30 maggio 2012

Banda ultralarga a Udine


Fonte: www.corrierecomunicazioni.it

Udine spinge sulle Ngn, servizi al via entro l'anno

Firmato un accordo fra il Comune e Telecom Italia: in campo un’architettura Fttc e sfruttamento delle infrastrutture fognarie per la posa dei cavi. Il sindaco Honsell: "Con l'aumento di banda aumentano Pil e posti di lavoro". Via anche al Mou con Insiel per il superamento del digital divide sul territorio del Friuli Venezia Giulia

Telecom Italia e il Comune di Udine hanno firmato oggi un accordo sulla rete ultrabroadband di nuova generazione in fibra ottica (Ngan) nel territorio comunale, riguardante tecniche che prevedono - grazie all’architettura Fttc (fibra al Cabinet) - di portare a poche centinaia di metri dal cliente la fibra e l’elettronica di ultima generazione.
La rete in fibra sarà realizzata utilizzando al massimo tutte le infrastrutture esistenti e tecniche innovative di scavo che permettono la riduzione dei tempi e dei costi di intervento, garantendo nel contempo un basso impatto ambientale. L’intesa è stata siglata oggi dal Sindaco di Udine Furio Honsell e dal Direttore Strategy di Telecom Italia Oscar Cicchetti.
L’iniziativa si inserisce nel piano nazionale di investimenti sulla fibra di Telecom Italia per la realizzazione della rete NGAN (Next Generation Access Network) che prevede di coprire il 75% della popolazione delle prime 100 città italiane entro i prossimi 30 mesi, dando così un rilevante contributo al conseguimento degli obiettivi posti dall’Agenda Digitale europea.
Già dall’inizio del prossimo anno i cittadini di Udine potranno iniziare ad usufruire di connessioni a larga banda con velocità da 30 ad oltre 50 Megabit al secondo, che rendono molto più performanti gli attuali servizi e abilitano nuove generazioni di applicazioni come i servizi di cloud computing per le imprese e i servizi di città intelligente, quali ad esempio il monitoraggio del territorio, i servizi di sicurezza urbana, il controllo da remoto degli impianti per i servizi pubblici, la gestione del traffico, la valorizzazione dei beni culturali e la teleassistenza domiciliare.   
“I dati sono la ricchezza del 21esimo secolo. Investire sulle reti di telecomunicazione è importante come lo è stato investire nelle strade all’inizio del ventesimo secolo – sottolinea il sindaco di Udine Furio Honsell –. Per capire la portata di questo accordo basti pensare che l’Unione Europea ha fissato come obiettivo il raggiungimento dei 30 mega di velocità di connessione entro il 2020, mentre noi andremo molto oltre arrivando a 50 mega entro il 2015. Vari studi dimostrano che con l’aumento della banda di trasmissione aumenta anche il Pil e i posti di lavoro. Questo accordo è una misura concreta che l’amministrazione di Udine mette in campo per contribuire allo sviluppo economico e alla creazione di nuovi posti di lavoro”.
In particolare, per garantire la velocità, la sicurezza ed il minimo impatto ambientale di tutti gli interventi infrastrutturali che verranno effettuati da Telecom Italia, saranno utilizzate le cosiddette “minitrincee”, innovative tecniche di scavo e ripristino del suolo che consentono, grazie a scavi di pochi centimetri di larghezza e di soli 30 centimetri di profondità, di ridurre fino all’80% i costi socio ambientali in termini di disagi per i cittadini e per le amministrazioni, del 67% gli incidenti sul lavoro e dell’80% i tempi necessari per la realizzazione di infrastrutture di Tlc.
“Telecom sperimenterà proprio a Udine – spiega l’assessore comunale all’Innovazione Paolo Coppola – una modalità innovativa di stesura della fibra ottica, per la quale saranno utilizzate tutte le reti tecnologiche esistenti nel sottosuolo in modo da limitare i disagi dovuti agli scavi e velocizzare i lavori. L’intervento sarà eseguito, infatti, in accordo con Amga e l’Ato, che garantiranno la disponibilità a utilizzare la rete dell’illuminazione pubblica e quella fognaria. La possibilità di avere accesso a un servizio di connessione di questo tipo – prosegue Coppola – rappresenterà un valore aggiunto fondamentale per il territorio, un vantaggio competitivo strategico per rilanciare l’economia puntando su settori che faranno la differenza per riuscire a superare questa crisi economica”.
