31 marzo 2011

Dal WEB dei documenti al Web dei Dati per una conoscenza interconnessa

Linked Open Data: perché solo Open data non basta, neppure in Italia.
By TITTICIMMINO | Published: DECEMBER 24, 2010
Il valore di una licenza “open” sta nel fatto che i dati rilasciati con tale licenza possono essere condivisi e ri-usati senza restrizioni. Per poter rivolgersi alla comunità degli sviluppatori l’apertura delle licenze è il primo step: senza questo passo il resto è come un castello di carte.

Ma la licenza “open” ha anche un altro valore: per effettuare mash up di dati o per linkarli se i dati sono allocati in differenti database , tipo Europeana o DBpedia, è necessario avere schemi di licenze compatibili per evitare di incorrere in alcuni set di dati per i quali la licenza d’uso sia restrittiva, restituendo così, di fatto, un insieme di dati incompleto o per nulla efficace.

Un validissimo esempio di Linked Data è quello dei Linked Geo Data, i dati spaziali sono cruciali per interconnettere risorse geografiche garantendo faciltà di browsing e di authoring.

Linked Open Data: cui prodest?

Andiamo per ordine: perchè solo Open Data non basta.

Il web dei documenti diventa il web dei dati, questi descrivono “cose” che hanno “proprietà” a cui corrispondono determinati “valori”.
Immaginando una tabella: le righe sono le “cose” , ogni colonna rappresenta le “proprietà”, e l’intersezione rappresenta la proprietà della cosa.
In sintesi tendiamo a pensare a dati in questo modo: “cosa”, “proprietà”, “valore”.
Ogni “cosa” può avere più proprietà e più cose possono essere in relazione. Dal punto di vista grafico, immaginando un grafo i nodi sono le cose e gli archi le relazioni tra le cose.

Precipua questione è quella della identificazione delle cose globalmente e univocamente dal punto di vista di un database. La chiave di volta dei Linked Data sono gli URIs che appunto consentono la identificazione di cui sopra. GLi URIs identificano le cose che vengono descritte, piuttosto che azioni su quelle cose, e se due persone creano dati usando lo stesso URI, allora essi stanno descrivendo la stesa cosa rendendo facile il merging di dati provenienti da data sources distinti, con la possibilità di riconoscere la distinzione tra le risorse e le rappresentazioni di tali risorse: lo stesso URI potrebbe restituire una diversa rappresentazione della risorsa, come ad esempio HTML o XML o JSON.
Quindi, se abbiamo intenzione di pubblicare i dati sul web, abbiamo bisogno di uno standard per esprimere i dati in modo che un client ricevente i dati possa capire che cosa è una cosa, che cosa è una proprietà, che cosa è un valore e, dal momento che questo è il web, anche cos’è un link. Questa è la norma fondamentale di cui abbiamo bisogno e questo è ciò che dà RDF: i dati espressi in formato RDF possono usare URI provenienti da differenti siti web. Se due insiemi di dati utilizzano lo stesso URI poi è molto facile lavorare quando parlano della stessa cosa, ad esempio, permettendo di riunire le informazioni pubblicate da una scuola con le informazioni rilevate da indagini statistiche altrove pubblicate secondo lo standard , naturalmente. E la cosa grandiosa del modello RDF (che fa uso di URI per identificare le proprietà) è che quelle serie di dati possono essere combinate automaticamente, perché lo standard consente di sapere dove cercare le informazioni necessarie.

Usare URI HTTP facilita il recupero di un documento dal web. Ciò consente di programmare, on-demand, l’accesso alle informazioni. Gli sviluppatori non devono scaricare enormi database mentre sono interessati ad una piccola parte di quei dati. Come possiamo creare facilmente dati strutturati e riutilizzabili da formati Excel o (peggio) dai file PDF? Come affrontare i cambiamenti nel tempo, e registrare la provenienza delle informazioni che mettiamo a disposizione? Come possiamo rappresentare le informazioni statistiche? O informazioni sulla localizzazione? Queste sono cose che si imparano mettendosi all’opera!

E ‘ complicato cominciare ad adottare i Linked Data, sia per ragioni sociali, culturali che per motivi tecnologici. Non succederà nulla dalla sera alla mattina, ma a poco a poco ci saranno gli effetti di rete: URI più condivisi, più vocabolari condivisi, il che rende più facile da adottare i Linked Data patterns offrendo più vantaggi per tutti.

Una volta descritti i dati e modellizzati, occorre interrogarli e questo avviene con un linguaggio standard per query: lo SPARQL.
In realtà, ciò che è necessario è la creazione di serie di dati più grandi, riunendo i linked data più granulari in elenchi e grafici, questo è essenzialmente quello che fa SPARQL.

