22 luglio 2010

Socialità in Rete

Come funziona la socialità in Rete?
Internet ha reso insignificante il concetto di distanza geografica, e gruppi di persone da tutto il pianeta, accomunati dall'interesse per tematiche specifiche, convergono sugli stessi Luoghi digitali e scambiano informazioni e opinioni e costruiscono oggetti culturali da re-immettere nel circuito della comunicazione.
O di converso, teniamo in considerazione anche una comunità locale che prende coscienza di sé, specchiandosi nei paesaggi mediatici che emergono dal proprio ininterrotto produrre comunicazione e contenuti, e che si scopre molto più ricca e variegata grazie alla coralità di voci che ora possono partecipare alla pubblica discussione.

Già da qualche decennio discipline quali la sociologia della comunicazione, la psicologia sociale, l'antropologia provano a illustrare i meccanismi tramite i quali si viene strutturando una forma sociale in una data collettività, i rituali e i cerimoniali, le tribù e i clan, la propaganda e la creazione del consenso, la nascita di tematiche condivise capaci di alimentare l'agenda collettiva, e la loro distribuzione presso i gruppi sociali, di cui spesso abbiam detto conviene darsi una rappresentazione di tipo ecosistemico, partendo a esempio dal modello delle nicchie ecologiche.

La nostra appartenenza a deteminati gruppi sociali e la relativa esposizione a determinati argomenti e punti di vista, la nostra frequentazione di determinate cerchie amicali o professionali costituisce un "filtro" attraverso cui percepiamo il mondo, dando senso agli accadimenti; in Rete avvengono gli stessi identici fenomeni di socialità, partecipiamo a conversazioni nei vari ambienti digitali, maturiamo la nostra opinione sui fatti in un confronto continuo con persone selezionate serendipicamente, di cui apprezziamo la competenza e lo stile.

Galatea ha scritto una riflessione su queste dinamiche sociali in Rete: ora io la incollo qui, ma cliccando qui la leggete direttamente sul suo blog.



Internet, il branco, il villaggio e l’utilità della fantesca globale
Stamattina, sulla Stampa, è apparso un bell’articolo di Ethan Zuckerman, traduttore e attivista della rete di Voci Globali. È un pezzo denso, di cui mi ha colpito però la riflessione riguardante l’apertura e la “chiusura” della rete. Posto che internet è ormai aperta a tutti, dice Zuckerman, e quindi tramite i social network persone di ogni parte del mondo possono entrare velocemente e spontaneamente in contatto le une con le altre, resta però un fatto che si tenda ad aggregarsi in “gruppi” che poi risultano abbastanza chiusi ed impermeabili fra loro: dei “branchi”, li chiama lui, in cui si ritrovano persone con interessi, cultura e provenienza razziale o culturale simile. Il risultato è che fra loro questi gruppi tendano a parlare solo di determinate cose (quelle che interessano loro) e rimanere sordi, anzi non entrare proprio in contatto con tutto il resto. Tanto che se una notizia o un tormentone vengono lanciati in internet all’interno di un determinato gruppo, persino molto numeroso, può addirittura accadere che il resto dell’universo dei navigatori nemmeno se ne accorga, o, se se ne accorge, non sia minimamente in grado di capire di che cosa stiano parlando gli altri.

Trovo l’osservazione di Zuckerman profondamente azzeccata. Internet, come tutti i prodotti dell’uomo, riflette la logica secondo cui è strutturata la società che l’ha prodotta. E la società umana si organizza, dalla tribù al globo, secondo logiche di appartenenza e di cooptazione. Ognuno di noi costruisce attorno a sé, sia nelle rete che nella vita, una cerchia che è il suo punto di riferimento fisso e che contribuisce a definire la sua identità: in sostanza ha un circolo ben definito di “conoscenti” di cui si fida o che frequenta per motivi di lavoro e di contatti sociali. Tutte le informazioni con cui l’individuo entra in contatto sono in un certo senso “filtrate” dalla sua cerchia: o perché gli arrivano indirettamente dai racconti di membri di essa o perché, anche se sono cose che vede succedere di persona, senza apparenti mediazioni, i fatti vengono interpretati attraverso i modelli culturali della cerchia di appartenenza, che determina cosa debba essere considerato “positivo” o “negativo”, “bello” o “brutto”, importate o trascurabile.