Particolarmente significativo sarà l’utilizzo delle infrastrutture fognarie. Si tratta di uno dei primi esempi in Italia di utilizzo, su larga scala, di questa metodologia innovativa, che richiede l’utilizzo di materiali specifici e tecnologie avanzate (mini-tubi blindati speciali, robot telecomandati per ispezioni nei condotti, etc.). Ciò permetterà di evitare più del 65% degli scavi. Inoltre si utilizzeranno anche gli impianti di illuminazione pubblica. L’equipaggiamento delle infrastrutture presenti avverrà con la posa di minitubi e pozzetti dedicati alla fibra ottica, separando la rete elettrica e quella fognaria dalla rete di Tlc in fibra ottica in modo di eliminare ogni interferenza.
“La realizzazione di infrastrutture broadband e ultrabroadband e soprattutto la diffusione dei servizi che esse abilitano – spiega Oscar Cicchetti Direttore Strategy di Telecom Italia – daranno un forte impulso alla crescita economica del territorio udinese e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. La competitività di un sistema territoriale è infatti sempre più legata alla sua capacità di vivere in rete e di sviluppare  i suoi nuovi usi. Per questo motivo Telecom Italia ha aderito con entusiasmo al progetto di Udine. Siamo convinti che attraverso l’impegno concreto delle istituzioni locali, si possano innescare progetti di trasformazione delle infrastrutture e dei servizi che valorizzino le specificità e le potenzialità dei singoli territori”.
Ancora in Friuli Venezia Giulia Telecom Italia ha firmato un Mou con InsieI orientato al superamento del divario digitale in Friuli Venezia Giulia attraverso una disponibilità capillare della larga banda. Nello specifico, l’accordo prevede l’istituzione di un Comitato Tecnico Paritetico tra Insiel e Telecom Italia, che si occuperà di analizzare, valutare e proporre tutte le possibili azioni da intraprendere, in coerenza sia con gli obiettivi del “Programma triennale per lo sviluppo dell’Ict, dell’e-Government e delle infrastrutture telematiche 2012-2014” della Regione Friuli Venezia Giulia, sia con le finalità del programma Ermes per lo sviluppo della banda larga.
Nel rispetto della normativa in materia di concorrenza, il Memorandum of Understanding non ha una natura esclusiva, restando le parti libere di stipulare analoghi accordi con altri soggetti ed altri operatori. Le azioni da intraprendere consentiranno in breve tempo, ad un sempre maggior numero di cittadini, imprese e istituzioni locali, l’accesso alle nuove tecnologie digitali in banda larga.
“Con la firma di oggi prosegue l’impegno della Regione per il superamento del divario digitale – commenta Riccardo Riccardi, assessore regionale alle Infrastrutture – attraverso la diffusione capillare delle infrastrutture di rete e connettività a tutta la comunità del Friuli Venezia Giulia, cittadini ed imprese. Si tratta di un fattore di qualità della vita e di vantaggio competitivo per il Sistema Regione, fondamentale anche per la crescita dell’attuale assetto socio-economico.”
“Questo Memorandum – commenta  Cicchetti – costituisce la base per raggiungere, in tempi brevi e su tutto il territorio del Friuli, l’obiettivo dell’annullamento del digital divide. ‘Internet per tutti’, questo è il primo traguardo indicato dall’Agenda Digitale Europea ed il suo raggiungimento è cruciale soprattutto in regioni che hanno una forte dispersione del tessuto abitativo e di quello produttivo”.
“Insiel intende dedicare il massimo impegno a questo nuovo compito conferitole dalla Regione – aggiunge Sergio Brischi, consigliere delegato Insiel alla Pianificazione Strategica – ben consapevole del ruolo determinante che dovrà svolgere, nell’ambito della sua complessiva missione di motore dell’innovazione tecnologica nel Friuli Venezia Giulia. La banda larga costituirà poi anche un importante fattore per la crescita della nostra azienda”.

