19 agosto 2011

Il lavoro di domani

Un'importante compagnia telefonica offre un posto di lavoro, di quelli moderni, di quelli che nessun padre oggi sospetta il figlio potrebbe occuparsi domani, perché si tratta di professionalità nuove, mai viste.
Quali scuole preparano le persone a affrontare con competenza il mercato lavorativo della Società della Conoscenza? Come rifare la scuola, per adeguarla ai cambiamenti odierni?

User Experience Manager
Il 'manager dell'esperienza-utente' gestisce la valutazione della progettazione centrata-su-l'utente (user-centered design), esegue analisi sull'architettura dei contenuti, agisce come Esperto di Usabilità su progetti online, pianificando, eseguendo e documentando test di usabilità di vario tipo. Avendo come responsabilità massima l'analisi e l'ottimizzazione dei percorsi di navigazione dei fruitori online dentro l'Online Marketplace, lavora a stretto contatto con i manager di Prodotto e di Contenuto aiutando a identificare aree di miglioramento e possibili soluzioni di sviluppo. Cerchiamo una persona con la passione di identificare schemi (patterns) dentro i dati e usare queste informazioni per ridurre i fattori di attrito tra i siti istituzionali di e-commerce e info-commerce della Compagnia, le campagne mediatiche online, gli strumenti di cura digitale (digital caring tools).

11 agosto 2011

Curation in classe

La parola curation e i content curation tools, ovvero gli strumenti per la cura dei contenuti, sono tra le novità su web del 2011.
Semplicemente, la necessità di padroneggiare centinaia o migliaia di flussi informativi, i feed dei blog e delle news e degli Alert, le segnalazioni sui social, ha portato a sviluppare il concetto di aggregazione-pubblicazione delle fonti, proprio mentre nascevano strumenti web-based per ottimizzare il processo di selezione delle notizie e della loro diffusione in altri ambienti sociali digitali.
In realtà il processo completo da "ingegnerizzare" è formato dalla catena "ascolto -> aggregazione -> selezione -> reimpaginazione -> ripubblicazione -> feedback". 
A riguardo della curation ho scritto qualcosa qui su Apogeonline tempo fa, e sul mio blog
Utilizzando questi strumenti online, avendo sempre in mente come prima regola che il miglior filtro all'information overload è dato dalle nostre cerchie sociali amicali e professionali, è possibile focalizzare e potenziare la ricerca delle informazioni e delle conversazioni che intendiamo seguire in Rete, tarando opportunamente i meccanismi del dispositivo secondo le parole-chiave o i feed su cui intendiamo restare sintonizzati.

Scoop è uno di questi ambienti online per fare curation: si tratta di scegliere un titolo per l'argomento o topic che si intende trattare, il motore interno aggrega le fonti che corrispondono alle keywords da noi immesse, e per finire una efficiente interfaccia per la selezione delle notizie meritevoli di ripubblicazione da parte nostra permette di impaginare in una sorta di magazine composto dalle nostre segnalazioni. A esempio, qui trovate il mio Scoop dedicato all'arte della curation, qui quello pensato per tutte le notizie riguardo il nostro essere netizen cittadini della Rete, e qui quello centrato nel riportare conversazioni che ruotano attorno alla tematica della Reputazione online.

Proprio nel curare le fonti attinenti all'utilizzo di content curation tools nella didattica scolastica, mi sono imbattuto in due articoli interessanti: uno ospitato proprio sul blog di Scoop.it, intitolato esplicitamente Curation and Education, l'altro su Mind/Shift, How Can Web 2.0 Curation Tools Be Used in the Classroom?.

Si tratta di utilizzare Scoop per portare la classe a tenere monitorata la trattazione di un particolare argomento. Immaginiamo un insegnante che ogni due giorni tra le attività a cui dedicare venti minuti la mattina apra Scoop su una LIM oppure proiettandolo sullo schermo, e controlli quali sono le ultime notizie (eventi, articoli) riguardo Napoleone o sul Teorema di Pitagora, su un fatto di cronaca o su una tematica di rilievo. Socializzando la curation nel gruppo classe, nutrirebbe gli allievi di informazioni e di spunti di discussione, mostrerebbe concretamente metodi e criteri di selezione e di pertinenza, permetterebbe un ancoraggio maggiormente contestualizzato delle nozioni apprese, insegnerebbe l'ecologia del web nella riflessione sui Luoghi di ripubblicazione, tipicamente qualche social.
Competenze dell'Abitare, necessarie alla prossima generazione per sapersi orientare nel territorio digitale.