Dunque per pubblicare Linked Data occorre
1) comprendere i principi (Uso di RDF data model con RDF links, link tipizzati tra due risorse, per collegare i dati relativi alle stesse cose)
2) comprendere i dati (con i Vocabolari condivisi FOAF SIOC Dublin Core, geo, SKOS, Review)
3) scegliere URI (http URIs) per le cose espresse nei dati (cose come Persone, posti, eventi, libri, film, concetti, foto, commenti, reviews)
4) linkare ad altri data set (con i link RDF)
In sintesi RDF è il formato per i Linked Data; RDF usa URIs per dare un nome alle cose; quando un URI è chiamato, esso restituisce descrizioni RDF delle cose chiamate con gli stessi e sempre via RDF si descrivono le relazioni tra le cose. Infine lo zenit si raggiunge linkando differenti data set.

A dispetto di problemi e questioni che si potrebbero sollevare circa le difficoltà di sviluppatori o esiguità di risorse, ritengo che il Linked Open Data data sia l’approccio migliore a disposizione per la pubblicazione di dati in un ambiente estremamente vario e distribuito, in modo graduale e sostenibile.

Perché? Linked Open Data significa pubblicare i dati sul web mentre si lavora con il web.

Linked, Open, Data!


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26 marzo 2011

I social network

Scopri che cosa sono i social network
Definizione e caratteristiche
Come funzionano: un esempio
Reti bidirezionali
Reti a stella
I bisogni che soddisfano
Esperienze ottimali e social network
Interrealtà: La fusione tra reale e virtuale
I nativi digitali
Il primo paradosso dei social network
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L'eccesso di informazione
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Come studiare i social network
Gli utenti dei Social Media
Le caratteristiche delle reti sociali
Marketing e pubblicità nei Social Media
Trend e tendenze
Le guide ai social network: come usarli, come evitare rischi
Affrontare la dipendenza da Internet
Il blog

23 marzo 2011

La Rete e l’identità territoriale

[crossposting da Semioblog] Un articolo per "La Patrie dal Friûl". Per leggerlo in friulano andate qui.

La Rete e l’identità territoriale 

Qual è lo stile con cui le collettività abitano i territori? L'argomento qui in ballo è quello della partecipazione spontanea delle comunità umane alla costruzione della propria identità massmediatica, e non stiamo parlando solo di immaginario. La rappresentazione mediatica che emerge dall’opinione pubblica locale dà visibilità a tematiche molto concrete, come a esempio l'organizzazione logistica del tessuto urbano, la viabilità o lo spostamento di merci e persone. Oppure riguarda il mondo dell'informazione e della conversazione tra Enti locali e cittadini, se proviamo a ragionare di piattaforme web istituzionali per la partecipazione pubblica della cittadinanza a forme di progettazione sociale condivisa e collaborativa.

Il fare comunicativo della comunità locale, ovvero l'insieme dei discorsi e delle posizioni dei singoli individui nonché degli attori sociali gruppali o istituzionali, veicola a esempio le descrizioni fisiche o le caratteristiche concrete di un ambiente rurale o urbano, le valutazioni putacaso estetiche sul paesaggio o sulle filiere di distribuzione economiche e produttive locali, e contribuiscono con la loro polivocalità a dipingere l'immagine dinamica di quel territorio, per come essa emerge dall'incessante conversazione sociale. Si tratta certo di qualcosa che è sempre esistito, ma che oggi risulta potenziato e reso maggiormente visibile grazie al web moderno, capace di accogliere le voci di tutti.

Nell’Ottocento l’identità friulana, per come essa riusciva a trovare rappresentazione di sé presso l’opinione pubblica, viveva nelle arti figurative, nella letteratura oppure nel teatro popolare. Il Novecento a questi luoghi di espressione identitaria ha aggiunto i massmedia quali i giornali quotidiani, la radio e la televisione: durante lo scorso secolo è sicuramente aumentata la diffusione delle informazioni e la circolazione dei punti di vista, ma la produzione culturale mediatica rimaneva comunque appannaggio di pochi centri economici governativi o commerciali. 
Quello che fino a ieri non poteva materialmente esistere, ovvero permettere a chiunque di stampare il proprio giornale o di accendere il proprio canale televisivo, oggi è diventato prassi comune per il singolo cittadino, grazie alle nuove tecnologie digitali.

Tornando a concentrare la nostra attenzione sull’abitare in Rete da parte delle collettività umane, proviamo a pensare ai primi cento risultati che il motore di ricerca di Google restituisce ricercando il termine "Friuli”: otteniamo una sorta di fotografia dinamica e cangiante del nostro territorio. Solo alcune di queste voci saranno espressione di una comunicazione istituzionale progettata e pubblicata, mentre altre occorrenze, molto più numerose, emergeranno dai ragionamenti e dai documenti multimediali pubblicati da qualche blog importante della zona, dai forum di discussione, dalle conversazioni che avvengono su qualche social network, dai siti commerciali che fanno del collegamento al territorio un loro punto di forza nel marketing, da testate giornalistiche che riflettono gli accadimenti locali. 