24 maggio 2012

Cultura digitale a scuola

Ma credo che l’elemento essenziale per costruire la nostra narrazione su scuola e nativi passi dal cominciare a raccontare di un ambiente di apprendimento aperto in cui gli spazi personali e sociali fuori dalla scuola, quelli ricchi di interfacce sociali come i social network, i wiki, ecc. stanno costruendo, siano incorporati nelle dinamiche educative e diventino un tema del dibattito pubblico e interno alle classi.

Da un bell'articolo di Boccia Artieri, con molti link interessanti, intitolato "Scuola 2.0 e nativi digitali", si arriva alla notizia di una conferenza a Roma, "Un nuovo alfabeto per l'Italia" per affrontare la tematica della rivoluzione digitale nella Scuola.


Il territorio è una piattaforma per lo sviluppo

Un bell'articolo di Luca De Biase (qui la fonte

Il territorio è come una rete e una piattaforma sulla quale si sviluppano attività, iniziative, startup. E come ogni piattaforma può essere aperto o chiuso, può avere un effetto frenante o può accelerare lo sviluppo, può essere dominato da pochi grandi poteri o essere competivo e creativo. E così via. Può anche essere modificato, pur con la lentezza che lo contraddistingue, anche in modo radicale.
Pensare il territorio è come pensare l’ecosistema. È un approccio ormai assunto anche dalla pubblicistica più semplificata, come dimostra anche il successo di un libro di moda come Rainforest. Del resto, il territorio come piattaforma era anche la metafora sottostante di un libro che ha avuto il suo momento di moda come quello di Richard Florida. Questo non elimina la complessità di una politica territoriale. Come dimostra la lunga e profonda esperienza del programma Leed dell’Ocse, al quale ci può riferire per avere un senso dell’ampiezza degli argomenti che l’approccio territoriale contiene, della sensibilità umana che occorre per affrontarlo, della rischiosità di ogni banalizzazione dell’argomento.
Come scrive Flaviano Zandonai, se il territorio è rete esistono territori-rete aperti, che rischiano la concorrenza dei free rider (che ne sfruttano la capacità di generare conoscenza senza restituire altrettanto) e territori-rete densi che rischiano la chiusura. Nel quadro della globalizzazione i territori competono sulla base della loro unicità, ma la precondizione è la connessione. Si formano, con ogni probabilità, diverse missioni – implicite o esplicite – nei diversi territori. E le relazioni che intrattengono con il resto del mondo sono fondate su quelle missioni, mentre i risultati che ottengono sono fondati sulla loro capacità di collegarsi, attrarre risorse, coltivare risorse, esportare. È chiaro che i territori con una missione di hub sono decisivi per una geografia molto ampia e i rischi che corrono si trasmettono ad altri territori che dipendono da loro per la connessione al resto del mondo. Mentre i territori con una missione di destinazione tendono a portare qualità, unicità, cultura. I territori-hub che si “addensano” – come le città troppo piene e troppo poco efficienti – si trasformano da acceleratori in freni dello sviluppo. I territori con una missione di destinazione che non coltivano le loro unicità, che non si confrontano, che si chiudono, finiscono per perdere qualità e senso nell’insieme geografico a cui si riferiscono. Infine, si sa che i territori troppo specializzati tendono a rischiare lo spiazzamento a ogni cambiamento organizzativo generale. Come in un ecosistema, anche quello del territorio umano ha bisogno di una certa diversità per essere stabile e rigoglioso. In generale, ogni territorio ha bisogno di pensarsi non come un insieme finito di risorse ma come un attrattore e generatore di nuove risorse: altrimenti corre il rischio più grande, quello di trasformarsi in una gabbia nella quale tutti i soggetti si combattono accanitamente per difendere una fetta di risorse e preferiscono impedire agli altri di innovare e crescere piuttosto che collaborare per aiutare l’insieme a innovare e crescere.
Semplificando, si può dire che un indicatore importante è la capacità del territorio di definire una sua prospettiva di sviluppo e di coordinare gli sforzi, anche la competizione, intorno a quella prospettiva. Spesso questo si misura in termini di attrazione di investimenti ed esportazione di prodotti e servizi. Ma il successo ha bisogno anche di elementi meno misurabili perché attiene anche al softpower, all’attrazione di talenti, alla generazione di una visione e alla sua capacità di fascinazione. La quantità non riesce sempre a dar conto della qualità. Il che implica che gli indicatori statistici vanno rinnovati per tener conto sia dei risultati economici tradizionali, sia degli obiettivi che attengono di più all’economia della felicità.
Una conclusione dalla quale non si può più prescindere sembra essere che le politiche territoriali giuste non sono mai definite dagli strumenti adottati ma dalla coerenza tra gli strumenti e gli obiettivi. E gli obiettivi, quando sono condivisi, entrano a far parte delle risorse fondamentali: proprio perché una visione condivisa di per se è un generatore di energia e di iniziativa. Insomma: reti e racconti, efficienza e visione, azione e prospettiva, devono essere pensati e sviluppati insieme.
Quella territoriale, del resto, è una dimensione nella quale la storia ritrova di preferenza i fenomeni di lunga durata. Non si parte mai dal nulla. Anche la storia delle innovazioni più radicali, a livello territoriale, contiene le esperienze sedimentate nel tempo. E se ne arricchisce. Proprio perché ogni territorio ha bisogno di unicità, dunque di storia, di identità. Su questa base può raccontare agli altri la sua strategia per esportare e attrarre investimenti e risorse.
