31 ottobre 2007

Wi-fi territoriali e Abitanza attiva

Vedete, parecchie Pubbliche Amministrazioni locali (Comuni più o meno popolosi, Comunità) di questi tempi stanno pensando o vengono loro proposti dei progetti per la realizzazione di una copertura territoriale in tecnologia wi-fi, per offrire a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di una connessione veloce a Internet, indipendentemente dall'essere fisicamente connessi via cavo con una centralina ADSL.

Personalmente (confortato dal buon Quinta) credo che il discorso della "fibra fino a casa" (FTTH, Fiber To The Home, ovvero collegare tutte le abitazioni nazionali in fibra ottica) non dovrebbe essere rapidamente accantonato, perché se è vero che sarebbero da sborsare un mucchio di quattrini per la posa dei cavi, d'altro canto in quanto a capacità tecnica della Rete saremmo a posto per i prossimi cinquant'anni. E badate che l'argomento sarebbe da inquadrare in un ragionamento serio, pari almeno alle discussioni presenti nell'opinione pubblica putacaso sulla TAV o sul Ponte di Messina, visto che in fin dei conti stiamo parlando di una di quelle grandi opere infrastrutturali su cui si fonderà il benessere del Paese, come ottant'anni fa le ferrovie o cinquant'anni fa le autostrade.

Inoltre, è opinione di qualunque NuovoAbitante che la connettività gratuita per tutti dovrebbe essere un diritto del cittadino, in quanto strumento essenziale nel nostro tempo per garantire l'espressione delle libertà individuali sancite dalla Dichiarazione Universale degli Umana (Articolo 19: ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere).

Magari le PA intendevano proprio questo, offrire connettività gratuita ai cittadini e nel contempo studiare nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nei Luoghi online dedicati alla Comunicazione Pubblica, alle reti civiche e ai contenitori digitali per le nuove forme di e-democracy.
Ma wifizzare un territorio costa sempre una certa cifra, bisogna costruire la rete degli AccessPoint, sviluppare del software specifico, e anche formare e mantenere un po' di risorse umane, negli anni.

Può capitare che una Pubblica Amministrazione non possa sostenere finanziariamente questa iniziativa, e che ritenga buona cosa appaltare il tutto ad un privato, o ad una partecipata, il quale provvede a proprie spese alla wifizzazione del territorio, riservandosi poi di chiedere ad esempio una cifra all'Ente per permettere la navigazione sui propri AccessPoint, oppure direttamente al cittadino.
Quindi non solo l'utente finale verrà discriminato in base al censo (e colmare il DigitalDivide resterà utopico), ma siamo nel caso in cui chi possiede l'infrastruttura possiede anche il servizio, ovvero l'offerta di contenuti da trasmettere sulla Rete, e quindi può decidere l'accessibilità a certe informazioni, ad esempio impedendone la visione oppure praticando tariffe differenziate.
E' come se al pedaggio autostradale mi chiedessero di più perché voglio andare a Venezia o a Gardaland, luoghi turistici sponsorizzati.
Qui spero che qualcuno commenti per chiarirmi le idee.

Nel frattempo, dopo alcune notizie che parlavano di un certo ripensamento di certi avanzati progetti di wifi territoriale nelle grosse città degli Stati Uniti (link, dall'Economist.com), pare che le cose stiano riprendendo a muoversi, perché appunto quello che sembrava per le metropoli un investimento senza alcun ritorno economico, e quindi insostenibile, si sta rivelando (link, da Repubblica.it) uno strumento per abbattere alcuni costi dell'Amministrazione cittadina, sì da rendere la connettività via onderadio per tutti un'iniziativa nuovamente perseguibile.

Se ad esempio i parchimetri, i contatori del gas e dell'acqua, le ambulanze, i rilevatori ambientali, comunicassero in wifi, sarebbe possibile risparmiare moltissimo, dice l'articolo di Repubblica.

Per tener sotto controllo la situazione nazionale, tenete d'occhio i Centri Regionali di Competenza per l'e-Government e la Società dell'Informazione.


Aggiornamento
Sull'argomento, oggi scrive anche il Beppe su MenteCritica




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26 ottobre 2007

Progetto “Nuove tecnologie per la didattica”

Aver cura degli ambienti di vita e di crescita, abitare glocalmente in modo consapevole, oggi significa anche essere in grado di progettare iniziative per la qualità sociale degli Luoghi digitali, quelli Educational in particolare.

NuoviAbitanti promuove, di concerto con alcune locali Amministrazioni Pubbliche scolastiche, una progettazione sociale capace di apportare una nuova visione e una diversa Cultura Tecnologica presso le scuole e le giovani generazioni, contraddistinta dalla filosofia OpenSource quale scelta anche etica nell'allestimento tecnico di laboratori informatici scolastici.