La novità di internet, semmai, è rappresentata dalla possibilità di allargare e rendere trasversali o multiple le nostre “cerchie”. Per secoli lo sviluppo del pensiero umano e del talento singolo erano molto vincolati non solo al tempo in cui l’individuo si trovava a vivere, ma dalla sua posizione geografica. In un mondo in cui gli spostamenti erano lunghi e difficili, la cerchia di amici con cui si poteva rimanere in contatto e scambiare idee era forzatamente ridotta a coloro che vivevano vicini. Lo scambio di idee e di informazioni, che è il presupposto per ogni crescita intellettuale, è legato alla creazione di una rete efficiente e veloce. Gli intellettuali hanno sempre costruito “reti” di questo tipo (dal reticolo di monasteri in continuo scambio epistolare del medioevo alle accademie di letterati nei secoli seriori): è impossibile diventare intelligenti se si passa il tempo a conversare solo con citrulli o si possono leggere quattro libri, magari neppure eccelsi. Ma finché non si è avuta la possibilità di una diffusione capillare ed immediata della parola “scritta” lo scambio intellettuale era patrimonio esclusivo di una élite: quella che si poteva spostare per viaggi e convegni, spedirsi lettere e scambiarsi tomi.

Oggi internet (con i social network, i forum, etc.) permette invece anche a persone “normali” di crearsi una propria rete di frequentazioni e conoscenze transnazionali, anche se non ci si può muovere da casa o lo si fa di rado. Resta però il problema, ma questo è un portato naturale, che queste cerchie si “costruiranno” in maniera spontanea cercando coloro che hanno interessi simili ai nostri. Gli appassionati di pesca cercheranno appassionati di pesca dall’altra parte del globo, ma sempre di pesca parleranno.

La logica con cui sono costruiti i social network, in realtà, favorisce l’incontro di chi ti è simile: si legge coloro cui si è concessa l’amicizia e l’accesso alle nostre pagine o thread, quindi a persone che già conosciamo o ci vengono segnalate da altri amici (o da algoritimi pensati per questo) perché hanno interessi comuni a noi. Per questo alcuni gruppi possono essere del tutto impermeabili a notizie che sono propagate al di fuori del gruppo stesso: esistono, sulla rete come nel mondo, delle nicchie, ed alcune sono particolarmente chiuse. Ciò che la rete però permette è quello di gestire più cerchie in contemporanea e in tempo reale. Chi ha esperienza di social sa che, dopo un certo numero di contatti, tutti dividono gli “amici” in liste, determinate sulla base degli interessi specifici e differenti dei vari membri che vengono là inseriti: la lista dei “maniaci” di internet distinta dagli “amici d’infanzia”, i compagni di calcetto divisi da quelli di partito o dai colleghi, e così via. Siccome l’individuo non è mai un monolite, internet permette di gestire contemporaneamente ed in tempo reale comunicazioni con più cerchie costituite da membri con interessi in parte diversi, e legati magari solo dall’avere tutte un contatto con x in comune. Il passaggio di informazioni (modi di dire, trend) sulla rete è garantita da questi individui-ponte, che possono mettere in contatto, casualmente, persone di provenienza ed interessi diversissimi fra loro.

Un tempo l’informazione “generalista” era affidata alla stampa generalista, appunto: uno comprava il giornale al mattino e leggeva un po’ di tutto nella prima pagina, poi approfondiva solo le notizie che gli interessavano, sulla base del proprio carattere, lavoro, formazione o bisogno. L’avvento di servizi specifici come Google News e Allert ha in parte ridotto l’apporto di informazioni generaliste, nel senso che uno può anche scegliere che gli vengano inviate a priori solo alcuni tipi di notizie, e beatamente ignorare il resto. Sui social network, in un certo senso, si è creato naturalmente lo stesso tipo di filto: ricevo twit ed aggiornamenti solo dalle persone che ho preselezionato e che quindi, nel 90% dei casi, parlano di cose che abbiamo in comune. Divengono perciò importanti, sulla rete, ai fini della diffusione dell’informazione, quegli individui che hanno molteplici interessi, molti contatti e in qualche modo partecipano a molte cerchie trasversali. Questi possono permettere che informazioni presenti solo nella cerchia A passino anche alla cerchia B, che, altrimenti, potrebbe bellamente ignorarle. Non necessariamente costoro sono i cosiddetti “guru” del web, o blogstar: anzi, di solito l’autore di un sito o di un blog tende a crearsi una personalità ben riconoscibile, e affrontare quindi solo determinati argomenti. Questi “ponti” fra le cerchie possono essere anche personaggi molto anonimi: basta che la loro rete trasversale di contatti permetta di innescare, per effetto domino, una specie di tam tam in ambienti che solitamente non sono in contatto. Un po’ come la vecchia fantesca del villaggio, che nessuno considerava un personaggio importante, ma, andando di casa in casa, finiva col diffondere in tutti gli strati sociali le novità del giorno. Internet è un villaggio globale. In tutti i sensi.