La politica territoriale dunque diventa l’articolazione di una sintesi tra queste tensioni: tradizione e innovazione, esperienza e prospettiva, connessione e identità, contaminazione ed essenzialità. Una visione cosmopolita è un po’ l’insieme di questi atteggiamenti culturali.
All’atto pratico, questa visione diventa la lista di priorità che un territorio si dà. Ovviamente con la capacità di tenere la barra dritta ma con l’elasticità intellettuale necessaria ad affrontare il cambiamento. Ci sono esempi fondamentali dai quali trarre spunto.
Il Trentino ha una base fondamentale nell’agricoltura avanzata, grazie alla ricchezza culturale e pratica che è alimentata dalla Fondazione Mach, nel turismo di qualità e nella sua tradizione cooperativistica e autonomista. Su questa base si è data una missione di lunga durata investendo nella ricerca tecnologica, scientifica e artistica con strumenti di altissima qualità, come laFondazione Bruno Kessler, Trento Rise, il Mart e molte altre istituzioni valorose. Esplora nuove possibilità nella meccatronica e nell’edilizia sostenibile. Pur avendo qualche difficoltà per quanto riguarda le connessioni fisiche, si è data un piano di investimenti nelle infrastrutture digitali. Ma deve darsi nuovi obiettivi per affrontare il futuro e tra gli strumenti per riuscirci si porrà probabilmente il tema dell’accelerazione di startup, tecnologiche e culturali che consentano di aumentare nel tempo le esportazioni e l’attrazione di capitali e talenti.
Venezia grazie alla sua grande area metropolitana di terraferma, tra Padova e Treviso, è molto orientata alla generazione di nuove imprese, sia nel digitale che nell’artigianato avanzato, dispone di una “vetrina” straordinaria con il suo centro storico, ha scuole e università di primo piano, ha un esempio fondamentale di riconversione industriale nel Vega e moltissime risorse da riorientare. Oltre a una grande opera in corso come il Mose. Lo spopolamento del centro storico è una delle dimostrazioni di quanto si possa migliorare. Come pure lo spaesamento di un centro come Mestre e un’area da bonificare come Marghera. Il punto di partenza di una nuova missione è bellissimo e sfidante come pochi al mondo. Le divisioni tra i poteri forti che la governano sono un freno. La sua struttura attuale sempra la migliore delle dimostrazioni possibili di quanto una grande iniziativa strategica possa raccogliere in termini di coesione culturale e imprenditoriale. L’energia repressa dalla mancanza di prospettiva sembra pronta a trasformarsi in sviluppo.
Cagliari unisce le meraviglie geografiche e storiche alla sedimentazione di una cultura tecnologica che diverse iniziative locali, da Video Online a Tiscali, sono riuscite ad aggregare. Il numero di startup e nuove attività che sembrano pronte a nascere sono talvolta sorprendenti se non ci si rende conto del fatto che le storie imprenditoriali hanno conseguenze di sviluppo che vanno molto oltre i confini delle aziende e che diventano competenze generative straordinarie.
La Puglia è una realtà complessa che si sta dando una missione articolata, dall’energia all’innovazione agricola e turistica, con una consapevolezza del valore delle tradizioni culturali che non ha prezzo. Salerno sembra un polo di iniziativa locale importante per un territorio difficile e allo stesso tempo denso di opportunità. Torino è un esempio di riconversione strategica di livello europeo: i suoi risultati sono sotto gli occhi di tutti e saranno oggetto di studio e ispirazione per molte grandi città. Pisa è un fantastico esempio di come l’università sia una risorsa di sviluppo. Bergamo non cessa di avanzare con le sue grandissime potenzialità. Bolzano, Trieste, Gorizia, Perugia… Impossibile nominare tutti i centri di iniziativa e innovazione che non cessano di affacciarsi all’attenzione. Del resto, gli infiniti distretti idustriali e di competenze dei quali l’Italia è ricca e che la sostengono anche in questa fase estremamente critica si adattano, si riconfigurano, si ripensano. Soffrono ma vivono. L’Italia non è quella che si vede con gli algoritmi astratti della finanza globale. Anche se con quegli algoritmi deve fare i conti. E mentre forse sta coltivando una prospettiva per i suoi giovani, che passa per l’adozione di un nuovo paradigma di progresso orientato alla qualità della vita, non può non porsi l’obiettivo di crescere per restare agganciata alle richieste della finanza globale, alla quale, indebitandosi, ha ceduto una parte di sovranità. Le baruffe della politica e le scorrettezze del suo bizzarro capitalismo sono uno dei pesi che si porta dietro. La sua ancora, in questo senso, è l’Europa. La sua ricchezza però è nei suoi territori.
Come farà un governo passeggero e instabile come l’attuale per favorire i suoi territori?
Startup digitali, startup industriali, nuove imprese sociali, sono possibilità di rigenerazione. Non certo esaustive. Le grandi opere sbloccate sono spesa pubblica che può aiutare. Semplificazione fiscale e burocratica sono azioni ineludibili. E il confronto pragmatico con le condizioni offerte all’impresa dai paesi concorrenti è una via di avanzamento chiara.
Ma per i territori occorrerà attenzione e cura. Educazione, ricerca, ambiente, urbanistica, infrastrutture, progetti di smart city. Iniziative sociali. Civic media. Ma forse più di tutto, difficili e generativi, saranno importanti le forme di azione orientate a favorire la progettazione e la narrazione di missioni e prospettive adatte al territorio. Sia attraverso proposte disegnate dal centro, sia soprattutto favorendo l’elaborazione di strategie unitarie e catalizzanti che nascono nei territori stessi. Vasto programma. Un po’ come una ricostruzione.

