13 dicembre 2010

Gestire le città

via Downloadblog



Grazie ad IBM, la città texana di Corpus Christi, che conta 280000 abitanti, potrebbe diventare un esempio di efficienza e di sostenibilità ambientale. Il progetto di IBM battezzato Smarter Planet promette di usare le tecnologie più avanzate per trasformare le città mediante software per la misurazione, il monitoraggio e l’ottimizzazione delle risorse idriche, delle strade, degli aeroporti, parcheggi e tutte le infrastrutture fondamentali per la vita di un centro urbano.

Il software sviluppato da IBM permette una visione in tempo reale dello stato delle risorse controllate ed, insieme ad una rappresentazione su una mappa dettagliata del territorio, mette in evidenza le zone che presentano delle criticità da affrontare. I cittadini di Corpus Christi hanno già risparmiato molti litri d’acqua grazie all’uso dei sistemi di controllo messi a loro disposizione dal colosso americano: piccole falle nel sistema di tubature, che causavano enormi perdite globali, sono state individuate e pian piano sono in via di riparazione.

Altre città sarebbero all’attenzione dei tecnici: presto grandi centri come Londra, Stoccolma, Sydney, Dublino ed Amsterdam potrebbero adottare un sistema simile per gestire le loro risorse in maniera più intelligente. La somiglianza di questo sistema con giochi come SimCity salta all’occhio immediatamente e già ci si immagina il sindaco o l’amministrazione comunale con un mouse in pugno a cercar di risolvere ingorghi stradali o ristrutturazioni di edifici fatiscenti. Per fortuna nessuno avrà l’opzione di inviare alieni, uragani o terremoti con un semplice click come nel gioco della Maxis.

Maggiori informazioni sul sito IBM (in inglese).

1 dicembre 2010

DireFare a Pordenone: visioni di comunità


Sul Messaggero Veneto di oggi, 30 novembre, a pagina 5 del fascicolo di Pordenone:


DirefarePn.it, giovedì cominciano gli eventi
La rassegna sul futuro della città: protagonisti i pordenonesi residenti all’estero
Da giovedì a sabato, il ristrutturato Palazzo Badini in piazzetta Cavour ospita “DireFare.pn.it”, tre giorni di incontri, forum e workshop per condividere idee, informazioni, esperienze tra la città e i giovani pordenonesi nel mondo che per studio o per lavoro risiedono in altri paesi. La scorsa settimana, alla presentazione dell’evento, promosso dal Comune di Pordenone con la consulenza dal sociologo Luca Romano che coordina il progetto, il Sindaco Sergio Bolzonello aveva detto che «Direfare.Pn.it non è un evento sulla “fuga dei cervelli”, ma un modo di creare valore mettendo in rete le competenze tra chi è rimasto e chi è altrove, un modo per coinvolgere insieme in progetti scientifici e sociali, made in Pordenone. Per questo – aveva concluso – abbiamo deciso di dialogare con i “pordenonesi altrove”, giovani che per scelta personale e professionale hanno deciso di trasferirsi all’estero e li abbiamo invitati qui a Pordenone».
Il programma comprende incontri, forum, workshop dedicati all’innovazione d’impresa, alle reti internazionali dei saperi, della cura, dei mercati e della società digitale, della sostenibilità, un confronto con i “Pordenonesi altrove” che provengono dalla Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Francia Ecuador, Germania, Giappone, Danimarca, Mozambico, Egitto, Francia, Israele. Si comincia giovedì 2 dicembre alle 15 con il forum “La cura e l’aiuto sociale nella società che cambia” tema affrontato in due sessioni : “La cura e l’aiuto tra locale e globale”, con il confronto tra operatori che lavorano nel campo dell’aiuto alle persone in ambito sociale e sanitario e “Impresa innovativa chiama welfare comunitario”con il contraddittorio sulle “Buone pratiche” tra Piergiorgio Angeli, Direttore Risorse umane Operations di Luxottica Group e il finlandese Martti Launonen, amministratore delegato di Vantaa Innovation Institute.
Alle 17.30 l’inaugurazione dell’esposizione “Pordenone, una strategia per l’urbanistica sostenibile” nello spazio espositivo al primo terra. Dalle 18 alle 20 Giuseppe Granieri, autore per Laterza del saggio La società digitale e Giorgio Jannis, semiologo e progettista di spazi sociali in rete, introdotti e moderati dal giornalista Sergio Maistrello dialogheranno su “La società si fa rete, nuovi processi di partecipazione e responsabilità”. In un’altra sala i “Pordenonesi altrove” che operano nel campo della sostenibilità ambientale si confrontano con istituzioni, imprese e operatori impegnati a Pordenone sviscerando tematiche legate a sviluppo delle nuove tecnologie di produzione delle energie rinnovabili, sulla gestione dei rifiuti, del ciclo idrico, su verde urbano, sui materiali per la bioedilizia, sui mezzi di trasporto pubblico ecocompatibili, sull’ampliamento piste ciclabili e sulla mobilità ecologica.

8 novembre 2010

Ebook scolastici e pateracchi

Questo è il governo del fare business, nessuna meraviglia.
Ma qualunque imprenditore serio sa che la sua scommessa riguarda il futuro, e le aziende virtuose sono quelle che innovano, quelle che fanno ricerca.
Ma gli imprenditori che abbiamo al governo pensano all'oggi.
I fondi per ricerca, formazione e istruzione vengono inesorabilmente tagliati, viene seriamente compromessa la qualità dell'insegnamento e degli ambienti formativi.
Non solo: le cose pubbliche come la scuola vengono gestite come pretesti per fare affari, intrallazzi poco chiari.

La vicenda che racconta Agostino Quadrino di Garamond in questa nota su Facebook riguarda a esempio il mercato della didattica digitale, degli ebook e dei learning-object, dove curiose amicizie tra Telecom e Mondadori si spiegano alla luce dei 750 milioni di euro che ogni anno le famiglie italiane spendono in editoria scolastica.


La deriva (pilotata) dell'innovazione digitale nella scuola italiana.


Eccomi qui di nuovo per condividere alcune considerazioni sullo stato dei progetti di innovazione nella scuola italiana, che considero molto preoccupante, e non solo per Garamond. Purtroppo non riuscirò ad essere breve, e me ne scuso, ma la materia è tale e tanta che non è possibile sintetizzare con la consueta stringatezza.

Lo faccio con indignazione, perché è davvero inaccettabile la situazione di difficoltà in cui si trovano attualmente aziende serie e oneste come Garamond, impegnate da molti anni nell'innovazione a scuola, strette fra una pubblica amministrazione che riduce sempre di più le risorse per l'innovazione e in generale per la formazione e l'istruzione, e le lobbies delle grandi aziende editoriali, che vivono delle rendite di mercati chiusi e protetti, come quelli del libro di testo, che le inducono a restare allineate e coperte, cercando di protrarre più possibile la vita di un sistema molto redditizio (750 milioni di euro all’anno), magari fino alla pensione dei suoi anziani manager da 2-300 mila euro di compenso annuale, e alle spalle dei tanti giovani collaboratori precari, che lavorano 10-12 ore nelle loro redazioni per 8-900 euro al mese?

