21 novembre 2011

Fine del contante, fine del sommerso Carte di credito e assegni contro gli evasori. E se mettessimo una tassa sull'uso del contante?


In un momento come questo ognuno ha il dovere di dare il proprio contributo, anche con l’apporto di idee. Non sono un economista, non sono un’esperta di finanza, ma una giornalista generica che ogni tanto prova a capire temi complessi, per poi spiegarli agli utenti. Oggi, come tutti, mi pongo questa domanda: “Come se ne esce?” Il debito italiano conta 1.843 miliardi, il PIL 1.548. I mercati non si fidano del fatto che l'Italia possa ripagare i propri debiti.
Eppure l’Italia, ci dicono, ha un avanzo primario (entrate meno uscite, al netto degli interessi sul debito, che non vengono inclusi perché variabili), che nessuno dei paesi del G7 può vantare. Quindi abbiamo un conto economico sano, eppure stiamo rischiando di fallire con conseguenze globali disastrose, perché? Perché gli investitori pensano che tale avanzo sparirà in presenza di una recessione (italiana, europea, mondiale). Il nodo è il rapporto debito/PIL, che per l’Italia è troppo elevato. Tant’è vero che la Gran Bretagna, con un deficit più che doppio rispetto al nostro, riesce a farsi prestare soldi ad un tasso di interesse che è meno di un terzo di quello che paghiamo noi, proprio perché la Gran Bretagna ha un rapporto debito/PIL che è circa la metà del nostro. Siamo dentro un circolo vizioso: più è alto il rapporto debito/PIL, più è necessario tagliare la spesa pubblica, più diventa più difficile evitare una recessione. In presenza di forti tagli alla spesa pubblica la crescita può derivare solo dal settore privato, in altre parole: o da maggiori investimenti, o da maggiori consumi dei cittadini, o da maggiori esportazioni. In una situazione di incertezza economica mondiale è difficile pensare che senza particolari incentivi un imprenditore possa decidere di investire; è più probabile che decida di rendere più efficiente la propria azienda facendo dei tagli. E allora, di fronte alla mancanza di sicurezza del proprio posto di lavoro, le famiglie sono portate a ridurre le spese, piuttosto che incrementare i consumi.
Pertanto è diventato drammaticamente urgente riportare il rapporto debito/PIL intorno al 100% (il livello superato il quale, secondo gli economisti, si entra in zona pericolo). Come abbiamo detto il debito è di 1.843 miliardi, il PIL circa 1500. Immaginiamo quindi di dover predisporre un piano che riduca il debito di 350 miliardi.
AUMENTARE IL GETTITO IRPEF NON DAREBBE MOLTO - Gli italiani sono 60 milioni (di cui solo il 38% lavora). Ogni italiano dovrebbe pagare 162 euro al mese per tre anni. Difficile pensare che sia possibile. Anche aumentare le tasse sui redditi servirebbe a poco. Coloro che dichiarano oltre 100.000 euro, sono lo 0,9% del totale, e sopra i 70.000 euro arriva appena il 2% degli italiani.
CI SAREBBE LA STRADA DELLA PATRIMONIALE - Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza in edifici e terreni degli italiani (al netto di passività/relativi debiti) è pari a 8.600 miliardi. Una patrimoniale del 4% del valore produrrebbe quindi un’entrata di cassa straordinaria pari a 344 miliardi. Certo è che, con il valore medio dell’abitazione italiana pari a circa 160.000 euro, ogni famiglia che non ha debiti sulla casa si troverebbe a pagare, in media, almeno 6.400 euro. Ne segue la necessità di diluire nel tempo tale esborso, perché chi ha una casa non necessariamente ha un lavoro o liquidità a disposizione, e comunque sarebbe un ingiusto accanimento su una vasta fetta di popolazione che a fatica è riuscita a pagare l’ultima rata del mutuo. Inoltre questi provvedimenti avrebbero un impatto molto negativo sui consumi ed investimenti dei contribuenti che ne fossero colpiti. La caccia ai grandi evasori è l’obiettivo numero uno, che deve però fare i conti con l’esistenza degli stati canaglia, i tempi lunghi delle procure e delle rogatorie, mentre noi di tempo ne abbiamo poco. Invece si sa che almeno il 20% del PIL è sommerso. Una legge che lo facesse emergere genererebbe entrate allo Stato e farebbe diminuire il nostro debito molto velocemente.
L’UNICA VIA È LA TRACCIABILITÀ DEI PAGAMENTI - Ad oggi solo pagamenti superiori a 2.500 euro devono essere fatti mediante assegno, bonifico, carta di credito, o bancomat. Ben al di sopra della tipica fattura che un privato riceve da un professionista, un commerciante o un artigiano. Abbassare la soglia a 200 euro migliorerebbe un po’ la situazione, ma non troppo. Pensiamo al parrucchiere, al ristoratore, al falegname, al meccanico, al medico, al dentista, all’idraulico, all’estetista, ecc. Una larga parte del PIL. Quali categorie hanno assolutamente bisogno di contante? Lo spacciatore, il tangentista, il riciclatore. Tutte le attività criminali esistono solo grazie all’uso del contante, e non contribuiscono alla ricchezza dello Stato, ma generano un costo in termini sociali, di polizia, di burocrazia, ecc. Anche l’evasione fiscale e l’economia sommersa esistono solo grazie all’uso del contante. Se è vero che negli ultimi decenni si è cominciato a tassare di più quei beni e quelle attività che più costano alla collettività (pensiamo al tabacco, agli alcolici, all’ingresso dell’auto in città), allora esiste anche un principio sulla base del quale si possa tassare chi utilizza il contante, in quanto fattore generante costi e ingiustizia sociale. La tassa potrebbe essere applicata dalle banche in occasione di ogni prelievo e deposito. Tanto per dire, negli Stati Uniti si paga abitualmente il caffè da Starbucks con la carta di credito. Non solo, Starbucks si è attrezzato per accettare anche pagamenti mediante codici a barre che appaiano sul telefonino degli utenti che ne hanno richiesto il servizio. D’altra parte, come si può pretendere che un consumatore, di fronte all’alternativa “120 euro con fattura/ricevuta, oppure 100 senza fattura” scelga di farsi fare la fattura? Se però al consumatore quei 100 euro “costassero” 150 a causa di una tassa sul contante ... a quel punto preferirebbe chiedere la fattura e pagare 120 euro mediante assegno, bonifico, bancomat, ecc.. Se poi il consumatore potesse anche detrarre una percentuale di tali spese dalla propria dichiarazione dei redditi, lo farebbe ancora più volentieri. Anche dal lato degli operatori economici una tassa sul contante vanificherebbe il beneficio dell’evasione fiscale, poiché al momento del versamento in banca, si vedrebbero prelevare una cifra ben superiore a quella che avevano scontato al cliente. Quindi non converrebbe neanche a lui farsi pagare in nero. Certo, il contante si potrebbe sempre mettere in una valigetta e portare all’estero, ma a quel punto ricadiamo nelle norme sull’antiriciclaggio. Con un pagamento totalmente tracciabile nessun operatore economico sano di mente commetterebbe illeciti. Tra l’altro i regolamenti attuativi del trattato di Lisbona prevedono che l’uso del contante possa essere fortemente compresso “purchè si rispetti il principio di proporzionalità”.
PROTEGGERE I CETI DEBOLI - Ovviamente bisognerebbe prevedere che i ceti più penalizzati si ritrovino compensati con una minor tassazione. In poco tempo emergerebbe tutto il sommerso e il nostro PIL potrebbe aumentare del 20%, tranquillizzando gli operatori finanziari; anche perchè le maggiori entrate fiscali andrebbero ad aumentare il nostro avanzo primario e magari si riuscirebbe ad attuare quella riforma fiscale di cui si parla da 20 anni. Consideriamo poi che un maggior utilizzo della moneta elettronica determina lo sviluppo di carte prepagate e quindi una crescita per l’economia. Riducendo la circolazione del contante, con ogni probabilità, sparirebbero anche i furti alle pompe di benzina, alle casse dei supermarket, ai portafogli. E’ chiaro che deve diminuire il costo delle transazioni in considerazione del maggior volume di pagamenti elettronici, come succede negli Stati Uniti. Qualcuno potrebbe dire che questo meccanismo penalizza le fasce di popolazione "meno giovane" o meno prona alla tecnologia, ma se l’Italia salta sono proprio loro che ci rimetteranno di più. E’ peggio vedersi ridurre gli assegni familiari, affrontare un aumento del ticket sanitario, o imparare ad usare un bancomat o una carta di credito? Dobbiamo scegliere fra i mali quello minore. La tassazione del contante può sembrare una misura drastica o utopistica, ma ha il vantaggio di essere rapidamente applicabile e produrrebbe l’effetto di innescare un meccanismo virtuoso a vantaggio di tutti.
SOLO UN'UTOPIA? - Dodici anni fa la Tobin Tax, tassa sulla speculazione finanziaria, era qualcosa che non si poteva nemmeno nominare, oggi è sui tavoli di discussione. E’ evidente che non possiamo aspettare tutto questo tempo, anche perché non è mai successo che un paese del G7 finisse sull’orlo del baratro e non mi risulta esistano modelli a cui riferirsi. In conclusione non intendo proporre soluzioni a prova di critica, ma solo lanciare una discussione su un argomento che approcciato con una mente libera potrebbe offrire un ulteriore strumento per evitare al Paese una brutta fine.
Milena Gabanelli