Dal punto di vista delle migliorìe tecniche, gli ambienti didattici coinvolti nel progetto possono ora contare su una infrastruttura informatica di rete molto più solida e potente; diventa ora possibile recuperare decine di computer obsoleti utilizzando Linux Edubuntu e LTSP, realizzare reti wireless di supporto alla didattica, lavorare e creare in ambienti OpenSource educational-oriented.

LinuxDay 2007: Cultura TecnoTerritoriale e promozione sociale: software Open Source e LTSP a Scuola

Qui sotto, una mappa schematica degli interventi NuoviAbitanti in Friuli Venezia Giulia per la promozione dell'Abitanza biodigitale in àmbito scolastico.



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19 ottobre 2007

Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa

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Apogeonline - Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa
Internet non è un frigorifero, lasciate che sia generativa
di Gianluca Miscione

La progressiva integrazione tra reti - telefoniche, telematiche, di servizi, di dati, sociali – ci racconta che molto accade in modo creativo e non previsto. Nessuna soluzione è per sempre, così perfino lo scorporo della rete dagli operatori potrebbe non essere una buona idea .

Potreste aver letto di un recente ed inatteso accordo fra l’ex monopolista British Telecom e la comunità transnazionale di foneros che, promossi e coordinati da Fon, condividono banda passante su connessioni WiFi, e nell’insieme, vanno costituendo una rete senza fili globale ed ad accesso pubblico. Magari siete inciampati un qualche breve articolo sulle voci di un telefonino targato Google, la quale ha anche partecipato all’asta per l’assegnazione di frequenze radio per cellulari negli Stati Uniti (tempo fa partecipò al bando del comune di San Francisco per fornire copertura WiFi). Questi, e molti altri possibili esempi non sono tanto per ripetere che nel mondo delle ICT molto bolle in pentola. Più specificamente volevo parlare di integrazione, a un livello più ampio della consueta integrazione di archivi aziendali o pubblici.

BT e Fon (BTFon), che cosa stanno integrando? I profili dei loro utenti? I flussi di dati sulle rispettive reti? I profitti delle loro attività? Sì, ma perchè non anche le loro, radicalmente diverse – almeno finora – concezioni di rete telematica? Una originata da un ministero, l’altra dalla spontanea partecipazione degli utenti. Skype è un esempio sorprendente, essendo l’integrazione di una rete peer-to-peer con reti telefoniche fisse e mobili di tutto il mondo (e, conseguentemente, miliardi di utenti raggiungibili). Insomma integrare reti significa mettere in relazione, in maniere impreviste e non raramente creative, gli elementi tecnici e socio-organizzativi, sempre più mutuamente interdipendenti.

Altri esempi di integrazioni inattese: Skype distribuito su cellulari economici da 3 nel Regno Unito. La prima esce dall’ormai stretto mondo dei personal computer, l’altra fornirebbe comunicazioni illimitate al prezzo dell’accesso flat alla sua rete mobile. I cellular-dipendenti potrebbero esserne contenti. Ancora: avete conosciuto qualcuno nel metaverso di Second Life. La stessa persona, sul cellulare della vita “reale” (o la “prima”, almeno) può essere contattata dal vostro avatar con un servizio di Vodafone. Meebo e Flick integrano il frammentato mondo della messaggeria istantanea attraverso il web, davanti agli occhi dell’utente, oltre l’ultimo miglio. Le basi dati degli utenti di Microsoft, Yahoo!, AmericaOnLine non scambiano dati direttamente.

Analogamente, all’annosa questione dell’integrazione di sistemi operativi, Synergy propone una soluzione dell’ultimissimo metro: macchine con sistemi diversi possono condividere la stessa tastiera, mouse e clipboard (per copia/incolla). Per l’utente il passaggio fra sistemi è invisibile come il cursore che raggiunge il bordo di un monitor e appare sull’altro. Sistemi di social networking (Facebook per esempio) offrono un social layer per altri servizi (Trillian Astra, per esempio). Google da anni sta integrando tutto (profili, pubblicità mirata, parole chiave, informazioni finanziarie) con tutto (libri, immagini, mappe, rappresentazioni tridimensionali, flussi Rss).

Più a livello macro, proprio per la necessità di integrare reti in maniera a priori imprevedibile, rende la regolamentazione difficile. La Commissione Europea sembra per esempio determinata a separare le reti di telecomunicazioni europee dai fornitori di servizi, con il giusto intento di evitare situazioni tendenzialmente monopolitistiche. Chi controlla l’accesso alla rete, ha infatti il duplice vantaggio di rendere difficile l’ingresso ai concorrenti, e di beneficiare di una base di utenti per i propri servizi. La soluzione pare quindi essere una rete alla quale tutti abbiano imparziale accesso, e concorrenza sui servizi. Il problema è che allora la rete, sottratta alle tensioni di diverse parti in causa, rischia di vedere rallentata la sua evoluzione.