Partiamo dalla pubblica amministrazione e dalle responsabilità di chi ci governa.
Accennavo sopra all'indignazione e la ragione sta nel fatto che la pubblica amministrazione italiana non paga più. La società che dirigo vanta crediti con diversi soggetti della P.A. per svariate centinaia di migliaia di Euro, in sospeso da mesi o da anni, derivanti da forniture di beni (immateriali e anche materiali) e servizi (formazione e contenuti online) regolarmente acquistati e mai pagati, fino ad oggi.

Ciò inevitabilmente comporta una incapacità per Garamond di onorare a sua volta gli impegni economici con i suoi fornitori, con i tanti autori, consulenti, formatori, tutor ecc. che hanno lavorato per noi - magnificamente - in questi mesi/anni e che sono (più o meno pazientemente) in attesa di ricevere i loro legittimi compensi. Ce ne saranno certamente non pochi fra coloro che leggono questa newsletter, ai quali sono grato per la paziente attesa e - nella maggior parte dei casi - la fiducia e la comprensione che ci riservano, ben sapendo che hanno a che fare con una società seria e con gente onesta che ha sempre onorato i suoi impegni.

Però tutto ha un limite.
Non è più accettabile, ad esempio, che la Regione Lazio non eroghi i versamenti degli "acconti" (!?!) di quanto dovuto per un progetto da noi sostenuto - anche forniture hardware di centinaia di computer, lavagne interattive e videoproiettori - iniziato addirittura nell'ottobre 2008 e concluso nella scorsa primavera.
Non è accettabile che la Presidenza del Consiglio, per il tramite del Dipartimento Innovazione e Tecnologie per il progetto "Innovascuola", non versi alle scuole i fondi stanziati da due anni per l'acquisto di contenuti digitali da noi forniti da quasi un anno, e di conseguenza le scuole non siano in grado di pagare noi.

La realtà e la ragione di questi “ritardi” è oramai evidente: il governo centrale, per ragioni politiche a tutti evidenti, ha deciso di non erogare più alcun finanziamento e fondo alle amministrazioni locali come le Regioni e ai singoli ministeri, come recentemente denunciato anche da un ministro in carica (“Le ricostruzioni del Tesoro sono assurde e fantasiose. C'è la fila di ministri davanti alla porta di Tremonti e tutti chiedono di poter spendere i fondi stanziati, ma bloccati con mille tecnicismi." (S. Prestigiacomo). Il Ministro dell’Economia intende così mantenere artificiosamente l’equilibro finanziario dello Stato facendo una cosa veramente geniale: bloccando le uscite. Peccato che, così facendo, il peso del dissesto finanziario dello Stato sia scaricato sulle aziende come la nostra, sui suoi collaboratori e i suoi dipendenti, che non vedono riconosciuti i propri diritti ad essere regolarmente pagate e sono condannate a ricorrere a tutte le risorse possibili ed impossibili per restare in vita e non buttare a mare decenni di lavoro e di impegno.
Naturalmente, con l’attuale governo, i tagli più forti e inderogabili sono proprio ai settori della formazione, dell’istruzione, della ricerca, della cultura, e questo chiude il cerchio che soffoca tutti coloro che vi sono impegnati - insegnanti, formatori, ricercatori, operatori della cultura in tutte le sue forme - incluse le aziende che vivono di questo, come la nostra. Si tolgono fondi per i progetti di innovazione, non si paga più il pregresso, e si riducono sempre più gli investimenti in conoscenza e tecnologia: da qui al naufragio complessivo della nostra economia il passo è breve, anzi forse è già stato compiuto.

In questo contesto non è accettabile che capi-dipartimento, dirigenti e funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione responsabili del progetto “Cl@ssi 2.0” (30 mila euro a scuola per le 156 medie selezionate lo scorso anno, 15 mila per le altre 250 elementari e superiori che saranno selezionate ora) dichiarino per due anni che tali fondi non possono essere spesi per i contenuti digitali perché beni immateriali "non inventariabili" (sic! ma non stiamo parlando di 2.0, di digitale e di rete? e ci venite a raccontare che può essere acquistato solo ciò che è materiale? surreale…) e poi fanno accordi con grande risonanza e firme in diretta a reti unificate fra MIUR e Telecom Italia sui progetti “Scuola digitale” - incluso “Cl@ssi 2.0” - in cui sono compresi anche “materiali didattici e contenuti digitali a integrazione e supporto della didattica e della formazione in servizio degli insegnanti impegnati nei processi di innovazione”.

Ah sì? Se i contenuti sono proposti da Garamond non vanno bene, mentre se è Telecom (ma che competenze e titolarità editoriale ha un’azienda di telecomunicazioni? non le si dovrebbe chiedere molto più semplicemente e correttamente di far arrivare la banda larga dove ancora manca, e in tutte le scuole?) allora la cosa è lecita, opportuna e benedetta dal Ministro in persona, con tutti i dirigenti in prima fila sorridenti e soddisfatti per l'ottimo lavoro svolto?

E che dire del fatto che la stessa Telecom Italia, con cui il MIUR firma accordi e protocolli d’intesa, ha appena lanciato “Biblet”, una piattaforma di E-Book http://ebook.telecomitalia.it/ quando sta per entrare in vigore la normativa sull’adozione obbligatoria di libri digitali come testi scolastici? Interessante coincidenza, no?

E vogliamo aggiungere anche che - guarda il caso - il partner editoriale di Telecom Italia per la medesima piattaforma di libri digitali è il principale produttore di libri di testo per la scuola in Italia (insieme a Rcs), ovvero la casa editrice Mondadori, la cui titolarità è notoriamente del Capo del Governo?

Che fare? Rimanere in silenzio o andare con il cappello in mano presso qualche dirigente ministeriale troppo preso da ben altre occupazioni per dare udienza ad una piccola realtà non sempre docile e accomodante? No, non lo faremo. Ora basta.

Ovviamente, sulle questioni qui sollevate abbiamo posto domande e quesiti per iscritto ai responsabili del MIUR, ovvero al capo dipartimento Giovanni Biondi, al direttore Fidora e alla dirigente Schietroma: siamo ancora in attesa di una pur minima replica, essendo il silenzio - da sempre - l’unico modo di reagire di un certo tipo di funzionari pubblici.