23 maggio 2012

TecnoViaggi, format per le narrazioni territoriali a finalità turistica


Percezione del Territorio 
L’edificazione di percorsi di turismo territoriale nell’Artificiale dei Luoghi Esperti, nel paesaggio antropizzato e “costruito” in cui noi tutti viviamo le nostre esistenze biodigitali, mirando alla concezione del territorio in chiave tecnologica, pone il fare umano al centro dell'attenzione: la comprensione delle reti produttive, distributive, relazionali disegnate dalla millenaria azione dell’umanità sull’ambiente in un dialogo vitale diventa comprensione profonda e sistemica delle peculiarità glocali secondo gli strumenti della Cultura Tecnologica e TecnoTerritoriale, soprattutto attraverso l’indagine esplorativa dei Tecnoviaggi nei Luoghi Esperti; in tal modo i valori e le pratiche umane della Trasformazione tecnologica e della Connessione territoriale diventano riflessione consapevole ed esperienza del carattere fortemente tecnologico degli ambienti di vita quotidiana, della necessità di uno sguardo ecosistemico nell’interpretazione del territorio per una maggiore cura dell’Abitare. Di qui discende l'individuazione di narrazioni di qualità, capaci di raccontare il territorio nelle offerte culturali e turistiche, in quanto costitutivamente composte da elementi descrittivi, memorie collettive, tracce architettoniche e ambientali, scritte nei secoli sul territorio dalle collettività che ci hanno abitato, modificandolo.

La progettazione delle offerte culturali e quindi turistiche centrate sull'area geografica prevede l'individuazione di una “dorsale” ovvero di un forte elemento connotante di tipo geografico/ambientale - ad esempio vie di comunicazione terrestre, fiumi, rilievi montuosi o collinari quali elementi simbolici connotanti) o concentrazioni territoriali di tecnologie di trasformazione delle risorse naturali oppure presenze forti di manufatti – a cui collegare con motivazioni desunte dalla storia e dalla cultura locale delle fasce di territorio adiacente per una profondità di circa venti kilometri, secondo un modello in grado di cogliere i significati “prossemici” tipici di una semantica degli spazi sociali, su scala ampia. 
Le fasce prossemiche a loro volta contengono delle Unità di Paesaggio, da intendersi come luoghi del territorio naturali o costruiti particolarmente notevoli in relazione a finalità di tipo turistico, di cui è necessario dare adeguata rappresentazione nel prodotto documentale sfruttando tutte le possibilità offerte dalle moderne Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione su web. 
In tal modo l'Unità di Paesaggio diviene eloquente, nella rappresentazione di sé offerta da documentazione testuale, audiovisiva, grafica (mappe interattive), e nella progettazione di percorsi tematici di Cultura Tecnologica a finalità turistica. 
L'obiettivo esplicito è qui costituito dalla progettazione di TecnoViaggi in grado di realizzare la narrazione del territorio, ovvero l'organizzazione grammaticale di elementi significativi distinti offerti dalle peculiarità paesaggistiche, in direzione di una loro rappresentazione ipermediale sui luoghi mediatici di promozione territorial-turistica e nella conversazione geolocalizzata (turismo 2.0).

21 maggio 2012

Amministrare 2.0

L'Assessore per l'Innovazione di Udine, Paolo Coppola, ha tenuto una relazione al convegno ForumPA di Roma dei giorni scorsi illustrando la tematica "Amministrare 2.0", sia dal punto di vista della cultura e delle competenze digitali richieste alla "macchina" della Pubblica Amministrazione e ai singoli cittadini, sia mostrando quanto Udine ha fatto finora e intende realizzare in futuro per costruire una vera e concreta comunicazione bi-direzionale tra Comune di Udine (qui l'elenco dei servizi 2.0 attivi sul sito comunale) e cittadinanza.

Punto cruciale del ragionamento pare essere la ricerca di forme di attivazione della partecipazione libera dei cittadini, mettendo a punto dei modelli e dei format di comunicazione che siano semplici e diano soddisfazione - qui si intende mettere l'accento sulle qualità "affettive" di coinvolgimento, quali meccanismi di gamification e risveglio del senso civico - e quindi riescano a suscitare una sorta di enpowerment della comunità locale, muovendo quest'ultima a esprimersi sulle scelte per l'amministrazione del territorio.

Mappe digitali storiche (con indicazioni socioeconomiche)

Sul sito dell'Università di Stanford ecco Orbis, un bell'esempio di una mappa digitale Geospatial Network Model tutta dedicata all'Impero Romano del 200 dopo Cristo. Un modello dei trasporti, uno strumento di conoscenza del territorio importantissimo (e con ottimi possibili utilizzi anche in ambienti formativi), dove alla comprensione visiva  dei traffici commerciali o militari dell'epoca lungo le vie consolari che circondavano e tuttora circondano il Mediterraneo è possibile avere informazioni di carattere economico e socioculturale sulla vita di allora. Ci sono dei video esplicativi, buone descrizioni.
Quanti giorni si impiegavano per andare da Aquileja a Costantinopoli? A quale prezzo? E se fossi stato un imprenditore nel ramo dei trasporti o un commerciante di derrate alimentari e avessi dovuto aggredire i mercati esteri esportando farina, quanto mi sarebbe costato portarne circa 9kili, ovvero un moggio?
Siam sempre lì: a capire bene il tecnoterritorio (anche e soprattutto nella dimensione diacronica, per comprendere in prospettiva le direzioni dello sviluppo storico dell'Abitare), si capisce bene il territorio.