Grammatica dei contenuti editoriali - Un libro

La prefazione di Luca De Biase al libro "Io editore tu rete. Grammatica essenziale per chi produce contenuti" di Sergio Maistrello.
L'argomento riguarda ovviamente i cambiamenti dell'editoria elettronica, e della forma generale della Cultura per come essa ora vive nei supporti e nei processi digitali.
Gli editori sono in fermento. Internet sta cambiando radicalmente gli scenari del loro business. La tecnologia digitale sta trasformando i linguaggi espressivi e le filiere produttive. Le condizioni a contorno, nell'epoca della conoscenza, stanno mutando e facendo di ogni azienda, organizzazione, gruppo sociale e singola persona, un soggetto potenzialmente in grado di produrre e distribuire contenuti di valore pubblico. In questo contesto, gli editori vedono contemporaneamente uno scenario di crisi e una situazione densa di nuove opportunità. E la variabile essenziale che li conduce a privilegiare il giudizio ottimistico o pessimistico è la loro capacità di costruirsi una competente visione della situazione. E' probabilmente il primo motivo di interesse per questo libro. Il secondo motivo discende dal fatto che il destino degli editori è importante per tutta l'evoluzione della capacità di generazione culturale delle società.
La storia dell'editoria moderna parte probabilmente all'inizio del Settecento nel momento in cui la corporazione degli stampatori riesce a ottenere il privilegio per ciascun affiliato di poter essere l'unico a pubblicare il libro di un autore con il quale si è messo d'accordo per la gestione del suo copyright. Tecnologia e diritto sono fin dal principio alla radice del business editoriale. In particolare il controllo della tecnologia di accesso ai contenuti, consentiva agli editori di far valere senza particolari problemi anche il loro diritto allo sfruttamento delle opere. Ma le trasformazioni attuali sembrano aver sottratto agli editori il controllo delle tecnologie strategiche e, di conseguenza, la tenuta del sistema del copyright. La leadership dello sviluppo delle tecnologie per pubblicare e distribuire contenuti sta progressivamente ma inesorabilmente passando alle piattaforme online, ai motori di ricerca, ai servizi di vendita di libri e giornali in rete, alle aziende che producono computer, tablet, cellulari, lettori dedicati alla lettura e così via. In qualunque business, l'impresa che non ha alcun controllo sulla tecnologia fondamentale per lo svolgimento del business rischia di essere marginalizzata.
L'impresa che non governa la sua tecnologia può superare con successo il rischio di perdere quote di mercato se conserva in qualche modo una relazione privilegiata con il suo pubblico o con i suoi fornitori. E indubbiamente i marchi e le testate aiutano gli editori a resistere nel cuore del pubblico, mentre possono conservare un'attrattiva nei confronti degli autori se riescono a convincerli di essere ancora il miglior interlocutore per generare reddito con il loro lavoro. Ma entrambe le difese sono superabili.
La struttura del mercato editoriale sta cambiando radicalmente. Un tempo la scarsità fondamentale era sotto il controllo dell'offerta: ciò che era scarso era lo spazio per la pubblicazione. Oggi, su internet, quello spazio è illimitato, mentre la scarsità fondamentale è sotto il controllo della domanda: ciò che è scarso è, prima di tutto, il tempo e l'attenzione del pubblico. Sicché, nel mercato editoriale, la domanda controlla le fonti del valore mentre l'offerta deve conquistare il suo spazio centimetro per centimetro. Contemporaneamente, nella relazione con il pubblico, gli editori si trovano di fronte nuovi agguerriti competitori, spesso dotati di marchi importanti e meglio posizionati sul piano tecnologico: quelli dei motori di ricerca, quelli dei negozi online, quelli dei produttori di device. Inoltre, molti ex inserzionisti pubblicitari sono partiti alla conquista del tempo e dell'attenzione del pubblico direttamente su internet senza la mediazione degli editori. E del resto, anche per gli autori stanno emergendo molte e interessanti opportuità per valorizzare le loro opere che a loro volta non passano per la mediazione degli editori. 
Il primo capitolo di chiunque operi nel business editoriale diventa la dimostrazione dell'unicità del suo servizio a vantaggio del pubblico. Segue, subito dopo nella scala di priorità, la riconquista di una forma di controllo della tecnologia. E in terza posizione c'è la rigenerazione della sua relazione con gli autori. In tutti i casi si tratta di fare un salto di qualità culturale: le vecchie soluzioni e le inveterate abitudini semplicemente non funzionano più: il salto culturale deve condurre a comprendere non come controllare ma come servire il pubblico, a trasformarsi da passivi fruitori ad attivi innovatori della tecnologia, a passare da rentier del copyright a promotori e valorizzatori dell'accesso alle opere degli autori. Si tratta di salti culturali che, spesso, appaiono troppo alti per gli editori troppo tradizionali. E che quindi favoriscono in certi casi i nuovi entranti nel business. 
Sta di fatto, che il pubblico cerca ancora le funzioni fondamentali che in passato erano svolte solo dagli editori, per scegliere a che cosa dedicare il tempo, per riconoscere autorevolezza e credibilità agli autori, per accedere in modo comodo e a un prezzo giusto alle opere. Le protezioni che favorivano gli editori nello sfruttamento di queste funzioni non ci sono più, ma le funzioni hanno ancora valore. E il riconoscimento di questa opportunità potrebbe rivelarsi la spinta decisiva per gli editori a rinnovarsi profondamente, per sincronizzarsi con la storia attuale e allo scopo di scrivere la storia futura.