Da ultimo, su questo fronte: ho partecipato come membro della FIDARE, Associazione degli Editori Indipendenti, ad un incontro al Ministero in cui ci è stato prospettato un nuovo progetto, dotato di un finanziamento di 3 milioni di Euro, destinato proprio ai contenuti digitali. Tralascio in questa sede le nostre osservazioni sulle Linee Guida fornite in quella sede, concentrandomi su un punto capitale. Si hanno a disposizione 3 milioni di Euro per i contenuti didattici digitali e su che cosa punta il Ministero? Ebook, learning object per lavagne interattive (fornite in gran quantità, ma attualmente prive di contenuti disciplinari, quindi sostanzialmente vuote e dunque inutili). Nossignori: viene promosso un progetto che finanzia 30 “prototipi” (sic!) da 100 mila euro ciascuno, per contenuti realizzati sotto forma di “ambienti immersivi integrati anche tridimensionali”, sotto forma di videogiochi educativi di seconda generazione (?). Ma perdinci, come si fa ad assegnare fondi così cospicui (con cui ci si potrebbero acquistare migliaia di interi nostri cataloghi di E-book e Learning Object, nuovi, dignitosi e pronti per l’uso in classe) destinati ovviamente solo a grosse società di produzione di videogames, magari estere, parlando di “seconda o terza generazione”, quando nelle nostre scuole non si è vista nemmeno l’immacolata concezione dei contenuti digitali?

Ma questi dirigenti del Ministero sono mai andati in una scuola a vedere l’effetto che fa su insegnanti e studenti un semplice ma efficace learning object di matematica, di scienze o di inglese, eseguito su una lavagna interattiva? Hanno mai visto come si avvicini alla tecnologia e all’innovazione anche il docente più riottoso, quando gli si fa vedere un pezzo della sua lezione di domani o di ieri in seconda C, interattivo, multimediale e ricco di test e verifiche online e offline? Questi docenti sentono davvero l’esigenza di “ambienti immersivi tridimensionali” per dare un senso alle LIM che hanno sulla parete delle loro classi? Non sarebbe bene, prima di arrivare alle seconde e terze generazioni, far prendere contatto e familiarità con quello che già c’è, per tutte le materie e i gradi di scuola, realizzato da docenti per docenti, a basso costo e di grande spendibilità didattica, assegnando ad ogni singola scuola qualche centinaio di euro da impiegare su un mercato libero? Chiediamo troppo?
Forse il fatto che solo Garamond abbia investito in questo settore in questi anni, producendo più di seicento learning object e 45 Ebook di testo, ultimando i suoi cataloghi proprio ora con prodotti nuovissimi (del tutto innovativi quelli ad esempio per la scuola primaria), non fa piacere a qualcuno che invece è rimasto fermo? Diversamente non si spiega, visto che dovrebbe essere interesse della pubblica amministrazione dotare le scuole del grado iniziale dei contenuti didattici digitali, visto che ci sono e qualcuno ci ha speso anni di impegno per realizzarli.

Credo che questo stato di cose complessivo imponga moralmente una reazione, che spero sia compresa dai tanti colleghi che ci seguono da venti anni e più, e che voglio sperare non ci lasceranno da soli in questa dura battaglia. Ci batteremo con ogni mezzo lecito per difendere il lavoro di chi collabora con noi attualmente, di chi ha lavorato in passato con professionalità e passione per Garamond e ancora attende di essere compensato per quello che ha fatto, di chi si rivolge a noi augurandosi di trovare un futuro per le sue competenze e conoscenze.

Come sempre, tutti i nostri canali di interazione sono aperti, sul nostro Blog, sui nostri forum, su facebook e ogni altro ambiente di rete e non,per raccogliere le impressioni, le critiche e le proposte di chi come noi ha la ferma volontà a reagire a questo degrado di cultura, professionalità, dignità e iniziativa imprenditoriale libera e indipendente.

30 ottobre 2010

Le tecnologie nella scuola

Un articolo di Mario Fierli, su Educationduepuntozero, dove si prova a fare il punto sulla situazione delle tecnologie didattiche. 
C'è anche un link a un documento in .pdf  Le tecnologie nella scuola: una piccola antologia di contributi di vari autori - Francesco Bailo, Elena Serventi, Stefano Merlo, Maria Altieri, Lucia Ferlino, Luigi Oliva, Giovanni Paolo Caruso, Andrea Mameli, Fabrizio Emer, Roberto Maragliano, Gino Roncaglia, Paolo Ferri, Daniele Pauletto, Immacolata Nappi, Fiorella Operto, Carlo Infante.

Le tecnologie nella scuola: che cosa si dice e che cosa succede davvero
di Mario Fierli

Dai contributi teorici, dalle analisi dei singoli media e dal racconto di esperienze emerge il problema di sempre: le nuove tecnologie cambiano o no il modo di fare scuola? Le risposte a questa domanda nello speciale di Education 2.0 scaricabile in PDF.

È successo per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella scuola quello che avviene per tutte le nuove tecnologie che entrano con forza nella società. Si passa da una fase d’avanguardia, accompagnata da teorizzazioni, esercizi di immaginazione, utopie (positive e negative), a una fase di più silenziosa pratica effettiva. In qualche modo le TIC sono oramai nelle mani degli studenti e dei docenti. Per la verità molto di più nel lavoro e nella vita di ciascuno di loro che nel loro comune lavoro a scuola. È quindi necessario continuare a produrre studi, suggerimenti e modelli, ma è oramai possibile fare analisi di quello che succede veramente. I contributi di esperti e gli interventi nella Community di Education 2.0, a oggi, non sono di per sé la base di una indagine sistematica, ma la loro lettura permette di riflettere.

I contributi sono rivolti essenzialmente a tecnologie o applicazioni più “calde” e recenti: e-book, social network, LIM, ma con una rivisitazione del rapporto fra immagini (cinema), musica e testi e con l’interessante crescita della ormai classica robotica. Di temi che ci hanno appassionato per anni (Come incide la videoscrittura nella concezione del testo? Come si crea una cultura della ricerca di informazioni in Internet? È vero che l’uso del calcolo automatico è dannoso? E così via) non c’è traccia. Probabilmente quando alcune cose oramai si praticano di fatto se ne parla meno e ci si preoccupa meno dei risvolti. Se ne può avere una verifica in molti interventi (per esempio in quelli del convegno di aprile di Education 2.0), classificati in vari temi, nei quali l’uso delle tecnologie c’è di fatto, ma non viene enfatizzato. In conclusione solo una parte di quello che succede davvero emerge nel dibattito specifico sulle TIC.

Dai contributi teorici, dalle analisi dei singoli media e dal racconto di esperienze emerge il problema di sempre: le nuove tecnologie cambiano o no il modo di fare scuola? Molti anni fa una corrente di pensiero aveva concepito l’idea che l’uso delle tecnologie, di per sé, dovesse per forza provocare l’innovazione didattica. Se le tecnologie hanno cambiato il modo di lavorare, viaggiare, produrre cultura e leggere, perché non dovrebbero cambiare il modo di fare scuola? Quindi l’idea delle tecnologie come “leva”: visto che l’innovazione non viene dalle riforme istituzionali e dal dibattito su metodi didattici, saranno i nuovi mezzi che la promuoveranno. Sarà che la scuola è il più coriaceo sistema sociale, capace di resistere a qualsiasi provocazione (a volte, intendiamoci, a fin di bene). Fatto sta che all’automatismo tecnologie-innovazione didattica non ci credono più in molti. Si può ragionare su qualsiasi medium, ma il caso delle LIM è particolarmente chiaro, come si ricava da alcuni interventi: è ovvio che questi congegni si possono usare in tanti modi diversi al servizio di altrettanti modelli della lezione in classe e, fra questi, dei modelli più antichi. Il problema è che una lavagna interattiva non garantisce una lezione interattiva. L’interattività didattica consiste nel far interagire continuamente quello che l’insegnate dice, mostra e, soprattutto, chiede, con quello che gli studenti pensano, capiscono, hanno la possibilità di rispondere e di domandare. È imbarazzante costatare che è possibile fare lezioni interattive con la lavagna tradizionale e lezioni non interattive con la lavagna interattiva.