ORBIS: The Stanford Geospatial Network Model of the Roman World reconstructs the time cost and financial expense associated with a wide range of different types of travel in antiquity. The model is based on a simplified version of the giant network of cities, roads, rivers and sea lanes that framed movement across the Roman Empire. It broadly reflects conditions around 200 CE but also covers a few sites and roads created in late antiquity.
The model consists of 751 sites, most of them urban settlements but also including important promontories and mountain passes, and covers close to 10 million square kilometers (~4 million square miles) of terrestrial and maritime space. 268 sites serve as sea ports. The road network encompasses 84,631 kilometers (52,587 miles) of road or desert tracks, complemented by 28,272 kilometers (17,567 miles) of navigable rivers and canals.

16 maggio 2012

Agenda digitale e smart-city

Questi qui sono gli obiettivi dell Agenda Digitale Italiana relativi alle smart-city

Obiettivo è la realizzazione di un Piano Nazionale Smart Communities, che:
  • garantisca la realizzazione delle infrastrutture intangibili abilitanti per la realizzazione di progetti finalizzati al miglioramento della vita dei cittadini nei contesti urbani e nelle comunità diffuse, garantendo inclusione e partecipazione a tutti ma in particolare a quei cittadini che vivono in condizioni di disagio o di esclusione;
  • abiliti la progettualità delle comunità intelligenti attraverso interventi normativi finalizzati a rimuovere gli ostacoli e a definire una piattaforma normativa, amministrativa e regolamentare minima su cui le stesse comunità possano sviluppare l’idea di intelligenza che sentono propria;
  • definisca un quadro finanziario di riferimento ed una serie di modalità di ingaggio pubblico-privato che consentano alle singole comunità di realizzare i loro progetti di città intelligente, compatibilmente con il contesto generale di finanza pubblica.
  • sappia cogliere contestualmente il duplice obiettivo di migliorare la vita dei cittadini e di avviare processi di sviluppo economico locale, anche attraverso politiche di sostegno alla costruzione di capacità industriali specifiche nel perimetro delle tecnologie per le smart communities;
  • faciliti la realizzazione di un modello di città intelligente specifico rispetto alle risorse ed nazionali: il patrimonio culturale, i centri storici, le città di media dimensione, il turismo, specifici modelli di coesione sociale e molto altro ancora.
Queste invece sono le parole chiave su cui si organizzano le discussioni
Progetto Nazionale Smart City; connettività urbana; sistemi e indicatori di monitoraggio intelligente; mobilità sostenibile e trasporti intelligenti; efficienza energetica ed energie rinnovabili; impatto ambientale e salvaguardia del territorio; riuso e riciclo; modelli urbani sostenibili e trasformazione contesti urbani; sanità intelligente e e-health; coerenza degli interventi pubblici con bisogni e identità del territorio; valorizzazione patrimonio culturale; inclusione e coesione sociale; terzo settore; regole di ingaggio tra pubblico e privato; imprenditoria sociale e start-up tecnologiche ad impatto sociale (social innovation); social impact bonds; finanza locale e microfinanza; crowdfunding; Project Financing; Venture Philantrophy.


Carlo Ratti e le Città viventi

Fonte: Massacritica


Smart City o tirannie digitali: il nostro futuro secondo Carlo Ratti

Il 18 Aprile scorso si è tenuto l’incontro di Meet the Media Guru con Carlo Ratti, ingegnere e architetto di eccellenza, conosciuto a livello mondiale per i suoi progetti di miglioramento della vita metropolitana, nonchè insegnante del MIT e direttore del Senseable City Laboratory.
Ratti ha introdotto la conferenza parlando degli effetti della tecnologia sul nostro modo di vivere. Le città sono piene di sensori e di strati digitali, e grazie alla tecnologia l’ambiente sta iniziando a comunicare con noi. Ce lo dimostrano alcuni progetti realizzati dalla sua associazione: uno di questi è la Source Map, ovvero un chip che, installato su un qualsiasi oggetto di scarto ci permette di scoprire che percorso compie, perchè noi sappiamo sempre da dove proviene un oggetto che acquistiamo, ma non abbiamo nessuna informazione su dove esso venga portato una volta che noi decidiamo di sbarazzarcene.
Un altro progetto riguarda la ricezione di informazioni e immagini dal mondo attraverso un dispositivo installato su un portatile che permette di avere informazioni sulle abitudini delle persone; un caso curioso è stato quando uno di questi computer è stato rubato e grazie al dispositivo installato nel programma della fotocamera è stato possibile risalire ai delinquenti che, ignari di questa tecnologia, scattavano fotografie con la webcam.
Grazie alle fotografie e alla loro diffusione in rete, magari su siti come Flicker si possono quindi fare ricerche, per capire le abitudini o le esigenze della popolazione e agire quindi di conseguenza. La Senseable City Laboratory con i suoi studi ha dimostrato che grazie alla rete si può costruire una mappa di dove vengono scattate più fotografie in un determinato luogo, analizzare la vita notturna di Barcellona e scoprire, grazie alle immagini, i posti migliori per festeggiare, o ancora, in base ai colori presenti nelle fotografie, capire quali sono le zone a rischio siccità in Spagna. Questi sono solo alcuni esempi di come una città possa diventare vivente, come possa comunicarci tutto ciò che avviene attorno a noi: consumo di energia, eventi speciali, dove trovare un taxi quando piove o vedere anche i flussi globali di arrivi e partenze aeree.