8 ottobre 2011

Udine, un convegno sulla Media Education


Si terrà il 15 ottobre presso l'Università di Udine il convegno L'urgenza della Media Education in collaborazione col MED Friuli [Facoltà di Scienze della Formazione, via Margreth 3].



Il programma prevede gli interventi di Maria Bortoluzzi (Università di Udine), Serena Zanolla (Università di Udine), Alberto Parola (Università di Torino), Angela Bonomi Castelli (MED). Nel pomeriggio workshop su Fotografia, Videogame, Dispositivi tecnologici mobili, Informazione, Tecnologie e progetti educativi nel territorio.

Il convegno è aperto a tutti, in particolare a insegnanti, educatori, operatori dei media, studenti, genitori.

Per scaricare il programma: http://www.mediaeducationmed.it/component/docman/doc_download/69-brochure-med-udine.html


Fonte: Altrascuola

28 settembre 2011

Cartografie e narrazioni per la promozione territoriale

Cartografie e narrazioni per la promozione territoriale
Con i finanziamenti di un progetto europeo Interreg alcune aziende italiane e austriache hanno avviato una collaborazione transfrontaliera per progettare e sviluppare tecnologie innovative per la promozione territoriale. Si tratta di ideare modi nuovi di rappresentare aree geografiche tramite le mappe digitali, cartografie a cui poi vanno necessariamente aggiunti degli "strati" di narrazioni territoriali capaci di comunicare le peculiarità dei Luoghi sia dal punto di vista naturalistico sia da quello antropico, relativo alle tradizioni e alla cultura.
Le narrazioni emergono spontaneamente dalle reti sociali della collettività: le conversazioni sui blog a tematica iperlocale e sui social network, oppure la comunicazione istituzionale di agenzie pubbliche e private per la promozione territoriale grazie a opportuni strumenti di ascolto possono essere aggregate e allestite sulle mappe digitali, le informazioni possono essere organizzate per offrire al potenziale turista/viaggiatore una visione "aumentata" di quel determinato territorio, per suggerire il profumo di un'esperienza originale.
Gli abitanti delle zone geografiche rappresentate sulle mappe digitali beneficerebbero essi stessi di simili strumenti di narrazione multimediale, per come oggidì diventa possibile percepire in modo nuovo i Luoghi dove viviamo, nonché partecipare grazie al web 2.0 alle conversazioni georeferenziate che intrecciandosi costituiscono il tessuto delle narrazioni territoriali. L'uso della mappa come strumento di conoscenza diventa essenziale per la gestione della complessità dei territori.


In realtà ci sono diverse problematiche da affrontare, nella progettazione di simili cartografie "aumentate":
1. dal punto di vista tecnico, come vanno utilizzati i dati georeferenziati? Oltre a informazioni fotografiche satellitari o aeree, come possono essere impiegate proficuamente delle rappresentazioni SCHEMATICHE sulle mappe?
2. va concepito un modello, un design dell'informazione per l'ideazione di format specifici per la comunicazione e le narrazioni territoriali, sostenuto da piattaforme web-based o ambienti social georeferenziati in grado di ospitare i contenuti generati dagli utenti?
3. come integrare sulle mappe digitali il bottom-up dei viaggiatori (l'insieme delle segnalazioni e dei commenti pubblicati) con la comunicazione top-down istituzionale regionale o locale?
4. le mappe dovrebbero essere in grado di mostrare (e rendere comprensibile) lo strato "simbolico" dell'abitare di una collettività, allestendo percorsi di lettura e fruizione di esperienze "esistenziali", richiami emozionali e affettivi ai Luoghi, connotazioni del Paesaggio. 
5. come rendere esportabile un "pacchetto" di viaggio, del mio viaggio in quel territorio, come un'app che altri possono fruire, o dalla quale possono ricavare informazioni?
6. in che modo le mappe a finalità turistica possono trarre vantaggio dall'utilizzo sempre più diffuso degli smartphone?
6. va forse superato il modello di GMaps, ovvero della dislocazione sulla mappa di push-pins, segnalibri o marcatori del tutto simili a quelli che eravamo soliti usare sulle mappe cartacee? In quali altri modi è possibile "navigare" un territorio, allestire la sua ricchezza e peculiarità su una mappa digitale?


Il sito di riferimento del progetto sopradescritto, denominato Mex, è reperibile al seguente indirizzo http://www.mexproject.it/http://www.mexproject.it/

23 settembre 2011

Abitare la Rete

Massimo Mantellini pone a Sergio Maistrello alcune domande riguardo l'abitare la Rete. Originariamente qui, per la rubrica Eraclito di Mantellini su TelecomItalia.


12 settembre 2011

Bricks. Ebook e Scuola

Mario Rotta, Marco Guastavigna, Noa Carpignano, Agostino Qudrino, Maria Grazia Fiore, Francesco Leonetti, Paola Limone e molti altri.
Per chi vuole leggere belle riflessioni riguardo l'ebook e il suo utilizzo scolastico, qui http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/?page_id=1127

11 settembre 2011

ScuolaMia, comunicazione scuola-famiglia


Un nuovo portale governativo per la comunicazione tra le famiglie e le scuole, e tra queste ultime e il Ministero: si chiama ScuolaMia, lo trovate a questo indirizzo http://scuolamia.pubblica.istruzione.it

Sulla carta sembra un buona idea, perlomeno si tratta di una novità della Pubblica Amministrazione scolastica che si rivolge ai genitori, ai cittadini. 
Mantengo alcune perplessità sulla necessità di centralizzare i servizi informativi offerti presso strutture ministeriali (le scuole devono adeguare i loro canali informativi con l'Amministrazione centrale, utilizzare anche il web pubblico e non solo le loro reti dedicate SISSI, garantire interoperabilità): se l'interfaccia con le famiglie fosse stata implementata - anche con un widget, per dire - sulle homepage dei siti web di ogni singolo istituto scolastico, obbligatoriamente in quanto sito di una PA tenuta per legge a adeguare la propria comunicazione pubblica, si sarebbe potuto innescare la partecipazione diretta dei genitori alla vita della scuola dei figli.
Costruire un'abitudine, portare a frequentare regolarmente il sito della Scuola, stringere i legami, far sviluppare dei sentimenti di appartenenza alla propria comunità educante locale, riflessa e rappresentata nei contenuti e negli strumenti relazionali predisposti sul sito web scolastico. Questo non avverrà, per i genitori che per avere informazioni si rivolgeranno direttamente a ScuolaMia.

Sulla carta, dicevamo, sembra una buona idea. Vedremo sul web.


Cos’è e a chi è rivolto
Il progetto “Servizi scuola-famiglia via web” rientra nell’ambito delle iniziative condivise tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Dipartimento per la Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Tecnologica. 
Obiettivo del progetto è quello di mettere a disposizione strumenti e servizi online volti a favorire la comunicazione tra Scuola e Genitori, semplificare le relazioni amministrative tra famiglie e le istituzioni scolastiche, facilitare la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica dei propri figli attraverso la realizzazione di un insieme di servizi innovativi, tra i quali la pagella digitale, le comunicazioni relative alla vita scolastica degli studenti e ai risultati degli apprendimenti, l’agenda di ricevimento dei docenti, la notifica alle famiglie in tempo reale delle presenze/assenze degli studenti e le comunicazioni scolastiche, erogati in modalità multicanale (tra cui web, e-mail e messaggistica sms).
Lo strumento che permette di concretizzare tali obiettivi è il “Portale ScuolaMia”, un contenitore all’interno del quale saranno disponibili i servizi “online” che via via saranno implementati.