E allora cosa se ne deve concludere: che le nuove tecnologie non servono a niente? Certamente no. Esse sono potenzialmente rivoluzionarie perché possono rafforzare enormemente i modelli più avanzati di didattica. Ma non lo fanno gratis. Non c’è bisogno di meno, ma di molto più studio e di ricerca sui metodi, sui linguaggi, sui saperi.

29 settembre 2010

La forza social dell'organizzazione

Tempo fa postavo qui un ragionamento sulle tecnologie della comunicazione a disposizione della scuola, e intendevo proprio la singola Istituzione scolastica nel suo essere organizzazione e attore sociale con una sua voce specifica e una identità nella Grande Conversazione del web, non parlavo di didattica con i nuovi strumenti.

Lo spunto allora mi era stato dato da una riflessione tratta da intranetmanagement.it, dove si analizzava la portata e le sfere di azione degli strumenti del web20 in relazione alla progettazione di una intranet aziendale, o comunque di spazi interattivi interni e esterni di una organizzazione lavorativa.
Ora Giacomo Mason ha pubblicato un'altra bella grafica, dove fotografa i cambiamenti delle intranet, il loro diverso arredamento come spazi sociali lavorativi, l'accento differente messo sugli strumenti dall'avvento del social web e dei processi emergenti.
E anche stavolta, senza modificare nulla, suggerisco a chi lavora nel mondo della Scuola di provare a immaginarsi il proprio ambiente scolastico digitale realizzato secondo queste indicazioni, e le potenzialità che potrebbero derivarne in termini di efficienza della macchina organizzativa.

20 settembre 2010

Empowering communities


L’Open Govenrment è un’opportunità concreta di ottenere, attraverso la rete, un’amministrazione più efficiente e una migliore democrazia. Quest’opportunità, però, può essere colta solo a patto di comprendere che il vero cambiamento è fuori dal Palazzo e che la vera innovazione non è nelle tecnologie.

1 settembre 2010

Scrivere storie sulle geografie

L'argomento è quello della partecipazione delle collettività alla costruzione simbolica dell'identità di un territorio, lo stile e le azioni delle comunità che lo abitano. Ma non solo di immaginario stiamo parlando: le forme di emersione di nuove dimensioni e orientamenti dell'opinione pubblica locale possono tranquillamente farsi carico di tematiche molto più concrete, a esempio l'organizzazione logistica del tessuto urbano, la viabilità o lo spostamento di cose e persone, o dell'informazione quando ragioniamo di piattaforme istituzionali per la partecipazione della cittadinanza a forme di progettazione sociale condivisa e collaborativa, la vera conversazione tra Ente locale e cittadini.

Nel primo caso il fare comunicativo della comunità locale, l'insieme dei discorsi e delle posizioni dei parlanti riguardo a descrizioni fisiche o sul funzionamento concreto di un ambiente urbano, come pure valutazioni estetiche sul paesaggio o sulle filiere di distribuzione economiche e produttive locali, contribuiscono con la loro polivocalità a dipingere l'immagine dinamica di quel territorio, per come essa emerge dall'incessante conversazione sociale oggi potenziata e resa visibile e perfino abitabile dal web moderno.
Banalmente e prendendo l'esempio con le molle, proviamo a pensare ai primi cento risultati che Google offre ricercando "Friuli Venezia Giulia", e avremo una fotografia statistica (e dinamica) di questo territorio, dove solo alcune voci saranno comunicazione istituzionale progettata e pubblicata, mentre altre occorrenze emergeranno dai ragionamenti pubblicati da qualche blog importante della zona, da forum di discussione, da conversazioni tenutesi su qualche social network, da siti commerciali che fanno del collegamento al territorio un loro punto di forza nel marketing, da testate giornalistiche che riflettono gli accadimenti locali. 
Il FVG agli occhi del mondo è questo. L'insieme delle narrazioni autoriferite di un territorio è la sua carta d'identità, è una scrittura collettiva di una storia (o meglio, storie) sopra una geografia, per dirla con parole di Carlo Infante, dove diventa possibile far interagire autopoiesi delle collettività umane (il continuo produrre senso connaturato al fare umano) con le mappe satellitari, diventa possibile concepire dei geoblog e altre diavolerie capaci di connotare gli accadimenti in modo georeferenziato. 
E' dove l'orizzontalità dei sistemi relazionali umani incontra la verticalità di uno sguardo più ampio del proprio cortile e della propria cerchia amicale, avendo come fine talvolta esplicito innanzitutto la "messa in scena" del territorio, e in seguito la sua eventuale ottimizzazione, se stiamo indagando quei Luoghi di comunicazione dove tutti insieme potremmo provare a studiare e decidere le mosse migliori da compiere per il bene della collettività.
In questo secondo caso abbiamo a che fare concretamente con la partecipazione della cittadinanza nella progettazione e nel miglioramento della qualità della vità di un dato territorio, grazie a quei Luoghi riflessivi costituiti dalle piattaforme web per la partecipazione civica, in misura consultiva e nel prossimo futuro anche in misura decisionale, secondo le indicazioni di una e-Democracy intesa in senso forte.

Qui però ci sono degli ostacoli diciamo così tecnici, perché sebbene questi Luoghi web di partecipazione esistano già da qualche anno (le reti civiche telematiche essendo i progenitori), solo recentemente e solo grazie a una impostazione nativamente 2.0 ovvero centrata sulla produzione e distribuzione di contenuti da parte degli utenti stessi si è riusciti a mettere online dei software-piattaforma che permettano di svolgere dignitosamente questa notevole attività di intercettazione, visibilità e organizzazione delle tematiche "calde" che emergono da una comunità geolocalizzata.

Gigi Cogo oggi segnala una piattaforma interessante, e condisce il tutto con altrettanto interessanti ragionamenti (anche qui e qui).