Molte città stanno aprendo le loro porte alle nuove tecnologie e opportunità delle smart city, prima fra tutte Singapore.
In Francia è nata l’idea di studiare un’applicazione che permetta di capire quanto tempo ci vuole ad attraversare la città con i vari mezzi di trasporto e calcolare anche la quantità di anidride carbonica consumata. Oggi è possibile creare App per Smartphone che possano calcolare queste cose senza bisogno di fornire dati, infatti molti moderni cellulari sono dotati di sensori che permettono di assimilare nozioni dall’esterno: un nuovo modo, quindi, di vivere la città.
Si può portare la tecnologia anche nelle abitazioni: la Senseable City Laboratory ha ideato, tra i suoi vari progetti, una struttura di proiettori che permetta di vedere la tv in ogni angolo della casa.
Recentemente sono stati ideati anche elettrodomestici muniti di chip che ci permettono di controllarli tramite cellulare, consentendoci anche di avere tutte le funzioni necessarie senza bisogno dover leggere manuali di istruzioni, avendo modo di comunicare con i sensori per capire quando il loro lavoro è finito. E’ possibile anche avere informazioni, come ad esempio ricette per cucinare, facendo cosi diventare la preparazione dei pasti un gioco, grazie all’interazione col touchscreen degli smartphone.
Ma esistono tecnologie per rendere la città più sensibile? Più fruibile dagli stessi cittadini? La risposta è sì, ed è un progetto che arriva da Copenaghen: la Copenaghen Wheel.
Si tratta di una bicicletta che si ricarica con le frenate, e che, collegata all’iphone, si mette in contatto con tutta la città, per vedere i livelli di inquinamento, i percorsi consigliati, e perfino per dare un programma fitness personale. Tramite i social network inoltre, è possibile condividere le proprie informazioni, in modo che altri utenti possano usufruirne, per aiutare insieme a migliorare la città.
Ratti conclude dicendo che fino a pochi decenni fa si pensava che la conoscenza fosse l’incasellare e l’archiviare qualsiasi cosa, mentre oggi pian piano tutte le barriere artificiali stanno scomparendo, e che le idee oggi non nascono più dal colpo di genio di una singola persona, bensì sono il frutto dell’unione e del lavoro di più persone per un ideale comune. Come dice lo stesso Ratti

Alla fine dell’incontro sono state poste alcune domande che di seguito riportiamo.
Quanto i cittadini possono diventare protagonisti della riprogettazione della città?
Carlo Ratti. Le possibilità sono molte e ancora da esplorare. Quello che è interessante è questo: negli ultimi vent’anni siamo passati dal mondo fisico al mondo digitale. Oggi invece grazie al potere delle reti possiamo fare il contrario. Un esempio è stata la campagna di Obama, che è partita dalle reti per portare all’elezione reale del presidente.
La prossima frontiera sarà come usare tutto questo per gestire le città, e a New York e Boston ci sono già App che permettono ai cittadini di comunicare eventuali disagi. Arriveremo a città dove le nuove tecnologie permetteranno nuovi metodi di partecipazione.
Riguardo agli elettrodomestici: quanto l’industria è più avanti rispetto alla ricerca teorica in questo campo? Come si può usare la gente, attraverso sensori, per permettere a delle macchine di estrapolare informazioni rispetto alla società? Potremo vedere qualcosa, in un futuro prossimo, di applicazioni di Smart City? A che punto siamo? Il software che viene utilizzato è Processing?
Carlo Ratti. Si, noi utilizziamo Processing in quasi tutti i nostri lavori. Per quanto riguarda le città intelligenti: le nostre città stanno diventando computer all’aria aperta. Raccogliamo un gran numero di dati, le statistiche cambiano, e riceviamo un numero consistente di informazioni. Ciò è una cosa fondamentale ed anche una delle più interessanti da analizzare.
L’innovazione può partire da qualsiasi cosa, sia dall’industria che da noi, nessuna è molto più in vantaggio rispetto all’altra, si può partire da qualsiasi campo.
Come può l’Italia riuscire a competere con Singapore? Cosa si può fare per rendere le SmartCity più concrete?