10 settembre 2011

I piccoli professori fanno grande la scuola

"LA SCUOLA ha un problema solo. I ragazzi che perde", scrivevano nel 1967 i ragazzi di Barbiana. E davvero non si vede come oggi possa essere diverso. Forseè possibile che la scuola italiana sia in grado di reggere anche gli ultimi tagli di cattedre programmati per i prossimi due anni: 20.000 circa. La metafora è bizzarramente reperita da un' area semantica che potremmo definire sismica. Erisulta sinistra soprattutto perché consegna la scuola al sollievo ambiguo di essere stata per ora risparmiata. Ma la scuola non deve innanzi tutto reggere. Deve accogliere, garantire il diritto all' istruzione, essere luogo di opportunità per tutti. Deve liberare la convulsione dei desideri che abita nei ragazzi che le vengono affidati e farla diventare forza di vita. Il paradosso attuale è che la scuola dell' autonomia ha molti strumenti per diventare quello che deve essere, ovvero un laboratorio di culture, integrazione, equità sociale. Anzi, l' unico attuale laboratorio di integrazione delle diversità, perché alla scuola statale vanno ancora tutti e se funziona come deve qui si impara a costruire la convivenza vera e non una forma di rassegnata o voluta impermeabilità fra culture che vivono l' una accanto all' altra. Non si può, dice Amartya Sen, valutare la bontà di un sistema sociale da come esso "lascia in pace" le persone di diverse culture, ma da come le mette in grado di scegliere liberamente, attraverso l' istruzione e la partecipazione ai progressi sociali e politici, le proprie appartenenze. L' autonomia oggi dà alla scuola gli strumenti per "vedere" i ragazzi uno per uno ("Cara signora, lei di me non ricorderà neppure il nome", iniziava la lettera dei ragazzi di Barbiana all' idealtipo di professoressa tradizionale a cui si rivolgeva), la possibilità di pensare per loro un percorso che li riconosca diversi (la personalizzazione), di prepararli a vivere nel mondo (l' internazionalizzazione), di coltivare le eccellenze (la qualità), di abituarli ai cambiamenti che altrimenti li travolgerebbero (le competenze). Che poi la scuola riesca a fare questo lavoro proprio per ciascuno dei ragazzi che accoglie, è impossibile. E' importante però che lo possa fare quando è più necessario, ovvero per dare un' opportunità a chi arriva svantaggiato e non conosce ancora il suo valore. La scuola non ha la soluzione per ogni vita d' angolo che si presenta in aula, ma impedire alle vite escluse di arrivare nelle aule perché mancano risorse è indecente. La scuola è fatta di persone e risorse. Non si fa scuola nel deserto. Lanciare pietre sugli insegnanti e sulla scuola è facile e gratuito. Distruggere la fiducia è cosa di un momento, poi però quanta fatica ricrearla. Perché bisognerà farlo. Accusare gli studenti di essere ignoranti invece è un non senso. La scuola che provasse fastidio per l' ignoranza degli studenti avrebbe perso se stessa. E la soluzione non è mandare gli studenti ignoranti a lavorare: "Va in officina e spazza. Nelle ore libere segue le mode come un burattino obbediente. Il sabato vaa ballare, la domenica allo stadio" scrivevanoi ragazzi di Barbiana del loro amico Gianni che aveva lasciato la scuola. E oggi si torna a parlare di "classi alte", di scuola che prepara la futura classe dirigente, di scuola che "inculca" (cattivi) valori, ci si ritrova a magnificare una "retorica della fatica" dello studio riservata a pochi. Come se si potesse davvero imparare senza l' interesse e la passione. E poi, oggi, si mette in discussione l' uguaglianza. Certo che l' uguaglianza senza equitàè vuota. E allora ancora si deve parlare di risorse. L' economia della sobrietà dei mezzi è una cosa seria, e che i ragazzi la possano vedere messa in pratica a scuola attraverso un utilizzo pensato delle risorse è importante. Ma da noi si tratta d' altro. Il rapporto annuale Education at a glance 2010 ci dice che tra i Paesi dell' Ocse già siamo penultimi per la spesa generale per l' istruzione, e se considerano anche i sussidi e i prestiti agli studenti siamo proprio ultimi. Sussidi e prestiti sono fra gli strumenti che potrebbero garantire l' equità, che oggi si declina in molti modi ma che al suo grado minimo vuol dire che almeno la scuola non funzioni da moltiplicatore delle differenze sociali. Cosa che invece oggi accade sistematicamente in Italia (fra molti, si possono vedere gli studi di Gabriele Ballarino e Daniele Checchi). Ed è sorprendente che questo non risulti intollerabile alle famiglie. La vita non è altrove. E' nella scuola felicemente contaminata dal mondo e che deve continuare a non aver paura della vita e delle sue differenze. Non ci sono scorciatoie. La scuola costruisce le nostre storie personali e collettive. "La battaglia della letteratura è uno sforzo per uscire fuori dai confini del linguaggio; è dall' orlo estremo del dicibile che essa si protende; è il richiamo di ciò che è fuori del vocabolario che muove la letteratura". Così scriveva Italo Calvino. E così è per la scuola: il richiamo di ciò che è fuori, e cioè il mondo, il suo senso, muove la scuola. Poi i ragazzi e i docenti devono scriverla, la loro storia. Può essere una bella storia. E spesso lo è. (L' autrice ha scritto "La vita accanto" per Einaudi Stile Libero) © RIPRODUZIONE RISERVATA
- MARIAPIA VELADIANO

9 settembre 2011

Innovatori Jam 2011

C'è un articolo interessante di Riccardo Luna su Repubblica, dove l'ex direttore di Wired elenca i tentativi e le sperimentazioni che negli ultimi mesi hanno riguardato le pratiche italiane e europee di costruire democrazia grazie al web. 
Meccanismi comunicativi nuovi, prese di coscienza, piattaforme online per la wikicrazia, Open Data. Partecipazione libera di cittadini che contribuiscono con le idee a migliorare il funzionamento concreto dello Stato, la sua efficienza come macchina amministrativa e la sua efficacia nel provvedere qualità della vita. 

"... passare dall'e-gov, il governo che si mette in rete per dare servizi; al we-gov, i cittadini che diventano cocreatori delle politiche pubbliche."
A un certo punto Luna dice che "non è dai Governi che arriva la wikicrazia". Nell'ultimo paragrafo dell'articolo si legge che "il governo italiano è assente per ora" nella promozione di simili iniziative partecipative, benché attivo.
La prima frase, a ben vederla, è un capovolgimento logico, perché sono i Governi che arrivano dalla democrazia. I popoli hanno combattuto per avere sistemi di potere sempre più giusti e adeguati alle esigenze e ai diritti dei singoli e delle collettività: se a esempio mancasse la democrazia, quella forma di governo si chiamerebbe dispotismo. Nella parola wikicrazia è poi esplicitamente contenuto il concetto di "partecipazione paritetica", come condivisione e scambio libero e a tutti accessibile. 
I Governi possono promuovere la democrazia, confidando nel miglioramento del sistema. Possono affinare gli strumenti dell'amministrazione del territorio, possono studiare il modo per incrementare la circolazione delle informazioni e delle opinioni (come la Scuola, come la libertà di espressione e di stampa). E possono oggi imparare a ascoltare sempre meglio i cittadini, coinvolgendoli attivamente nella produzione di soluzioni e proposte. 
E' come nel caso degli Open Data: se i governi (Open Government) pubblicassero *tutto*, tutti i dati statistici e tutti gli atti amministrativi etc., i singoli potrebbero utilizzare quei dati per ricavarne delle analisi, degli studi comparativi, perfino delle applicazioni software con cui ottimizzare l'Abitare concreto e quotidiano sul territorio.
Pubblicare i dati sarebbe per i Governi un segnale di apertura alla conversazione, tanto quanto sollecitare la pubblica partecipazione dei cittadini dentro "contenitori di wikicrazia", affinché possano nutrire con idee e contenuti il dibattito pubblico. Perché i contenuti (le idee) sono di tutti, e offrire dei contenitori governativi per ospitare queste idee è una buona idea, se non vogliamo finire a parlare di queste cose su Facebook, che è un luogo privato e commerciale, mentre questi discorsi devono avvenire in piazza e non nei salotti di qualcuno, e le piazze sono pubbliche.