30 agosto 2010

eBookFest a Fosdinovo


e-bookFest
A Fosdinovo va in scena il libro digitale

Organizzata da Associazione Tecknos, Bibienne e da Guaraldi editore, nella suggestiva cornice del Castello Malaspina di Fosdinovo (Massa Carrara), dal 10 al 12 di settembre 2010 si terrà la prima edizione del Festival dedicato al mondo degli e-books. Visita subito il sito della manifestazione:www.ebookfest.it 

Gli editori che a settembre si potranno incontrare a Fosdinovo non sono più interessati alla stampa in quanto tale: sono, come già 500 anni fa, ai tempi della rivoluzione gutenberghiana, quelli che guardano al futuro: si parlerà di ebook e di come cambierà il modo di "fare editoria". Si parlerà di "nuove scritture" e di distribuzione, di digitalizzazione e di distribuzione di contenuti digitali da parte delle biblioteche, delle nuove forme di diritto d'autore. E si parlerà molto di scuola, perché la normativa prevede dal 2011 l'adozione di libri scolastici digitali e i problemi sono tanti, a partire dalla situazione informatica delle scuole. 

Gli incontri, che inizieranno venerdì 10 settembre alle 14, sono aperti a tutti e l'accesso sia ai camp che  ai seminari e  alla zona espositiva, è gratuito. A fare da corollario ai dibattiti ci sarà anche l’eBookShow, dove scuole e università presenti presenteranno i loro progetti sperimentali, e le aziende esporranno i loro prodotti digitali. Sarà anche possibile vedere e provare i nuovi eReader per eBook.
Ecco un anticipo della nutrita serie di seminari e tavole rotonde:
* La nuova filiera dell’editoria digitale, dalla produzione alla distribuzione. 
* La guerra dei formati e diritto d’autore.
* Le biblioteche e le piattaforme di pubblico accesso 
* Le nuove scritture: non lineari, plurali, ipermediali e multimodali, autoprodotte. 
* Il testo digitale nella formazione e nella didattica: potenzialità e nuovi scenari 
* Accessibilità: disabilità sensoriali e cognitive: il problema della forma e quello dei contenuti. 

L’evento, che si propone di diventare un appuntamento annuale, discende direttamente da due barcamp sul "mondo ebook" di ottimo successo: il BookCamp (Rimini 2008) e lo SchoolBookCamp(Fosdinovo 2009). Attraverso il confronto tra professionisti, operatori del settore, studiosi, docenti universitari, insegnanti, blogger, rappresentanti delle istituzioni, e appassionati delle nuove tecnologie, l'eBookFest intende far luce sullo stato dell’arte dell’editoria digitale.

500 anni dopo: la Lunigiana culla dell'ebook 

La Lunigiana torna ad essere, dopo 500 anni, la culla dell'innovazione editoriale. Per tre giorni, dal 10 al 12 settembre, Fosdinovo ospiterà il più grande e significativo evento fino ad oggi organizzato sull'editoria digitale: la seconda edizione di due barcamp, 22 seminari, 20 presentazioni di progetti e sperimentazioni, alcune tavole rotonde e una zona espositiva animeranno il paese a partire dal castello Malaspina. La Lunigiana è storicamente terra di stampatori: nel 1458 nasce a Pontremoli una delle prime attività librarie e a Fivizzano intorno al 1470 furono utilizzati i primi caratteri tipografici italiani. Montereggio è detto ancora oggi il "paese dei librai" e da qui ha origine il premio Bancarella. Il primo fu, nel cinquecento, Sebastiano da Pontremoli. L'attività proseguì per molte generazioni e raggiunse il massimo sviluppo nell'ottocento. In quegli anni a Mulazzo nasce Emanuele Maucci, un grande editore che diede origine alla più ampia "catena" di librai del mondo con sede in Barcellona e consorti in Genova, Milano, Buenos Aires, Habana, Caracas. Ancora oggi i discendenti dei Librai Pontremolesi posseggono importanti librerie, e le strade di Montereggio sono dedicate ai più celebri editori italiani, da viale Luigi Einaudi a Borgo Feltrinelli.

26 agosto 2010

Il Senso, tempo e superficie

Qualche anno fa scrisse una cosa che si chiamava "I barbari", e provava a descrivere i cambiamenti culturali epocali che stiamo vivendo, i nuovi modelli della conoscenza, i nuovi linguaggi dentro cui abitiamo mentre usiamo ancora parole vecchie, che non riescono più a raffigurare il senso esatto di ciò che intendiamo comunicare, non riescono più a cogliere il fluire degli accadimenti.

Oggi Alessandro Baricco, su Wired, ha aggiunto qualcosa a quelle riflessioni, un ragionamento sulla superficie e la profondità, sul senso nascosto delle cose. O meglio, sulla morte apparente attuale di quella tradizione culturale che ci spinge a cercare ciò che vale, le cose preziose, la Verità, nelle profondità dei discorsi o nell'oscurità di libri rari o in altri Luoghi esoterici, celati alla vista, astrusi, complicatissimi. 
C'è da dire che l'umanità ha sempre vissuto con questa idea del sapere iniziatico, grammatiche magiche e sacre per leggere il senso segreto delle cose. Stregonerie rituali e iniziazioni, Parmenide e Pitagora, Misteri greci, Gnosi, alchimia, spiritismo, New Age e similia. 
Sulla superficie, alla luce, abbiamo la chiacchiera e le carabattole. Sotto, nell'oscurità, brillano le vere gemme, ma bisogna saper cercare, ed è faticoso. E forse non è nemmeno per tutti, né cercare né godersi il tesoro.

E questa nostra epoca, dove tutto è in superficie? E' avvenuto un funerale, da qualche parte? Stiamo elaborando il lutto per la perdita di una dimensione? Cosa traghettiamo nel domani?
Da questi barbari stiamo ricevendo un'impaginazione del mondo adatta agli occhi che abbiamo, un design mentale appropriato ai nostri cervelli, e un plot della speranza all'altezza dei nostri cuori, per così dire. Si muovono a stormi, guidati da un rivoluzionario istinto a creazioni collettive e sovrapersonali, e per questo mi ricordano la moltitudine senza nomi dei copisti medievali: in quel loro modo strano, stanno copiando la grande biblioteca nella lingua che è nostra. È un lavoro delicato, e destinato a collezionare errori. Ma è l'unico modo che conosciamo per consegnare in eredità, a chi verrà, non solo il passato, ma anche un futuro.

9 agosto 2010

Due segnalazioni

Questo è il link per un bell'articolo di Zambardino, su Repubblica. Si parla di come un colpetto qui un colpetto là venga limitata quella famosa libertà della Rete di cui tutti parlavamo, persino i Presidenti americani o i politici nostrani. Poi però ci sono interessi commerciali, come sapete, ci sono Stati che vogliono controllare ogni mail che spedite (diritti calpestati) e allora la Rete capitola.
Ottima la chiusa dell'articolo: arriveranno quelli che ci dicono come rendersi anonimi, quali espedienti tecnici utilizzare per non essere rintracciati... ma questo contribuirà a creare un sentimento carbonaro, nel nostro contrapporci al Potere in modo non trasparente. Io vorrei invece abitare in una Rete trasparente, col mio nome e cognome, diritti e doveri, alla luce del sole. E nessuno devo poter leggere la mia corrispondenza privata. E in ogni caso, proprio a voler fare i sospettosi e a voler vedere dietro le apparenze, cerchiamo di non dimenticare la "... lezione della storia per cui la clandestinità stessa è una creazione del potere, che il potere controlla e dal quale trae benificio".