Il Friuli agli occhi del mondo è questo.

Un giapponese compra una bottiglia di vino, legge sull’etichetta “Friuli”, decide di indagare su Internet, chiede a Google di raccontagli qualcosa della nostra Regione. La sua opinione complessiva dipenderà dai percorsi di narrazione che il motore di ricerca rende praticabili, nel mostrare luoghi e narrazioni, la personalità e l’identità mediatica che emerge dal territorio.

L'insieme delle narrazioni di un territorio costituisce la sua carta d'identità. Si tratta di una sorta di scrittura corale di storie (e di Storia) sopra una geografia, dove le parole che quella comunità utilizza per raccontarsi, le parole di ognuno di noi, possono ora grazie alla tecnologia web interagire con le mappe satellitari e con i telefoni cellulari, espandersi e prendere corpo e vigore dentro i blog e i social network, alimentare centinaia o migliaia di flussi di conversazione, dove prima eravamo costretti a accontentarci di poche voci. 

14 marzo 2011

Prestami un libro

Le stesse cose dette da Riccardo Cavallero di Mondadori a Rimini al convegno EbookLab Italia di qualche giorno fa, tramortendo la platea degli editori presenti, ora riappaiono in questa intervista a El Paìs, riportata da repubblica e dal Post.
Si potrebbe discutere dei modelli economici, delle "forme del contenuto" editoriale, ma la visione d'insieme del cambiamento culturale in atto è assolutamente condivisibile.
E interessante è l'accenno alle biblioteche, che presto potrebbero vedere rivitalizzato il loro ruolo e la loro importanza nel mercato dell'editoria elettronica, come a esempio prova da anni a spiegare Giulio Blasi di MLOL.

via Post

Da vendere i libri ad affittarliIl capo della Mondadori ha spiegato al Pais cosa pensa del futuro dei libri

Il direttore generale di Mondadori Libri, Ricky Cavallero, ha dato un’intervista al quotidiano spagnolo El Pais (Cavallero ha lavorato a lungo in Spagna prima di essere nominato a Segrate l’anno scorso) sulle prospettive del mercato dei libri, ripresa oggi da Repubblica nelle pagine di cultura.
L’era Gutenberg non è finita, anzi è destinata a continuare, ma sarà la rivoluzione digitale di Internet a segnare il futuro dei libri. «Il potere passa dall’editore al lettore, è lui a decidere cosa vuole, quando lo vuole e a quale prezzo»: a dirlo, in un’intervista uscita ieri sul País, è Riccardo Cavallero, direttore generale dei Libri del gruppo Mondadori in Italia, Spagna e America latina (compresi dunque i marchi Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer, oltre alla newyorchese Random House). Manager di segno cosmopolita, è nato 48 anni fa vicino a Torino, ha vissuto in America, poi in Spagna, e ora è a Milano. Tra le sue preferenze letterarie, indica anche Gomorra di Saviano.
A suo dire, intanto non è il libro on line a determinare quel cambiamento radicale nell’universo dell´editoria che paragona a una rivoluzione copernicana. Cavallero: «L’e-book in sé non vale niente. Nasce già vecchio. Quel che conta è la rivoluzione digitale. Come avvenne per i dinosauri, per sopravvivere bisognerà cambiare habitat, e invece molti editori non sono ancora pronti, non hanno la forza mentale per cambiare il proprio modo di lavorare, tenendo conto dei gusti di chi sta dall´altra parte. Finora siamo vissuti in una bolla di lusso dov’era possibile prescindere dal lettore: ora invece, per la prima volta, dovremo capirlo».
Più difficile da dire è come cambieranno gli editori, in che tempi, e soprattutto: che fine faranno i diritti d’autore? Azzarda Cavallero, un po’ ridendo: «L’editore diventerà un bibliotecario: non venderà qualcosa, ma lo presterà. Nel mondo digitale, avrà qualcosa di simile alla televisione a pagamento, con alcuni canali che vengono venduti a sottoscrizione… Inevitabilmente, si dovrà trovare anche una formula nuova per liquidare i diritti e non sarà più possibile farlo nel modo semplice di oggi: per ogni esemplare venduto. Il cambiamento avverrà tra una ventina d’anni, probabilmente, ma già ora il digitale fa nascere un mucchio di problemi agli avvocati che devono quantificare la somma destinata al pagamento dei diritti d’autore»