10 agosto 2011

E-partecipation e progetti europei

Un brano di Alberto Cottica, l'ho preso qui: il ragionamento comincia valutando la consistenza dell'impegno economico sui progetti europei di promozione della e-partecipation, ne sottolinea l'insostenibilità indagando cause e metodi, e continua mettendo a nudo le inefficienze del sistema delle Pubbliche Amministrazioni, per quanto queste siano costutivamente inadeguate a proporre innovazioni nel rapporto tra Istituzioni e Cittadini - il difetto è nel manico, si direbbe. Oppure come dice Cottica parlando della burocrazia: "il suo potere discrezionale è molto limitato by design". E propone un patto di fiducia, su cui concordo. E' dai valori relazionali, dal clima affettivo che si intende instaurare negli ambienti di lavoro che discendono la motivazione, l'enpowerment degli individui e delle organizzazioni, la diversa postura da adottare per poi ottenere risultati visibili e consistenti.

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550 euro per un post: il fiasco inevitabile dell’e-participation



"Pedro Prieto-Martin, ricercatore spagnolo e occasionale commentatore di questo blog, ha pubblicato un saggio in cui fa il punto sull’e-participation in Europa. La sua diagnosi è impietosa:
  • la Commissione Europea è stata il primo motore della disciplina, lanciando diversi programmi di ricerca dedicati.
  • dal 2000 sono stati finanziati almeno 74 progetti in questa direzione, per un costo totale di circa 187 milioni di euro; una rete di eccellenza per altri 6; e, più tardi, una serie di iniziative di valutazione e di messa in rete delle esperienze fatte. Questo ha consentito l’emersione di una comunità di ricercatori che lavora sul tema.
  • uno di questi programmi, eParticipation Preparatory Action, è stato oggetto di una valutazione sistematica. Progetti finanziati: 20. Costo medio: 715.000 euro. Numero medio di utenti per progetto: 450. Numero medio di contributi user generated (post o firme a petizioni) per progetto: 1300. Costo medio del post o della firma alla petizione per il contribuente europeo: 550 euro.
La comunità di ricerca sull’eparticipation è riuscita a ignorare questi numeri. Gli studi di valutazione dei progetti della Preparatory Action sono “unanimemente positivi”. Nonostante la richiesta della Commissione di una rigorosa analisi costi-benefici nessuno di questi studi avrebbe mai citato il dato dei 550 euro. E la Commissione stessa ha deciso, se pur con qualche correzione, di continuare sulla stessa strada: la principale differenza tra questa prima generazione di progetti e quella successiva (progetti approvati nel 2009 e 2010) è, secondo il saggio, il budget, che è cresciuto fino a raggiungere la cifra media di 2,8 milioni di euro. Come spiegare un’omissione così clamorosa? Secondo l’autore
Temi di questo tipo sono come il proverbiale elefante nel soggiorno di casa: trattarli è problematico, perché la loro stessa esistenza tende a essere negata a causa della loro complessità e dell’imbarazzo che causano. Il risultato è che non si riesce nemmeno a riconoscere che esistono e a discuterli, figuriamoci a risolverli.
Prieto-Martin pensa che la ragione della performance insoddisfacente dei progetti di e-participation sia essenzialmente questa: in linea con la tradizione delle politiche europee dell’innovazione, hanno seguito una logica “push”. Questa consiste nel fornire incentivi ai produttori di tecnologie innovative a fornirle a utenti più o meno acquiescenti, nella forma che più conviene ai produttori stessi. E i produttori hanno risposto con entusiasmo; purtroppo – in parte a causa della generosità dei finanziamenti – si trattava di soggetti non molto adatti ad innovare. I “soliti sospetti”: organizzazioni abituate alla progettazione europea, che si muovono bene nelle regole burocratiche di questi programmi. Queste regole sono nate per garantire il buon utilizzo del denaro pubblico ed un’assegnazione imparziale ma – come spiega bene Augusto Pirovano di CriticalCity in questo video fulminante – finiscono per essere escludenti nei confronti delle piccole imprese e associazioni esponenti della società civile, i veri innovatori.
Prieto-Martin è fortemente critico, e a ragione. D’altra parte non credo che abbia senso incolpare la Commissione Europea per questo fiasco. È una burocrazia weberiana: il suo potere discrezionale è molto limitato by designCome ho già scritto, tutte le burocrazie faticano molto ad avere rapporti con le comunità in rete: le comunità sono fatte di persone, e vivono nel rapporto tra persone, le burocrazie weberiane agiscono, invece, sulla base di regole standardizzate, che prescindono completamente dall’individualità. Quello che ho scritto in quell’occasione mi convince ancora:
[...] vedo solo una possibilità: un new deal tra la pubblica amministrazione e le donne e gli uomini che lavorano per essa. Il new deal funziona così: la PA deve dare fiducia e spazio per lavorare ai suoi servitori; e poi valutarne i risultati, premiare chi fa bene e punire chi fa male. Se ci sono abusi, si affronteranno caso per caso: progettare un intero sistema con l’obiettivo di prevenirne i possibili abusi rischia di renderlo rigido e disfunzionale.
Non sono un giurista, ma non credo proprio che le burocrazie weberiane possano autoriformarsi in questo senso: immagino che per questo ci sia bisogno di una normativa che proviene dall’esterno della burocrazia stessa, cioè dal legislatore. Fino a che questo non avverrà, un certo numero di elefanti accampati in soggiorno sarà inevitabile.