Ci sono stati in passato esempi di "call for ideas" governativi. La Riforma Brunetta è stata pubblicata lo scorso anno sui siti istituzionali in forma "provvisoria", sono stati aperti dei forum su cui chiunque poteva intervenire per apportare commenti e suggerimenti, e dopo qualche mese è stata promulgata in maniera definitiva.
Sempre per smentire bonariamente Riccardo Luna sull'assenza del Governo italiano nella promozione di "contenitori di wikicrazia", segnalo anche una importante iniziativa che si terrà il 13 e il 14 settembre prossimi, a cura dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell'Innovazione.


L'iniziativa si chiama Innovatori Jam 2011, sul sito viene descritta come un evento di massa gestito on-line che, attraverso la partecipazione e la collaborazione di migliaia di persone, consente l’emersione e la contemporanea condivisione di idee, valori, best practice e soluzioni ovvero quell’insieme di elementi che costituiscono l’”intelligenza collettiva” di una comunità.
Come in una jam session musicale, L'Agenzia governativa (con IBM) mette a disposizione di 20.000 persone una piattaforma online di discussione, dalla partecipazione libera.
Gli argomenti sono stati suddivisi secondo dieci aree tematiche:

1- Innovazione e internazionalizzazione: Italia degli Innovatori
2- Giovani, talento e merito nella ricerca e nell’innovazione
3- Start up, incubatori, venture capital
4- I ranking dell’innovazione
5- Accessibilità, apps e nuovi canali
6- Digital agenda: open data, cloud computing e banda larga
7- e-commerce & e-tourism
8- Il Codice dell’Amministrazione Digitale
9- Informazione e nuovi canali
10- Le Smart Cities del futuro?

Personalmente curerò in veste di facilitatore le discussioni sull'area di discussione n. 7 (avendo interesse all'innovazione relativa ai sistemi di rappresentazione - cartografia digitale - del territorio) e sull'area 10, sulle Smart Cities. nelle mattine del 13 e del 14 settembre. Magari andrò a sbirciare anche negli altri forum: come NuovoAbitante, sono decisamente curioso.

Per partecipare occorre iscriversi, è gratis; poi il 12 Settembre via e-mail direttamente dai promotori di Innovatori Jam 2011 riceverete tutte le info per contribuire a questa iniziativa.

Su twitter l'hashtag è #ij11.

3 settembre 2011

Zygmunt Bauman: la società di bambagia


Per quanto possa sembrare straordinario, una delle persone più eminenti intorno all'attualità e al futuro di internet e della rete, con tutti i suoi annessi e connessi per la società in cui viviamo, è un uomo nato nel 1925 a Varsavia: Zygmunt Bauman. Arrivato a Sarzana con un volo Ryanair, Bauman ha incontrato i giornalisti (affiancato dalla traduttrice Marina Astrologo) prima dell'evento che lo vede protagonista in piazza Matteotti alle 21.15, al Festival della Mente, la lectio magistralis dal titolo Sul concetto di comunità e rete, sui Social Network e Facebook
In un confronto tra Google e Facebook, Bauman trova più intelligente la strategia del Social Network più diffuso e utilizzato nel mondo - accanto a Twitter - perché «Facebook è in grado di studiare il profilo dei suoi utenti a partire da un'analisi degli amici di ogni individuo e non solo dalle preferenze o indicazioni fornite dall'utente». 
A proposito della valanga quotidiana di informazioni che ci innonda e sempre meno ci aggiorna, Bauman fa un breve cenno a «Quando ero giovane» per ricordare il senso di carenza e prosegue: «Oggi la situazione si è ribaltata. Oggi c'è una fittissima cortina e quella più densa è formata dall'eccesso di informazioni. Secondo recenti dati, un solo numero del New York Times contiene più informazioni di quante potesse raccoglierne nell'intero arco di una vita, una persona di cultura nel Rinascimento. La crescita delle informazione procede a ritmi esponenziali: una bruma informativa, per cui vedi ciò che hai a mezzo metro, registri quello che hai vicino ma non riesci a discernere dove stai andando. Da qui deriva l'ignoranza. Essere ignoranti significa non capire cosa sta succedendo e che cosa accadrà edessere costantemente scioccati da eventi inattesi. Quello che offusca è uncurtain: non un telo incolore, piuttosto un qualcosa di dipinto che brulica di immagini e impedisce di vedere e di capire cosa accade».
Dall'ignoranza all'impotenza dell'essere umano nella società liquida, dove la precarietà è un fenomeno quotidiano che colpisce gli individui sul lavoro, all'interno della famiglia e persino nelle relazioni personali. «Nella modernità liquida, che potremmo anche definire modernità di bambagia se vuoi buttare giù un muro e sferri un pugno, lo colpisci e ti pare che il pugno passi dall'altra parte ma in realtà il muro resta lì e nulla è cambiato. Ecco è questa impossibilità a conseguire un risultato che fa cumulo con l'ignoranza a caratterizzare questo nostro tempo. E ci conducono a continua frustrazioone e inadeguatezza. Continuamente siamo portati a dire: "Non so cosa succededrà, non so cosa farci e quindi sono io che sono inadeguato". Ecco perché la realtà liquida non va intesa come più leggera, al contrario come una sostanza (vedi il mercurio rispetto all'alluminio) che sembra più leggera ma ci dà la sensazione di essere più pesanti, da lì impotenza che diventa impossibilità di dare forme alle cose».
Essere soli o parte di una comunità? Queste due dimensioni caratterizzano sempre di più il nostro vivere contemporaneo ma in che misura e perché? «Sono molte le diadi, le coppie e le opposizioni di valori che parlano delle nostre necessità. Da un lato cè la voglia di partecipazione, di far parte di una comunità, dall'altra il bisogno di automnomia, per cui detestiamo che altri ci vietino di avere opinioni non conformi. Eppure, la comunità se non fai quello che ci sia aspetta da te ti mette al bando. Resta vero che gran parte dei nostri sforzi si concentrano a farci identificare come personalità unica, che comunque sia riconosciuta. Perché non c'è gioia o godimento in solitudine assoluta, quindi abbiamo bisogno binomi. Difficile conciliare la lunga lista di binomi che ci caratterizza. Va avanti così da un po' e non vedo come potrebbe cambiare».
Ma cosa spinge tutti verso le nuove comunità online? «Vedo nostalgia verso qualcosa di saldo duraturo. C'è qualcosa che delude? Non so. Fatto sta che il termine comunità era sparito dalle scienze sociali, ora sta tornando».
Le nuove comunità sono diventate anche strumenti politici e di rivolta, alla base di sommosse, proteste e campagne referendarie. Ma quale futuro hanno nel discorso politico? «Parlerei di interregno: siamo in una fase di transizione, in cui non sappiamo quale sarà il prossimo passo. Detto questo,credo sia estremamente attuale la definizione che di interregno dà Gramsci: i nostri vecchi modi non funzionano più e non sappiamo usare quelli nuovi. Non è proprio la situazione odierna? Vi ricordate la carta dei diritti di John Major? I cittadini erano clienti dello stato e come tali fruivano di servizi in modo passivo. Quindi non avevano diritto di partecipare alle decisioni. Ora con la crescente mancanza di comunicazione, tra cittadini e politica, oggi i nostri paesi non sono più in grado di offrire servizi ai cittadini/clienti. Ma c'è stato anche un divorzio tra il potere (abilità di fare le cose) e la politica (capacità di decidere cosa si si dovrebbe fare e cosa evitare). 60 anni fa si credeva politica e potere risiedevano nello stesso posto oggi il potere è emigrato nel ciberspazio ben oltre la portata umana e nessuno stato può più dirsi grande potenza, neppure gli USA. Gli stati sono impotenti e incapaci di distribuire sicurezza e servizi. E tuttavia il web, ottimo strumento per la manifestazione pubblica di questo disagio, come dimostrato dalla primavera araba, non ha ancora prodotto niente che permetta alle persone di creare nuove realtà decisionali. Possiamo rifiutare modelli e strutture (vedi nord africa), ma non sappiamo ancora come crearne di nuove».