Carlo Ratti. Ci sono molte iniziative in tutta Europa e anche in Italia. La cosa più importante è non occuparsi di tutto. Al giorno d’oggi ognuno cerca di creare il suo kit per SmartCity e il risultato è che tutti hanno tutto, ma oltre a non essere collegati tra loro non hanno nemmeno abbastanza soldi per permettersi sviluppi. Non serve battere Singapore, bisogna sviluppare cose nuove, non sperimentare qualcosa su cui già altri stanno investendo. Milano sta lavorando, ad esempio, sugli spazi pubblici legati a SmartCity e sul modo di lavorare. Bisogna puntare sulle caratteristiche dei nostri paesi e saperle sfruttare. In Italia non si crede più nelle istituzioni, magari con SmartCiry si può cambiare tutto ciò, per impegnarsi insieme per la città. Perchè non puntare su una forza nostra per poi magari esportarla?
Si parla di SmartCity da anni, ma perchè oggi fanno tendenza? Cos’è cambiato?
Carlo Ratti. Prima c’era un rapporto uomo-macchina, oggi la macchina non c’è più, c’è la rete distribuita nello spazio, c’è un’interazione uomo-tecnologia, quindi è proprio lo spazio a entrare in relazione con le persone, si sta cambiando il modo di pensare le città. La tendenza forse è un entusiasmo collettivo, molte città si stanno impegnando, ma è comunque una cosa molto profonda e destinata a rimanere per molto tempo.
Tutta questa tecnologia non rischia di creare problemi di sicurezza? Il fatto che gruppi come Anonymous siano riusciti a oscurare il sito della casa Bianca o della CIA non rischia di preoccupare tutta questa tecnologia nel quotidiano?

Carlo Ratti. Non riguarda solo la city, ma il mondo che stiamo costruendo. Quando usavamo solo sistemi digitali, come i computer, trovavamo i virus, che per quanti danni facessero non erano pericolosi a livello reale. Quando invece ciò succede in cose fisiche, ad esempio un auto che scambia l’acceleratore col freno, diventa già un problema. Sono tutti rischi che riguardano il mondo di domani e verso i quali ci dobbiamo prevenire tenendo i sistemi più aperti possibili in modo che più occhi possano controllarli.
di Francesca Pich

7 maggio 2012

Montagna da vivere - convegno

Un convegno a Claut, la mattina del 12 maggio.
Montagna da Vivere – Turismo, Natura, Sostenibilità, Innovazione


Amministratori locali, promotori turistici regionali, docenti universitari, imprese innovative per provare a ragionare di promozione territoriale e turistica delle zone montane.

Cliccando qui compare il programma del convegno in .pdf


Scuola e pensiero laterale


Fonte: Wired.it
Come dovrebbe essere la scuola di domani? Il quesito, alla base del numero di settembre, Wired lo ha posto a Sir Ken Robinson. Non fatevi ingannare da quel “sir” che potrebbe evocare la figura di un vecchio accademico prigioniero di biblioteche e antichi precetti. Robinson è l’esatto contrario. Presenza fissa al TED (le sue videoconferenze sono state viste in rete più di 7 milioni di volte), le sue idee sulla creatività e il “pensiero divergente” alla base di un nuovo sistema educativo, hanno fatto il giro del mondo. Su Wired trovate la trascrizione di un discorso che ha scritto per la Rsa, organizzazione che si impegna a cercare nuove soluzioni per il progresso e la ricerca. Cliccando il video in basso, potete ascoltare le parole di Sir Ken Robinson. La premessa alla tesi di Robinson è molto semplice: la scuola di oggi è una scuola antica, concepita “nel clima culturale e intellettuale dell’Illuminismo e nelle circostanze economiche della prima rivoluzione industriale”. La prova è che le scuole sono ancora organizzate sul modello della linea di produzione, come in una fabbrica. “Ci sono le campanelle, delle strutture separate, gli alunni si specializzano in materie diverse. Educhiamo ancora i bambini per annate: li inseriamo nel sistema raggruppandoli per età”. La scuola, quindi, è come una catena di montaggio da cui possono uscire solo due tipi di prodotti: studiosi e svogliati.
Si tratta di un sistema educativo non al passo con i tempi, secondo Robinson. Non un tempo in cui, su bambini e adolescenti, convergono le informazioni passate da Internet, dai telefonini e dalla tv. Ma allora, qual è il tipo di educazione adatta alla nostra epoca? Robinson prende in causa il “ pensiero laterale”, espressione coniata dallo psicologo maltese Edward De Bono che indica una capacità di risolvere i problemi in modo creativo e da diverse prospettive. Robinson cita l’esempio della graffetta: quanti modi ti vengono in mente per usarne una? “La maggior parte di noi ne trova 10-15. Quelli più bravi ne trovano anche 200. E li trovano facendo domande del tipo: ‘La graffetta potrebbe essere alta 60 metri e fatta di gommapiuma?’”.
La cosa tragica è che i bambini sono più portati a vedere le cose lateralmente – e quindi a fare più domande e a trovare più soluzioni – di quanto lo siano gli adulti. Questo non perché la crescita porti per forza di cose a una chiusura mentale, ma perché i luoghi in cui i bambini crescono invece di sviluppare e articolare il loro pensiero, lo standardizzano. “Il problema cruciale”, sostiene Sir Ken Robinson, “risiede nella cultura delle nostre istituzioni, nel clima che vi si respira e nelle abitudini che hanno consolidato”.