In altri termini, le infrastrutture informative sono costituite sia dall’hardware delle reti, sia da un’indefinita serie di livelli di software e dati. In astratto, tutte le integrazioni sono potenzialmente vantaggiose – o svantaggiose. Ogni taglio legislativo, inevitabilmente arbitrario, rischia di limitare possibilità di sviluppo. Il problema è che non si può dire quali finchè non ci sono le condizioni perchè succedano (o siano anche solo immaginate). Per esempio, quattro anni fa, chi avrebbe trovato credibile che Google sarebbe stata interessata a una propria rete mobile e terminali? Per farne che cosa, visto che Gmail, Maps eccetera non c’erano?

Le reti – Internet ma non solo – hanno bisogno di mantenersi generative, non di diventare elettrodomestici, il cui uso è definito una volta per tutte (vedasi The Generative Internet, di Jonathan Zittrain). E soprattutto, le società hanno bisogno di infrastrutture generative che sono insieme vincolo e possibilità di molte libertà contemporanee. Integrazioni, come anche separazioni, sono i necessari ingradienti di tale dinamica.

Guardando avanti, quali sono le possibili integrazioni fra siti web, telefonia, frigoriferi, negozianti e dietologi? E fra rete elettrica, gasdotti e reti giornalistiche? Nessuna? Eppure quando le tensioni Russia/Ucraina sono riportate dalla stampa infleunzano le politiche continentali e il prezzo dell’energia. Integrare fonti alternative aiuterebbe la flessibilità della distribuzione. Nel bene e nel male, abbiamo bisogno di abituarci all’idea (ed alla pratica), che nessuna soluzione può essere “per sempre”, che ogni confine fra reti tecniche e sociali-organizzative è arbitraria. La soluzione migliore non può forse venire da una legge risolutiva, ma dalla capacità – tanto di organi dedicati quando di privati cittadini – ad amministrare le reti sulle quali sono attivi e di trovare equilibri adatti alle variabili esigenze e contingenze.


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Gianluca Miscione è laureato in Sociologia della Comunicazione all'Università di Torino con una tesi su come società e politica inevitabilmente danno forma alla rete (in contrapposizione all'allora dominante illusione che il"cyberspazio" fosse autonomo). Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia di Trento, con una ricerca etnografica"sulla frontiera della società della conoscenza": Telemedicina in Alta Amazzonia. Ha svolto periodi di ricerca negli Stati Uniti e ha pubblicato numerosi articoli e presentazioni che hanno aiutato a capire come relazionare questioni così distanti. Dal 2006 è professore a contratto presso il gruppo di ricerca in Infrastrutture Globali dell'Univeristà di Oslo, dove si occupa della dimensione socio-organizzativa delle infrastrutture informative, soprattutto in Asia e Africa.

18 ottobre 2007

Enaction come co-emergenza

Un bell'articolo di Pier Luigi Luisi, sul concetto di autopoiesi.
Si parla di cellule, di omeostasi, di confine, di sistema regolato, di evoluzione, di adattamento, di cognizione, di ambiente, di vita. Maturana e Varela, obviously.


Autopoiesi e definizione del vivente
Foto di PabloSanz, da FlickrQuello che distingue i componenti della ‘lista del vivente’ è questa capacità di mantenere l’identità grazie a un sistema di trasformazioni coordinate e organizzate, facenti parte del sistema stesso. Questo insieme di trasformazioni e la loro auto-organizzazione sono le chiavi del concetto di autopoiesi, e determinano e caratterizzano l’interazione del vivente con l’ambiente esterno, dall’evoluzione all’ecologia: il mondo è visto dall’interno del sistema vivente stesso. Quindi si arriva a questa definizione del vivente che è vera così per una cellula come per un albero. L’albero che perde i frutti e le foglie nell’inverno, li riproduce dal proprio interno nella primavera e nell’estate, anch’esso assimilabile alla definizione di ‘fabbrica che si rifà dall’interno’.

...

Passando dal piccolo al grande, l’autopoiesi oggigiorno è importante anche nella scienza sociale, perché questo discorso di un sistema che è definito dalle sue stesse regole e che tende ad auto-mantenersi a dispetto di trasformazioni interne, grazie al proprio sistema di rigenerazione, vale per una cellula ma vale, ad esempio, anche per un partito politico. In un partito politico entrano dei membri, è definito da certe regole, è delimitato da un certo confine nel quale i nuovi membri entrano. Questi vengono trasformati in membri del sistema dalle regole stesse. I membri diventano così parte del sistema e fanno, a loro volta, sì che altri vengano accettati grazie alle regole del sistema. Questo meccanismo vale per un ospedale o per una grossa compagnia, e si può applicare anche nello studio del marketing, come nel caso di Luman.