A questo indirizzo trovate invece un articolo di Leonardo Tondelli su l'Unità: riguarda la tematica della valutazione degli insegnanti, e le conseguenze quasi ovvie di quello che avverrà dopo l'introduzione di sistemi di misurazione del merito professionale dei docenti fondati sulle prove Invalsi, come la ministra Gelmini propone. Avverranno furbate, come al solito e come dappertutto, e le conseguenze sociali di questo fare contribuiranno al peggioramento della qualità complessiva del sistema sociale in cui viviamo.

Buona lettura.

22 luglio 2010

Socialità in Rete

Come funziona la socialità in Rete?
Internet ha reso insignificante il concetto di distanza geografica, e gruppi di persone da tutto il pianeta, accomunati dall'interesse per tematiche specifiche, convergono sugli stessi Luoghi digitali e scambiano informazioni e opinioni e costruiscono oggetti culturali da re-immettere nel circuito della comunicazione.
O di converso, teniamo in considerazione anche una comunità locale che prende coscienza di sé, specchiandosi nei paesaggi mediatici che emergono dal proprio ininterrotto produrre comunicazione e contenuti, e che si scopre molto più ricca e variegata grazie alla coralità di voci che ora possono partecipare alla pubblica discussione.

Già da qualche decennio discipline quali la sociologia della comunicazione, la psicologia sociale, l'antropologia provano a illustrare i meccanismi tramite i quali si viene strutturando una forma sociale in una data collettività, i rituali e i cerimoniali, le tribù e i clan, la propaganda e la creazione del consenso, la nascita di tematiche condivise capaci di alimentare l'agenda collettiva, e la loro distribuzione presso i gruppi sociali, di cui spesso abbiam detto conviene darsi una rappresentazione di tipo ecosistemico, partendo a esempio dal modello delle nicchie ecologiche.

La nostra appartenenza a deteminati gruppi sociali e la relativa esposizione a determinati argomenti e punti di vista, la nostra frequentazione di determinate cerchie amicali o professionali costituisce un "filtro" attraverso cui percepiamo il mondo, dando senso agli accadimenti; in Rete avvengono gli stessi identici fenomeni di socialità, partecipiamo a conversazioni nei vari ambienti digitali, maturiamo la nostra opinione sui fatti in un confronto continuo con persone selezionate serendipicamente, di cui apprezziamo la competenza e lo stile.

Galatea ha scritto una riflessione su queste dinamiche sociali in Rete: ora io la incollo qui, ma cliccando qui la leggete direttamente sul suo blog.



Internet, il branco, il villaggio e l’utilità della fantesca globale
Stamattina, sulla Stampa, è apparso un bell’articolo di Ethan Zuckerman, traduttore e attivista della rete di Voci Globali. È un pezzo denso, di cui mi ha colpito però la riflessione riguardante l’apertura e la “chiusura” della rete. Posto che internet è ormai aperta a tutti, dice Zuckerman, e quindi tramite i social network persone di ogni parte del mondo possono entrare velocemente e spontaneamente in contatto le une con le altre, resta però un fatto che si tenda ad aggregarsi in “gruppi” che poi risultano abbastanza chiusi ed impermeabili fra loro: dei “branchi”, li chiama lui, in cui si ritrovano persone con interessi, cultura e provenienza razziale o culturale simile. Il risultato è che fra loro questi gruppi tendano a parlare solo di determinate cose (quelle che interessano loro) e rimanere sordi, anzi non entrare proprio in contatto con tutto il resto. Tanto che se una notizia o un tormentone vengono lanciati in internet all’interno di un determinato gruppo, persino molto numeroso, può addirittura accadere che il resto dell’universo dei navigatori nemmeno se ne accorga, o, se se ne accorge, non sia minimamente in grado di capire di che cosa stiano parlando gli altri.

Trovo l’osservazione di Zuckerman profondamente azzeccata. Internet, come tutti i prodotti dell’uomo, riflette la logica secondo cui è strutturata la società che l’ha prodotta. E la società umana si organizza, dalla tribù al globo, secondo logiche di appartenenza e di cooptazione. Ognuno di noi costruisce attorno a sé, sia nelle rete che nella vita, una cerchia che è il suo punto di riferimento fisso e che contribuisce a definire la sua identità: in sostanza ha un circolo ben definito di “conoscenti” di cui si fida o che frequenta per motivi di lavoro e di contatti sociali. Tutte le informazioni con cui l’individuo entra in contatto sono in un certo senso “filtrate” dalla sua cerchia: o perché gli arrivano indirettamente dai racconti di membri di essa o perché, anche se sono cose che vede succedere di persona, senza apparenti mediazioni, i fatti vengono interpretati attraverso i modelli culturali della cerchia di appartenenza, che determina cosa debba essere considerato “positivo” o “negativo”, “bello” o “brutto”, importate o trascurabile.

La novità di internet, semmai, è rappresentata dalla possibilità di allargare e rendere trasversali o multiple le nostre “cerchie”. Per secoli lo sviluppo del pensiero umano e del talento singolo erano molto vincolati non solo al tempo in cui l’individuo si trovava a vivere, ma dalla sua posizione geografica. In un mondo in cui gli spostamenti erano lunghi e difficili, la cerchia di amici con cui si poteva rimanere in contatto e scambiare idee era forzatamente ridotta a coloro che vivevano vicini. Lo scambio di idee e di informazioni, che è il presupposto per ogni crescita intellettuale, è legato alla creazione di una rete efficiente e veloce. Gli intellettuali hanno sempre costruito “reti” di questo tipo (dal reticolo di monasteri in continuo scambio epistolare del medioevo alle accademie di letterati nei secoli seriori): è impossibile diventare intelligenti se si passa il tempo a conversare solo con citrulli o si possono leggere quattro libri, magari neppure eccelsi. Ma finché non si è avuta la possibilità di una diffusione capillare ed immediata della parola “scritta” lo scambio intellettuale era patrimonio esclusivo di una élite: quella che si poteva spostare per viaggi e convegni, spedirsi lettere e scambiarsi tomi.

Oggi internet (con i social network, i forum, etc.) permette invece anche a persone “normali” di crearsi una propria rete di frequentazioni e conoscenze transnazionali, anche se non ci si può muovere da casa o lo si fa di rado. Resta però il problema, ma questo è un portato naturale, che queste cerchie si “costruiranno” in maniera spontanea cercando coloro che hanno interessi simili ai nostri. Gli appassionati di pesca cercheranno appassionati di pesca dall’altra parte del globo, ma sempre di pesca parleranno.

