 aprile 2007

Addio ai padri - Ernesto Galli della Loggia

Da "Corriere della Sera" 2 aprile 2007




I video di YouTube: giovani, scuola, valori





Addio ai padri




di
Ernesto Galli della Loggia



Corriere della Sera - Addio ai padri

Il colloquio che segue è tratto da un filmato su YouTube, registrato con un cellulare nella classe di una scuola italiana la settimana scorsa. Un alunno di una quindicina d’anni, è vicino alla cattedra con un microfono in mano e finge un’intervista alla professoressa: Alunno:Ma lei, professoressa, ha mai provato a mettersi un dito nel culo? Professoressa (imbarazzata e sussurrando): Ma che dici, via... Alunno: Ma lei quanto guadagna? Professoressa (come sopra): Non molto di certo... Alunno: Pensa che guadagnerebbe di più facendo la puttana? Questo il brutale, e testuale, referto delle parole. Le quali obbligano a infischiarsene del moralismo e a porsi una domanda: che cosa è, che cosa bisogna pensare di un Paese dove in un’aula scolastica è possibile un simile scambio di battute?




E dove è possibile che ciò accada senza che nelle 24 ore successive (almeno a quel che si sa) vi sia alcuna reazione significativa? A proposito di episodi di brutalità, di violenza o di rifiuto delle regole più elementari del vivere civile come questo, che si susseguono nelle nostre scuole, non è più possibile evocare la categoria onnicomprensiva di «bullismo ». Non è più possibile, cioè, rifugiarsi nella dimensione del patologico e magari pensare che l’azione di un ministro (che pure è necessaria e urgentissima: si svegli onorevole Fioroni, si svegli!) possa essere il rimedio. Certo: la scuola e l’istruzione sono coinvolte, eccome!, ma si tratta di ben altro. Si tratta nella sostanza di una frattura immensa che nella nostra società si è aperta tra le generazioni.




Una frattura che comporta spesso l’impossibilità di trasmettere dai padri ai figli i modelli comportamentali, le gerarchie dei valori accreditati, perfino le regole della quotidianità, che i primi bene o male si credevano tenuti a osservare e che i secondi oggi, invece, neppure quasi conoscono o trattano con assoluta noncuranza. Beninteso, nell’epoca della modernità tutti i passaggi generazionali hanno registrato un problema del genere, che però oggi si presenta in modo radicale per la presenza combinata di due fenomeni inediti e dirompenti. Da un lato l’enorme innalzamento del reddito che da mezzo secolo caratterizza tutte le nostre società, e che consente oggi anche ai giovanissimi, per non dire agli adolescenti, di avere in tasca (o di poter ragionevolmente aspirare ad averlo) denaro da spendere per un ammontare finora impensabile (quanti quindicenni nel 1960 potevano avere un mezzo di locomozione proprio?).




Dall’altro, più o meno nello stesso periodo, ha preso forma una gigantesca rivoluzione scientifico-tecnica di portata generale, sì, ma capace di irrompere in modo pervasivo nella quotidianità del privato (si pensi alla pillola, alla tv, a Internet, all’ingegneria genetica), ed è in questa nuova quotidianità—distruttiva degli antichi universi valoriali e stilistici rappresentati esemplarmente dalla scuola—che si forma la nuova soggettività giovanile, forte del suo potere d’acquisto e non più orientata a un rapporto di imitazione con il mondo adulto ma piuttosto in arrogante, spesso aggressiva e violenta, contrapposizione a esso. Il cui simbolo è non a caso il cellulare.




E’ accaduto, insomma, che nel tardo XX secolo i giovani siano divenuti i fruitori/apostoli di tutte le maggiori novità tecnico- scientifiche e in genere della massiccia innovazione sociale, acquisendone per riverbero il prestigio e un profondo sentimento di autonomia. I padri, invece, sono andati inevitabilmente perdendo, di pari pari passo, il senso culturale del proprio ruolo e dei valori ricevuti e la sicurezza in se stessi. Tutto ciò è specialmente vero per l’Italia perché in Italia la cultura dei padri era particolarmente fragile. Priva di forti modelli tradizional-borghesi, influenzata profondamente dall’incerto permissivismo sessantottesco e dai luoghi comuni culturali del politicamente corretto, essa si è trovata in una situazione di totale debolezza davanti all’irruzione dei processi di autonomizzazione della soggettività giovanile.




Non solo. Da noi era specialmente debole proprio l’istituzione deputata in primis a fare i conti con quella soggettività: la scuola. Cosa poteva mai opporre alla straordinaria sfida dell’epoca la povera scuola italiana, che arrivava all’appuntamento dominata dai sindacati, gestita da una lobby di pedagogisti di regime e guidata da politici paurosi, interessati solo alla carriera?




02 aprile 2007



http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/04_Aprile/02/addio_ai_padri.shtml