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17 ottobre 2007

Progettare le città come hardware e software


Da Experientia, diffondo alcuni interessanti ragionamenti di Carlo Ratti: l'argomento è l'ideazione di "... una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani."

Mi ricorda, in qualche modo, un rastrello: in questo momento diventa interessante progettare dei rastrelli che siano in grado di raccogliere le innumerevoli informazioni e flussi che tutti noi emettiamo durante il giorno, con cellulari e la Rete e tracciabilità, per orientare poi l'interpretazione verso quelle qualità emergenti dal sistema, capaci di far meglio percepire l'Abitanza effettiva di un territorio, osservata in tempo reale attraverso i flussi di persone merci e denaro e idee.

Putting People First in italiano » WikiCity, un progetto MIT
Come può una città operare come un sistema open-source in tempo reale.

Sebbene sembri che l’approccio di questo progetto sia principalmente guidato da una perspettiva culturale, ci sono alcuni elementi centrati sulla gente interessanti:

Nei decenni passati, sono stati sviluppati sistemi di controllo in tempo reale in una certa varietà di applicazioni di ingegneria. Così facendo, è aumentata drasticamente l’efficienza dei sistemi attraverso il risparmio dell’energia, la regolazione delle dinamiche, la maggiore resistenza e tolleranza dei disturbi.

Adesso: può esserci una città che si comporti come un sistema di controllo in tempo reale? Questo è l’obiettivo del progetto WikiCity al MIT. Esaminiamo i quattro componenti chiave di un sistema di controllo in tempo reale:

1. entità da controllare in un ambiente caratterizzato dall’incertezza;
2. sensori capaci di ottenere informazioni sullo stato dell’entità in tempo reale;
3. intelligenza capace di valutare la performance del sistema contro esiti indesiderati;
4. attuatori fisici in grado di operare sul sistema per realizzare la strategia di controllo.

Una città rientra certamente nella definizione del punto 1, e il punto 2 non sembra porre particolari problemi, Per esempio, il progetto di Roma in Tempo Reale usava cellulari e dispositivi GPS per raccogliere gli schemi di movimento della gente e dei mezzi di trasporto, e il loro utilizzo spaziale e sociale delle strade e i quartieri. Ma come mettere in atto la città? Anche se la città contiene di per sè diversi tipi di attuatori come i semafori e la segnaletica stradale aggiornata a distanza, un attuatore ben più flessibile sarebbe i suoi stessi abitanti.

Di conseguenza, noi stiamo creando una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani.

La visione del progetto, portata avanti dal SENSEable City Lab di Carlo Ratti, sta attualmente essendo applicata su Roma, Italia.

Visita il sito del progetto


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3 ottobre 2007

Robot a scuola



Ragionare di robotica piace moltissimo a bambini/e e ragazzini/e e permette di "far passare" competenze importanti, dal saper-progettare alla comprensione degli ambienti di vita.

C'è anche il portale delle scuole coinvolte nell'uso didattico della robotica, eccolo qui:

Robot a Scuola - Network Scuola di Robotica

2 ottobre 2007

Fare chat-room usando Google Talk

NuoviAbitanti Blog




Di certo, è buona cosa cercare di evitare di utilizzare il Messenger di Windows, oppure MSN Messenger.
Si possono in alternativa usare dei servizi di messaggistica online, come Meebo, che comodamente permette di loggarsi contemporaneamente a quattro diversi messenger (Aim, Yahoo, MSN, GTalk) usando una sola interfaccia web.

Molti di noi trovano nella propria GMail il messenger di Google in versione incorporata, altri usano GTalk come applicativo stand-alone, da installare sul PC: è certamente da consigliare l'installazione del software (ahimè solo per Windows, ma altri sistemi operativi possono usare i rispettivi software di messaggistica, purché poggino come peraltro GTalk stesso su un protocollo Jabber di tipo OpenSource), anche perché in tal modo diventa possibile fare delle chiamate "telefoniche", come con Skype, con ottima qualità audio.

Da oggi, inoltre, esiste un trucco per riuscire a fare anche delle chat testuali multiple, ovvero per ritrovarsi a chiacchierare in tanti nella stessa stanza, una chat-room vera come ai tempi di IRC.

Se usate GTalk (sia da dentro la GMail sia nel programma stand-alone) aggiungete partychat@gmail.com come contatto, e poi mandategli un messaggio scrivendo "/help" oppure "/commands" per ricevere la lista dei comandi che è possibile eseguire, come ad esempio creare una stanza di chat con un certo nome, eventualmente proteggerla con password, e invitare amici e colleghi a scrivere in compagnia.



Conversare a più voci in Google Talk | Googlisti.com