21 luglio 2010

Bambini e social network

Da una discussione interessante su Friendfeed: "Papà, ma non c'è un coso tipo facebook dove parlare ma per bambini?", ecco un problema che se ci impegniamo potremmo risolvere per tempo.
Purché nei commenti, qui come là, non arrivi qualcuno a dire che i bambini devono correre in bicicletta e giocare con gli amici, non essendo gli ambienti sociali digitali qualcosa che possa loro interessare, o essere addirittura deleterii per la loro formazione individuale.

Tanto per cominciare, i bambini sanno cosa fare su internet. Guardano Youtube, hanno i loro siti preferiti per giocare, vanno a cercare informazioni sui cartoni animati preferiti o su Harry Potter o Lady Gaga, conoscono Wikipedia. 
A partire dalle scuole medie, o anche per quelli di quarta e quinta elementare, il riferimento nei loro discorsi a cose viste in Rete è costante, il web è un Luogo abitato, e tanto quanto a quell'età espandono il loro orizzonte verso il vicinato e i gruppi di amici, così esplorano territori indifferentemente fisici o digitali.

Poi, non vorrei mai che per colpa di quelli che dicono che Internet non è per i bambini, e quindi proibiscono anziché educare, si ricadesse nella stessa situazione che abbiam già vissuto con la televisione prima e con i videogame poi, realtà vivissime nel mondo esperienziale dei minori eppure colpevolemente tralasciate dai sistemi formativi, senza che a scuola oppure in modo informale in famiglia e nelle agenzie educative territoriali si prendesse seriamente una certa Media Education capace di far riflettere insegnanti e allievi sulle grammatiche e sugli effetti sociali dei mezzi di comunicazione di massa.

Inoltre: i bambini a scuola usano il web per attività didattiche, e chissà quante maestre han già provato (o avrebbero voluto) a creare degli ambienti formativi digitali, usando Moodle o piccole community di classe web-based, dove poter alloggiare presentazioni powerpoint, caricare video fatti a scuola con la macchina fotografica, allestire gallerie di immagini della gita scolastica o dell'uscita presso il Museo, pubblicare documenti di scrittura collaborativa nati e cresciuti magari nel corso di attività con altre classi o altre scuole, nazionali o internazionali. 
Sappiamo da anni che l'introduzione del computer in classe genera una forte spinta motivazionale, e sappiamo anche che il modo migliore per apprendere in modo significativo (radicando le conoscenze in noi) è raccontare a qualcun altro ciò che si è imparato: ecco perché potrebbe essere interessante allestire le classi scolastiche anche dentro ambienti digitali - la classe non è un'aula, i muri scompaiono, abitiamo dappertutto, osmosi scuola-territorio - dove poter innescare conversazioni proprio sulle tematiche didattiche, tramite gli strumenti di chat e forum e bacheche e commenti.

Se in quinta elementare i bambini oggidì ricevono in regalo il cellulare, io ne approfitterei per dar loro ufficialmente e istituzionalmente anche una bella casella di posta elettronica, e intendo nome.cognome@, e anzi trasformerei questo rito di passaggio, fondato sull'acquisizione di strumenti che inaugurano la dimensione della socialità personale, in un vero cerimoniale da celebrarsi alla fine dell'anno scolastico. Sancendo il loro ingresso nell'età della socialità allargata, coglierei l'occasione per raccontare ai piccoli i lati positivi e quelli negativi relativi all'utilizzo di quegli strumenti.