19 agosto 2011

Il lavoro di domani

Un'importante compagnia telefonica offre un posto di lavoro, di quelli moderni, di quelli che nessun padre oggi sospetta il figlio potrebbe occuparsi domani, perché si tratta di professionalità nuove, mai viste.
Quali scuole preparano le persone a affrontare con competenza il mercato lavorativo della Società della Conoscenza? Come rifare la scuola, per adeguarla ai cambiamenti odierni?

User Experience Manager
Il 'manager dell'esperienza-utente' gestisce la valutazione della progettazione centrata-su-l'utente (user-centered design), esegue analisi sull'architettura dei contenuti, agisce come Esperto di Usabilità su progetti online, pianificando, eseguendo e documentando test di usabilità di vario tipo. Avendo come responsabilità massima l'analisi e l'ottimizzazione dei percorsi di navigazione dei fruitori online dentro l'Online Marketplace, lavora a stretto contatto con i manager di Prodotto e di Contenuto aiutando a identificare aree di miglioramento e possibili soluzioni di sviluppo. Cerchiamo una persona con la passione di identificare schemi (patterns) dentro i dati e usare queste informazioni per ridurre i fattori di attrito tra i siti istituzionali di e-commerce e info-commerce della Compagnia, le campagne mediatiche online, gli strumenti di cura digitale (digital caring tools).

11 agosto 2011

Curation in classe

La parola curation e i content curation tools, ovvero gli strumenti per la cura dei contenuti, sono tra le novità su web del 2011.
Semplicemente, la necessità di padroneggiare centinaia o migliaia di flussi informativi, i feed dei blog e delle news e degli Alert, le segnalazioni sui social, ha portato a sviluppare il concetto di aggregazione-pubblicazione delle fonti, proprio mentre nascevano strumenti web-based per ottimizzare il processo di selezione delle notizie e della loro diffusione in altri ambienti sociali digitali.
In realtà il processo completo da "ingegnerizzare" è formato dalla catena "ascolto -> aggregazione -> selezione -> reimpaginazione -> ripubblicazione -> feedback". 
A riguardo della curation ho scritto qualcosa qui su Apogeonline tempo fa, e sul mio blog
Utilizzando questi strumenti online, avendo sempre in mente come prima regola che il miglior filtro all'information overload è dato dalle nostre cerchie sociali amicali e professionali, è possibile focalizzare e potenziare la ricerca delle informazioni e delle conversazioni che intendiamo seguire in Rete, tarando opportunamente i meccanismi del dispositivo secondo le parole-chiave o i feed su cui intendiamo restare sintonizzati.

Scoop è uno di questi ambienti online per fare curation: si tratta di scegliere un titolo per l'argomento o topic che si intende trattare, il motore interno aggrega le fonti che corrispondono alle keywords da noi immesse, e per finire una efficiente interfaccia per la selezione delle notizie meritevoli di ripubblicazione da parte nostra permette di impaginare in una sorta di magazine composto dalle nostre segnalazioni. A esempio, qui trovate il mio Scoop dedicato all'arte della curation, qui quello pensato per tutte le notizie riguardo il nostro essere netizen cittadini della Rete, e qui quello centrato nel riportare conversazioni che ruotano attorno alla tematica della Reputazione online.

Proprio nel curare le fonti attinenti all'utilizzo di content curation tools nella didattica scolastica, mi sono imbattuto in due articoli interessanti: uno ospitato proprio sul blog di Scoop.it, intitolato esplicitamente Curation and Education, l'altro su Mind/Shift, How Can Web 2.0 Curation Tools Be Used in the Classroom?.

Si tratta di utilizzare Scoop per portare la classe a tenere monitorata la trattazione di un particolare argomento. Immaginiamo un insegnante che ogni due giorni tra le attività a cui dedicare venti minuti la mattina apra Scoop su una LIM oppure proiettandolo sullo schermo, e controlli quali sono le ultime notizie (eventi, articoli) riguardo Napoleone o sul Teorema di Pitagora, su un fatto di cronaca o su una tematica di rilievo. Socializzando la curation nel gruppo classe, nutrirebbe gli allievi di informazioni e di spunti di discussione, mostrerebbe concretamente metodi e criteri di selezione e di pertinenza, permetterebbe un ancoraggio maggiormente contestualizzato delle nozioni apprese, insegnerebbe l'ecologia del web nella riflessione sui Luoghi di ripubblicazione, tipicamente qualche social.
Competenze dell'Abitare, necessarie alla prossima generazione per sapersi orientare nel territorio digitale.



10 agosto 2011

E-partecipation e progetti europei

Un brano di Alberto Cottica, l'ho preso qui: il ragionamento comincia valutando la consistenza dell'impegno economico sui progetti europei di promozione della e-partecipation, ne sottolinea l'insostenibilità indagando cause e metodi, e continua mettendo a nudo le inefficienze del sistema delle Pubbliche Amministrazioni, per quanto queste siano costutivamente inadeguate a proporre innovazioni nel rapporto tra Istituzioni e Cittadini - il difetto è nel manico, si direbbe. Oppure come dice Cottica parlando della burocrazia: "il suo potere discrezionale è molto limitato by design". E propone un patto di fiducia, su cui concordo. E' dai valori relazionali, dal clima affettivo che si intende instaurare negli ambienti di lavoro che discendono la motivazione, l'enpowerment degli individui e delle organizzazioni, la diversa postura da adottare per poi ottenere risultati visibili e consistenti.