La logica con cui sono costruiti i social network, in realtà, favorisce l’incontro di chi ti è simile: si legge coloro cui si è concessa l’amicizia e l’accesso alle nostre pagine o thread, quindi a persone che già conosciamo o ci vengono segnalate da altri amici (o da algoritimi pensati per questo) perché hanno interessi comuni a noi. Per questo alcuni gruppi possono essere del tutto impermeabili a notizie che sono propagate al di fuori del gruppo stesso: esistono, sulla rete come nel mondo, delle nicchie, ed alcune sono particolarmente chiuse. Ciò che la rete però permette è quello di gestire più cerchie in contemporanea e in tempo reale. Chi ha esperienza di social sa che, dopo un certo numero di contatti, tutti dividono gli “amici” in liste, determinate sulla base degli interessi specifici e differenti dei vari membri che vengono là inseriti: la lista dei “maniaci” di internet distinta dagli “amici d’infanzia”, i compagni di calcetto divisi da quelli di partito o dai colleghi, e così via. Siccome l’individuo non è mai un monolite, internet permette di gestire contemporaneamente ed in tempo reale comunicazioni con più cerchie costituite da membri con interessi in parte diversi, e legati magari solo dall’avere tutte un contatto con x in comune. Il passaggio di informazioni (modi di dire, trend) sulla rete è garantita da questi individui-ponte, che possono mettere in contatto, casualmente, persone di provenienza ed interessi diversissimi fra loro.

Un tempo l’informazione “generalista” era affidata alla stampa generalista, appunto: uno comprava il giornale al mattino e leggeva un po’ di tutto nella prima pagina, poi approfondiva solo le notizie che gli interessavano, sulla base del proprio carattere, lavoro, formazione o bisogno. L’avvento di servizi specifici come Google News e Allert ha in parte ridotto l’apporto di informazioni generaliste, nel senso che uno può anche scegliere che gli vengano inviate a priori solo alcuni tipi di notizie, e beatamente ignorare il resto. Sui social network, in un certo senso, si è creato naturalmente lo stesso tipo di filto: ricevo twit ed aggiornamenti solo dalle persone che ho preselezionato e che quindi, nel 90% dei casi, parlano di cose che abbiamo in comune. Divengono perciò importanti, sulla rete, ai fini della diffusione dell’informazione, quegli individui che hanno molteplici interessi, molti contatti e in qualche modo partecipano a molte cerchie trasversali. Questi possono permettere che informazioni presenti solo nella cerchia A passino anche alla cerchia B, che, altrimenti, potrebbe bellamente ignorarle. Non necessariamente costoro sono i cosiddetti “guru” del web, o blogstar: anzi, di solito l’autore di un sito o di un blog tende a crearsi una personalità ben riconoscibile, e affrontare quindi solo determinati argomenti. Questi “ponti” fra le cerchie possono essere anche personaggi molto anonimi: basta che la loro rete trasversale di contatti permetta di innescare, per effetto domino, una specie di tam tam in ambienti che solitamente non sono in contatto. Un po’ come la vecchia fantesca del villaggio, che nessuno considerava un personaggio importante, ma, andando di casa in casa, finiva col diffondere in tutti gli strati sociali le novità del giorno. Internet è un villaggio globale. In tutti i sensi.

21 luglio 2010

Bambini e social network

Da una discussione interessante su Friendfeed: "Papà, ma non c'è un coso tipo facebook dove parlare ma per bambini?", ecco un problema che se ci impegniamo potremmo risolvere per tempo.
Purché nei commenti, qui come là, non arrivi qualcuno a dire che i bambini devono correre in bicicletta e giocare con gli amici, non essendo gli ambienti sociali digitali qualcosa che possa loro interessare, o essere addirittura deleterii per la loro formazione individuale.

Tanto per cominciare, i bambini sanno cosa fare su internet. Guardano Youtube, hanno i loro siti preferiti per giocare, vanno a cercare informazioni sui cartoni animati preferiti o su Harry Potter o Lady Gaga, conoscono Wikipedia. 
A partire dalle scuole medie, o anche per quelli di quarta e quinta elementare, il riferimento nei loro discorsi a cose viste in Rete è costante, il web è un Luogo abitato, e tanto quanto a quell'età espandono il loro orizzonte verso il vicinato e i gruppi di amici, così esplorano territori indifferentemente fisici o digitali.

Poi, non vorrei mai che per colpa di quelli che dicono che Internet non è per i bambini, e quindi proibiscono anziché educare, si ricadesse nella stessa situazione che abbiam già vissuto con la televisione prima e con i videogame poi, realtà vivissime nel mondo esperienziale dei minori eppure colpevolemente tralasciate dai sistemi formativi, senza che a scuola oppure in modo informale in famiglia e nelle agenzie educative territoriali si prendesse seriamente una certa Media Education capace di far riflettere insegnanti e allievi sulle grammatiche e sugli effetti sociali dei mezzi di comunicazione di massa.

Inoltre: i bambini a scuola usano il web per attività didattiche, e chissà quante maestre han già provato (o avrebbero voluto) a creare degli ambienti formativi digitali, usando Moodle o piccole community di classe web-based, dove poter alloggiare presentazioni powerpoint, caricare video fatti a scuola con la macchina fotografica, allestire gallerie di immagini della gita scolastica o dell'uscita presso il Museo, pubblicare documenti di scrittura collaborativa nati e cresciuti magari nel corso di attività con altre classi o altre scuole, nazionali o internazionali. 
Sappiamo da anni che l'introduzione del computer in classe genera una forte spinta motivazionale, e sappiamo anche che il modo migliore per apprendere in modo significativo (radicando le conoscenze in noi) è raccontare a qualcun altro ciò che si è imparato: ecco perché potrebbe essere interessante allestire le classi scolastiche anche dentro ambienti digitali - la classe non è un'aula, i muri scompaiono, abitiamo dappertutto, osmosi scuola-territorio - dove poter innescare conversazioni proprio sulle tematiche didattiche, tramite gli strumenti di chat e forum e bacheche e commenti.

Se in quinta elementare i bambini oggidì ricevono in regalo il cellulare, io ne approfitterei per dar loro ufficialmente e istituzionalmente anche una bella casella di posta elettronica, e intendo nome.cognome@, e anzi trasformerei questo rito di passaggio, fondato sull'acquisizione di strumenti che inaugurano la dimensione della socialità personale, in un vero cerimoniale da celebrarsi alla fine dell'anno scolastico. Sancendo il loro ingresso nell'età della socialità allargata, coglierei l'occasione per raccontare ai piccoli i lati positivi e quelli negativi relativi all'utilizzo di quegli strumenti.