Ci sono sedici (16) milioni di italiani su Facebook, considerando la fascia tra i 25 e i 50 anni ci sono in Italia milioni di genitori che in questi giorni si sentono chiedere "Papà, ma non c'è un coso tipo facebook dove parlare ma per bambini?" da una personcina di nove anni che è naturalmente incuriosito da cosa fanno papà e mamma quando arrivano a casa e si collegano (tralasciando il fatto che la gente usa facebook sul lavoro, dall'ufficio), e vedono schermi con foto di parenti e amici di famiglia, e auguri di compleanno, e chiacchiere di botta e risposta nei commenti.
Certo, esistono anche molti ambienti social per i minori, e sono anche frequentati. A esempio, credo che un nuovo rito di passaggio adolescenziale, praticato e vissuto in modo mediatico, sia il "cambio di social network", quando cioè un ragazzino/a di diciassette anni sente ormai limitante il proprio abitare su Luoghi sociali (Badoo e altri) progettati per un target d'età inferiore, e compie il grande passo di andare magari su Facebook, "dove ci sono i grandi".
Tra parentesi questo significa che i diciottenni che ora trovate su Facebook fanno social da tre/quattro anni su piattaforme dedicate, dove chissà che cosa han visto, come lo han vissuto, quali criteri di giudizio si sono formati in perfetta autonomia, visto che i genitori non capivano/capiscono cosa significhi chattare e scambiarsi foto in posizioni ambigue o semplicemente ludiche nella ricerca per prove e errori di una propria identità digitale, o comunque rappresentazione e proiezione mediatica di come vogliamo apparire e essere riconosciuti online.
Ma fino a quando la scuola primaria, dove si seminano i buoni comportamenti, non provvederà delle competenze digitali agli allievi per renderli Abitanti anche del nuovo mondo immateriale, il web in cui vivono a pieno diritto (a esempio: saper gestire il proprio profilo su un socialnetwork, aver cura della password, adottare comportamenti di buon senso nella protezione della privacy, conoscere i propri diritti di accesso all'informazione e di libera espressione di sé, possedere grammatiche e conoscenze aggiornate per decodificare la complessità tecnologica e comunicativa dei nuovi strumenti, aver maturato approcci etici rispetti agli altri fondati sui valori dell'accrescimento della conoscenza collettiva e sullo scambio interpersonale, aver compreso l'importanza di una riflessione sugli aspetti digitali di reputazione e fiducia incentrati sulla nostra persona e sul nostro fare pubblico in Rete, aver appreso le regole socialmente negoziate per condurre conversazioni civili e quindi consapevolezza di un fare diffamatorio, calunnioso, oltraggioso), indubbiamente il problema rimane il controllo di questi ambienti da parte di un supervisore adulto, genitore o tutore responsabile.
I bambini devono essere lasciati liberi di giocare tra loro, tanto quanto si lasciano giocare con altri bambini nei parchi senza impicciarsi troppo, o quando nella prima adolescenza allargano i loro giri in bicicletta frequentando gruppi di amici sul muretto, senza più essere sotto l'occhio attento e apprensivo della mamma.

Mettiamo un bambino di dieci anni. In classe a scuola ci si potrebbe scambiare l'indirizzo di posta elettronica, la maestra si fa scrivere una mail da ciascun bambino dal suo account personale nome.cognome@, poi ri-spedisce a tutti i bambini una mail con tutti gli indirizzi in chiaro, cosicché tutti abbiano quello degli altri.
Oltre a tornar utile per motivi scolastici, i genitori sarebbero sicuri che le comunicazioni avvengono sempre con persone certe. 
Ed è anche legittimo che i genitori controllino il cellulare e la mail dei figli, anche se farlo con un quattordicenne diventa questione spinosa, per la sua sacrosanta esigenza di privacy. Ma in ogni caso sapere che il genitore *potrebbe* controllare è già deterrente sufficiente affinché il minore rifletta su quello che sta facendo online (poi ovviamente il ragazzo o la ragazza un minimo scafati, imparando da amici o da fratelli grandi, si creano altri account e altri indirizzi di posta e altri nickname e vivono felicemente le loro mille identità digitali, come palestra di adultità).

Sui social network c'è il problema del "chiedere amicizia", che può essere fatto indistintamente e rapidamente verso tutti quelli che incontriamo. Inoltre vi è la possibilità di cercare le persone in molti modi diversi, e i risultati appaiono pubblici.
Forse su questi aspetti si potrebbe far qualcosa, sicuramente dal lato educativo, ma anche ponendo attenzione agli aspetti tecnici con cui le comunità digitali vengono progettate e realizzate.
Come già Facebook (ufficialmente riservato ai maggiori di 13 anni, ma abitato da molti bambini di età inferiore) sta cercando di fare su richiesta corale di fruitori preoccupati, la ricerca su persone minorenni a esempio dovrebbe essere inibita, come pure dovrebbe essere presente in maniera ben evidente un bottone PANICO che i minori potrebbero sempre rapidamente cliccare per segnalare comportamenti sessualmente sospetti.

I bambini, nuovi abitanti nativi, hanno tutto il diritto di avere una cerchia sociale digitale, e di praticare forme di socialità ormai comuni nel mondo (chat, commenti botta-e-risposta, videoconferenze, scambio mail) con i propri amici, comportandosi con proprietà nei Luoghi sociali, conversando civilmente, ascoltando gli altri e esprimendo liberamente sé stessi e per questo stesso fatto crescere come persone.
Ormai una generazione intera, quelli nati dopo il 1990, è giunta all'età della maturità (e del voto, e della responsabilità civile, e della patente, e dell'impiego professionale) vivendo tutta la vita circondata da computer e Internet e oggetti digitali e comunicazione istantanea, senza che nessuno abbia loro raccontato niente di cosa stava succedendo
Cerchiamo per quanto ci è possibile di ragionare su queste tematiche, auspicabilmente con cognizione diretta  dei nuovi comportamenti sociali mediati: a noi, come genitori o insegnanti, rimane come sempre da comprendere come poter garantire qualità educativa agli ambienti di crescita dei minori, fossero anche ambienti digitali.