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550 euro per un post: il fiasco inevitabile dell’e-participation



"Pedro Prieto-Martin, ricercatore spagnolo e occasionale commentatore di questo blog, ha pubblicato un saggio in cui fa il punto sull’e-participation in Europa. La sua diagnosi è impietosa:
  • la Commissione Europea è stata il primo motore della disciplina, lanciando diversi programmi di ricerca dedicati.
  • dal 2000 sono stati finanziati almeno 74 progetti in questa direzione, per un costo totale di circa 187 milioni di euro; una rete di eccellenza per altri 6; e, più tardi, una serie di iniziative di valutazione e di messa in rete delle esperienze fatte. Questo ha consentito l’emersione di una comunità di ricercatori che lavora sul tema.
  • uno di questi programmi, eParticipation Preparatory Action, è stato oggetto di una valutazione sistematica. Progetti finanziati: 20. Costo medio: 715.000 euro. Numero medio di utenti per progetto: 450. Numero medio di contributi user generated (post o firme a petizioni) per progetto: 1300. Costo medio del post o della firma alla petizione per il contribuente europeo: 550 euro.
La comunità di ricerca sull’eparticipation è riuscita a ignorare questi numeri. Gli studi di valutazione dei progetti della Preparatory Action sono “unanimemente positivi”. Nonostante la richiesta della Commissione di una rigorosa analisi costi-benefici nessuno di questi studi avrebbe mai citato il dato dei 550 euro. E la Commissione stessa ha deciso, se pur con qualche correzione, di continuare sulla stessa strada: la principale differenza tra questa prima generazione di progetti e quella successiva (progetti approvati nel 2009 e 2010) è, secondo il saggio, il budget, che è cresciuto fino a raggiungere la cifra media di 2,8 milioni di euro. Come spiegare un’omissione così clamorosa? Secondo l’autore
Temi di questo tipo sono come il proverbiale elefante nel soggiorno di casa: trattarli è problematico, perché la loro stessa esistenza tende a essere negata a causa della loro complessità e dell’imbarazzo che causano. Il risultato è che non si riesce nemmeno a riconoscere che esistono e a discuterli, figuriamoci a risolverli.
Prieto-Martin pensa che la ragione della performance insoddisfacente dei progetti di e-participation sia essenzialmente questa: in linea con la tradizione delle politiche europee dell’innovazione, hanno seguito una logica “push”. Questa consiste nel fornire incentivi ai produttori di tecnologie innovative a fornirle a utenti più o meno acquiescenti, nella forma che più conviene ai produttori stessi. E i produttori hanno risposto con entusiasmo; purtroppo – in parte a causa della generosità dei finanziamenti – si trattava di soggetti non molto adatti ad innovare. I “soliti sospetti”: organizzazioni abituate alla progettazione europea, che si muovono bene nelle regole burocratiche di questi programmi. Queste regole sono nate per garantire il buon utilizzo del denaro pubblico ed un’assegnazione imparziale ma – come spiega bene Augusto Pirovano di CriticalCity in questo video fulminante – finiscono per essere escludenti nei confronti delle piccole imprese e associazioni esponenti della società civile, i veri innovatori.
Prieto-Martin è fortemente critico, e a ragione. D’altra parte non credo che abbia senso incolpare la Commissione Europea per questo fiasco. È una burocrazia weberiana: il suo potere discrezionale è molto limitato by designCome ho già scritto, tutte le burocrazie faticano molto ad avere rapporti con le comunità in rete: le comunità sono fatte di persone, e vivono nel rapporto tra persone, le burocrazie weberiane agiscono, invece, sulla base di regole standardizzate, che prescindono completamente dall’individualità. Quello che ho scritto in quell’occasione mi convince ancora:
[...] vedo solo una possibilità: un new deal tra la pubblica amministrazione e le donne e gli uomini che lavorano per essa. Il new deal funziona così: la PA deve dare fiducia e spazio per lavorare ai suoi servitori; e poi valutarne i risultati, premiare chi fa bene e punire chi fa male. Se ci sono abusi, si affronteranno caso per caso: progettare un intero sistema con l’obiettivo di prevenirne i possibili abusi rischia di renderlo rigido e disfunzionale.
Non sono un giurista, ma non credo proprio che le burocrazie weberiane possano autoriformarsi in questo senso: immagino che per questo ci sia bisogno di una normativa che proviene dall’esterno della burocrazia stessa, cioè dal legislatore. Fino a che questo non avverrà, un certo numero di elefanti accampati in soggiorno sarà inevitabile.


14 luglio 2011

Fusione fredda Quali prospettive energetiche dopo la scoperta Rossi-Focardi? Ne discutono lo stesso professore Sergio Focardi, il professore di Fisica

Quali prospettive energetiche dopo la scoperta Rossi-Focardi? Ne discutono lo stesso professore Sergio Focardi, il professore di Fisica Francesco Celania, Stefano Borrino della società italiana brevetti insieme ai giornalisti e curatori del blog Petrolio Pietro Cambi e Debora Billi e al giornalista di Rainews Angelo Saso che sull'argomento ha realizzato un'inchiesta. Conduce Maurizio Torrealta

Vedi video 1^ parte
Vedi video 2^ parte

8 luglio 2011

Le energie rinnovabili galleggianti di Mario Sanna




E' una sfida aperta ormai da tempo quella delle energie rinnovabili. Una strada che oggi diventa obbligata dopo la bocciatura del nucleare nel Referendum. Le prime a registrare il cambiamento sono state proprio le aziende del settore 'Green economy' col boom dei loro titoli in borsa. La svolta produrrà effetti non solo finanziari ma anche sul mercato del lavoro e costituirà una spinta decisiva per la ricerca e la nascita di nuove iniziative. Come nel campo dell'eolico che diventerà galleggiante. Un'idea innovativa che sposterà le pale in mezzo al mare liberando territorio, aumentandone la potenza e (aspetto importante) senza fissarle al fondo marino.

5 luglio 2011

Andatevene

C'è gente vecchia, in giro. Gente vecchia dentro, potrebbero anche avere quarant'anni, ma pensano come si pensava quarant'anni fa. Alcuni di questi occupano posizioni chiave dei settori economici, politici, culturali. 
Per mantenere lo status quo che garantisce loro il potere di decidere le linee di sviluppo della società contemporanea, di decidere delle nostre vite, del nostro benessere individuale e sociale, queste persone possono fare delle leggi statali, stabiliscono politiche per la gestione della cosa pubblica, nutrono scientemente i sistemi di informazione di paccottiglia per imbonirci, di cortine fumogene per plasmare i nostri pensieri, per fare in modo che l'attenzione venga distolta e nemmeno nasca la voglia di farsi troppe domande. 
Perché non è detto che il mondo debba essere per forza così. Potrebbe essere diverso, migliore, se tutti potessimo accedere alle informazioni, alimentare e formare criticamente la nostra opinione sui fatti, se potessimo esprimerla liberamente insieme agli altri, decidendo collettivamente e collaborativamente quali strade intraprendere per il futuro, senza dipendere dalle scelte interessate di pochi.
Questa è la battaglia odierna per la libertà della Rete, il sistema operativo della Conoscenza umana, il Luogo della memoria e del dialogo interpersonale dei NuoviAbitanti.
Quella gente deve sparire rapidamente, è un intralcio per la civiltà.

Qui sotto il discorso di Juan Carlos De Martin per La Notte della Rete, ripreso da Mantellini via La Stampa.


La rete: il più grande spazio pubblico della storia. Il sogno REALIZZATO della possibilità di poter permettere a tutti di esprimersi facendosi potenzialmente udire da chiunque al mondo. E senza dar fastidio a nessuno, senza megafoni, senza pioggie di volantini, senza coercizioni o intrusioni di sorta.

Semplicemente: Chi vuole parla – chi vuole ascolta.
La rete: il sogno a portata di mano di poter leggere tutti i libri mai scritti, in qualsiasi lingua, non importa quanto minoritaria.
La rete, cioe’, che porta nel 21 secolo – potenziandola – la straordinaria conquista della biblioteca pubblica. La rete che potrebbe far lo stesso per tutta la musica mai composta, le fotografie mai scattate, i film mai fatti, i quadri mai dipinti.
La rete che potrebbe rendere possibili – e in parte già lo fa – nuovi modi di sostenere gli autori, consentendo loro di dedicarsi alla loro arte per il beneficio e la gioia di tutti noi.
La rete che potrebbe presto mettere a disposizione quel grande bene comune che sono i risultati della scienza – mettendo sullo stesso piano la giovane ricercatrice africana e il professore di Harvard.
La rete, straordinaria piattaforma di innovazione, per beneficiare della quale non servono conoscenze o tasche profonde: basta un cervello, un computer e un accesso a internet.
La rete: di certo grande strumento di mobilitazione sociale. Ma anche strumento, se saremo bravi, per infondere sangue nuovo nelle nostre democrazie anche in fase di governo, per ripensare i partiti politici, per dare sostanza al dialogo tra eletti ed elettori sempre, non solo in occasione delle elezioni.
La rete: tutto questo e molto, molto altro ancora.
L’abbiamo costruita noi, tutti noi.
Noi ingegneri nelle Universita – Università che tra l’altro farebbero bene a tornare a interessarsi molto piu’ attivamente del benessere della Rete.
Noi amanti delle soluzioni pratiche e del consenso di massima in IETF e in Internet Society.
Tutti noi che l’abbiamo letteralmente popolata di milioni, miliardi di siti – e di migliaia di applicazioni. Che abbiamo creato insieme la più grande enciclopedia della storia.
Che abbiamo volontariamente creato un commons di decine di migliaia di software liberi e di miliardi di testi, fotografie, slide, video rilasciati con licenza Creative Commons e altre licenze libere.
La rete: tutto questo e molto altro ancora.
L’abbiamo costruita tutti noi.
Non i Governi, che se avessero capito per tempo, ci avrebbero senz’altro bloccato.
Non i grandi poteri economici tradizionali, che se avessero capito per tempo avrebbero provato a comprarci o avrebbero chiesto ai Governi di bloccarci.
Non i poteri mediatici tradizionali, che se avessero capito per tempo avrebbero subito acceso i loro riflettori per attirare l’attenzione di Governi e poteri economici (tranne che in sciagurati paesi come l’Italia dove i tre poteri coincidono).
Non i Governi e certi poteri economici che, una volta che Internet c’era, l’hanno trasformata in una gigantesca macchina di sorveglianza.
L’Internet delle enciclopedie, dell’informazione dal basso, di un nuovo discorso pubblico, della mobilitazione orizzontale, eccetera l’abbiamo costruita tutti noi.
Non loro.
E spesso nonostante loro.
Dobbiamo esserne orgogliosi.
Ora pero’ qualcuno vorrebbero impadronirsi di questo patrimonio collettivo.
Vorrebbe rendere Internet piu’ docile, piu’ controllabile – in economia, in politica, nella cultura.
Non fanno più neanche mistero dei loro obiettivi.
Con l’eG8 di Sarkozy a Parigi sono caduti anche le ultime ipocrisie.
Ce l’hanno detto chiaramente, infatti, quasi con arroganza: vorrebbero rimanere a decidere tra di loro, i big boys dell’economia e della politica (e chi li distingue e’ bravo).
Vorrebbero decidere loro su cio’ che abbiamo costruito noi.
A questo spudorato tentativo di espropriarci dobbiamo rispondere con calma e determinazione: NO.
Non che si possa dire che rifiutiamo il confronto.
O che rifiutiamo la politica.
Anzi: abbiamo spesso cercato sia l’uno sia l’altra.
Ma, nonostante gli sforzi, abbiamo avuto scarsissimo successo.
Si vede che altri interlocutori hanno strumenti di persuasione – come dire? – molto piu’ efficaci dei nostri.
Comunque, la nostra offerta di collaborazione è ancora valida:
uomini del potere tradizionale: deponete la vostra arroganza e ascoltateci.
Ascoltate noi: non solo i grandi amministratori delegati delle aziende di Silicon Valley, che non ci rappresentano.
Ascoltateci senza pregiudizi, senza slogan, senza agende nascoste.
Per affrontare insieme i problemi – che ci sono – e soprattutto per capire insieme come cogliere le straordinarie opportunità di crescita sociale, culturale ed economica rese possibili dalla Rete.
Noi – statene certi – saremo all’altezza.



Giusto per completezza, aggiungo qui il link alla Dichiarazione d'Indipendenza del Cyberspazio di Barlow, 1996. Sono almeno quindici anni che raccontiamo il futuro, quindici anni che lottiamo.

26 giugno 2011

Facebook per genitori


Consiglio vivamente la lettura dell'ebook di Giovanni Boccia Altieri "Facebook per genitori", pubblicato da 40K

Riporto qui di seguito l'appendice del libro, sintesi sul tema in discussione, che condivido pienamente.





15 CONSIGLI PRATICI
di Giovanni Boccia Altieri

FATTI UN’IDEA
1. Accetta il fatto che la presenza dei giovani sui social network è un fenomeno culturale destinato a durare e a espandersi;
2. Ragiona sulla necessità di capire che la presenza online dei nostri figli sta sviluppando un modo diverso di comunicare tra ragazzi e adulti (genitori, insegnanti, educatori, allenatori, ecc.);
3. Tieni conto che non esistono nativi digitali, solo adulti e ragazzi che imparano o non imparano ad abitare la Rete;
4. Ricorda che la vita in Rete non è qualcosa di diverso dalla vita di tutti i giorni, ma ne è parte importante;
5. In Rete ci sono dei pericoli. Nella vita quotidiana ci sono dei pericoli. Come genitori dobbiamo insegnare ai nostri figli come abitare il mondo offline e online e impararlo noi per primi;
6. Riconosci che imparare a stare su Facebook per i ragazzi significa trovare un giusto equilibrio tra tutela della privacy e voglia di esporsi in pubblic;

COSA DEVI FARE
7. Se un figlio adolescente decide di aprire un profilo su Facebook discuti con lui/lei le motivazioni che lo portano ad aprirlo e le possibili conseguenze;
8. Per capire cosa fa tuo figlio in Rete devi starci anche tu: trova i tuoi luoghi di esperienza;
9. Non chiedere l’amicizia online a tuo figlio. Se proprio vuoi farlo concordalo prima;
10. Stare in Rete è un’esperienza che riguarda la vita del singolo. Ma trova dei momenti per condividerla con i tuoi figli: naviga qualche volta insieme a loro;
11. Nelle conversazioni quotidiane parla di quello che succede su Facebook e in Rete a te e tuo figlio: fai in modo che diventi un’abitudine non un’eccezione;
12. Ascolta i racconti che quotidiani e televisione fanno dei ragazzi su Facebook ma considera anche il punto di vista di chi quegli ambienti li abita: commentali con i tuoi figli o con persone più esperte;
13. Quando giudichi il comportamento di un adolescente online tieni conto che ti trovi in un contesto diverso che ha le sue regole formali e informali. Per giudicare bene prova a conoscerle;
14. Quando scopri su Facebook qualcosa di tuo figlio che non ti piace (una foto particolare, un commento sopra le righe, un aggiornamento di status maleducato) prima di giudicare chiedi: meglio fare domande anche scomode che darsi risposte da soli;
15. Il più potente meccanismo che abbiamo per rendere sicuro lo stare in Rete dei nostri figli è lasciare che imparino loro stessi a prendersi cura della loro sicurezza

(da una nota di Agostino Quadrino su Facebook)