Ci sono sedici (16) milioni di italiani su Facebook, considerando la fascia tra i 25 e i 50 anni ci sono in Italia milioni di genitori che in questi giorni si sentono chiedere "Papà, ma non c'è un coso tipo facebook dove parlare ma per bambini?" da una personcina di nove anni che è naturalmente incuriosito da cosa fanno papà e mamma quando arrivano a casa e si collegano (tralasciando il fatto che la gente usa facebook sul lavoro, dall'ufficio), e vedono schermi con foto di parenti e amici di famiglia, e auguri di compleanno, e chiacchiere di botta e risposta nei commenti.
Certo, esistono anche molti ambienti social per i minori, e sono anche frequentati. A esempio, credo che un nuovo rito di passaggio adolescenziale, praticato e vissuto in modo mediatico, sia il "cambio di social network", quando cioè un ragazzino/a di diciassette anni sente ormai limitante il proprio abitare su Luoghi sociali (Badoo e altri) progettati per un target d'età inferiore, e compie il grande passo di andare magari su Facebook, "dove ci sono i grandi".
Tra parentesi questo significa che i diciottenni che ora trovate su Facebook fanno social da tre/quattro anni su piattaforme dedicate, dove chissà che cosa han visto, come lo han vissuto, quali criteri di giudizio si sono formati in perfetta autonomia, visto che i genitori non capivano/capiscono cosa significhi chattare e scambiarsi foto in posizioni ambigue o semplicemente ludiche nella ricerca per prove e errori di una propria identità digitale, o comunque rappresentazione e proiezione mediatica di come vogliamo apparire e essere riconosciuti online.
Ma fino a quando la scuola primaria, dove si seminano i buoni comportamenti, non provvederà delle competenze digitali agli allievi per renderli Abitanti anche del nuovo mondo immateriale, il web in cui vivono a pieno diritto (a esempio: saper gestire il proprio profilo su un socialnetwork, aver cura della password, adottare comportamenti di buon senso nella protezione della privacy, conoscere i propri diritti di accesso all'informazione e di libera espressione di sé, possedere grammatiche e conoscenze aggiornate per decodificare la complessità tecnologica e comunicativa dei nuovi strumenti, aver maturato approcci etici rispetti agli altri fondati sui valori dell'accrescimento della conoscenza collettiva e sullo scambio interpersonale, aver compreso l'importanza di una riflessione sugli aspetti digitali di reputazione e fiducia incentrati sulla nostra persona e sul nostro fare pubblico in Rete, aver appreso le regole socialmente negoziate per condurre conversazioni civili e quindi consapevolezza di un fare diffamatorio, calunnioso, oltraggioso), indubbiamente il problema rimane il controllo di questi ambienti da parte di un supervisore adulto, genitore o tutore responsabile.
I bambini devono essere lasciati liberi di giocare tra loro, tanto quanto si lasciano giocare con altri bambini nei parchi senza impicciarsi troppo, o quando nella prima adolescenza allargano i loro giri in bicicletta frequentando gruppi di amici sul muretto, senza più essere sotto l'occhio attento e apprensivo della mamma.

Mettiamo un bambino di dieci anni. In classe a scuola ci si potrebbe scambiare l'indirizzo di posta elettronica, la maestra si fa scrivere una mail da ciascun bambino dal suo account personale nome.cognome@, poi ri-spedisce a tutti i bambini una mail con tutti gli indirizzi in chiaro, cosicché tutti abbiano quello degli altri.
Oltre a tornar utile per motivi scolastici, i genitori sarebbero sicuri che le comunicazioni avvengono sempre con persone certe. 
Ed è anche legittimo che i genitori controllino il cellulare e la mail dei figli, anche se farlo con un quattordicenne diventa questione spinosa, per la sua sacrosanta esigenza di privacy. Ma in ogni caso sapere che il genitore *potrebbe* controllare è già deterrente sufficiente affinché il minore rifletta su quello che sta facendo online (poi ovviamente il ragazzo o la ragazza un minimo scafati, imparando da amici o da fratelli grandi, si creano altri account e altri indirizzi di posta e altri nickname e vivono felicemente le loro mille identità digitali, come palestra di adultità).

Sui social network c'è il problema del "chiedere amicizia", che può essere fatto indistintamente e rapidamente verso tutti quelli che incontriamo. Inoltre vi è la possibilità di cercare le persone in molti modi diversi, e i risultati appaiono pubblici.
Forse su questi aspetti si potrebbe far qualcosa, sicuramente dal lato educativo, ma anche ponendo attenzione agli aspetti tecnici con cui le comunità digitali vengono progettate e realizzate.
Come già Facebook (ufficialmente riservato ai maggiori di 13 anni, ma abitato da molti bambini di età inferiore) sta cercando di fare su richiesta corale di fruitori preoccupati, la ricerca su persone minorenni a esempio dovrebbe essere inibita, come pure dovrebbe essere presente in maniera ben evidente un bottone PANICO che i minori potrebbero sempre rapidamente cliccare per segnalare comportamenti sessualmente sospetti.

I bambini, nuovi abitanti nativi, hanno tutto il diritto di avere una cerchia sociale digitale, e di praticare forme di socialità ormai comuni nel mondo (chat, commenti botta-e-risposta, videoconferenze, scambio mail) con i propri amici, comportandosi con proprietà nei Luoghi sociali, conversando civilmente, ascoltando gli altri e esprimendo liberamente sé stessi e per questo stesso fatto crescere come persone.
Ormai una generazione intera, quelli nati dopo il 1990, è giunta all'età della maturità (e del voto, e della responsabilità civile, e della patente, e dell'impiego professionale) vivendo tutta la vita circondata da computer e Internet e oggetti digitali e comunicazione istantanea, senza che nessuno abbia loro raccontato niente di cosa stava succedendo
Cerchiamo per quanto ci è possibile di ragionare su queste tematiche, auspicabilmente con cognizione diretta  dei nuovi comportamenti sociali mediati: a noi, come genitori o insegnanti, rimane come sempre da comprendere come poter garantire qualità educativa agli ambienti di crescita dei minori, fossero anche ambienti digitali.

19 giugno 2010

De Biase su Soru, Caio e Gentiloni

Francesco Caio e Renato Soru. Insieme per discutere dell'internet all'italiana, tra banda larga che non si allarga e politica che si restringe. L'occasione è stata ieri, sul finire di unagiornata dedicata al tema, a Roma, organizzata da Paolo Gentiloni

Non era la serata per ritornare a parlare dei dettagli del piano per la banda larga, per vedere le possibili configurazioni tecnologiche, per ritornare sulle polemiche tra gli operatori... Era la serata per ascoltare due protagonisti veri che, con il cuore e il cervello, hanno fatto molto per l'infrastruttura dell'internet italiana. Ed era la serata per cercare di comprendere come si può sparigliare, come si può sbloccare il processo che serve a migliorare la connettività in questo paese, chi se ne deve occupare.

Entrambi hanno scelto di partire dalla visione. Per Caio è dimostrato che l'allargamento della banda è pienamente connesso allo sviluppo economico. Per Soru è chiaro che, come dice l'Europa, la rete è competitività e inclusione. Per entrambi è speranza di crescita culturale, sociale, economica. 

[...]


10 giugno 2010

Lavagne interattive on-line

via Vocescuola

Durante gli scorsi mesi ho più volte segnalato soluzioni on-line per realizzare lavagne interattive virtuali, inoltre ho visto che i post più popolari sono proprio quelli che si riferiscono a questa tipologia di applicativi. Con questa segnalazione voglio incominciare a fare un po’ d’ordine ed elencare gli applicativi più interessanti.
Qui di seguito una lista di sei lavagne interattive web-based: