29 novembre 2007

Abitanza digitale


Incollo qui le parole della responsabile per la Società dell'Informazione e Media della Commissione Europea Vivane Reding, per come riportato da BeppeGrillo nel suo blog.


"La situazione italiana è molto chiara: in Europa il tasso medio di penetrazione della connettività è del 18%. l'Italia si attesta intorno al 17%, quindi sotto la media europea, ed è del 20% sotto il dato migliore. Credo che l’Italia possa davvero fare meglio, ma c’è qualcosa di più preoccupante, cioè la copertura dell’accesso.
Guardiamo le persone che vivono nelle città: hanno accesso alla banda larga. Ma appena si esce dalle città le persone non hanno alcun accesso alla Rete. Sono ciò che chiamo “macchie bianche”, sulla mappa. Abbiamo troppe macchie bianche ed è una situazione che va cambiata perché credo che tutti abbiamo diritto all’accesso alla banda larga in una società che voglia svilupparsi in modo omogeneo.

Nel mondo, i quattro migliori Paesi per tasso di penetrazione della connettività sono europei, mi riferisco a Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia. Bene. Ma abbiamo una coda orribile, con tassi bassissimi e questo, ovviamente, abbassa la media al 18%, quando i player migliori hanno un tasso del 20% più alto e la differenza con i peggiori è del 30%.

E’ evidente che nei Paesi dove il tasso è alto c’è concorrenza nel mercato. La concorrenza porta investimenti, innovazione e ciò permette l’accesso prima di tutto agli enti pubblici, cittadini anche a prezzi accettabili. Quindi, il punto centrale è investire in concorrenza e innovazione che spingono in basso i prezzo e l’accesso verso l’alto. Questo è il motivo per cui devo promuovere le riforme in favore della concorrenza, che è il cuore dello sviluppo.
Più offerte ci sono meglio è.

Credo che tutte le tecnologie vadano usate perchè sono complementari. Infatti, non è molto economico portare la fibra ottica in un paese di montagna, ma si può usare il WiMax, è logico. Anch'esso dovrebbe essere introdotto con la competizione tra differenti aziende e la migliore dovrebbe fornire il servizio. Ma fornire il servizio è la cosa importante, non come viene introdotto. Io sono contraria a tutti i monopoli perchè non portano concorrenza. Se non c'è concorrenza non c'è accesso, è chiaro. Se ci sono più provider i cittadini possono scegliere e i più informati possono scegliere l'offerta migliore.

Questo è il motivo per cui nella mia riforma è previsto l'obbligo per i provider di informare davvero i cittadini. La trasparenza è una regola fondamentale.
Non credo che ci sia conflitto di interessi. Credo solo che sia da incentivare la concorrenza. Alla gente non interessa chi gli fornisce la banda larga. L'unica cosa a cui è interessata è avere il servizio a un prezzo decente.

Non è importante il “brand”, non è importante l'operatore. E' importante che sia fornito il servizio. E il modo migliore per farlo è in un mercato concorrenziale.
Se libero accesso significa gratuità, non sono d'accordo. Ma se vuol dire che si possa accedere liberamente all'informazione, questa è la grande battaglia che sto combattendo, in nome dell'Europa, alle Nazioni Unite in termini di Internet governance: ho spiegato con parole molto determinate che copiare le informazioni non è la strada che Internet deve intraprendere.
Crediamo che la creatività e le libertà individuali debbano potersi esprimere in Rete e questo è il motivo per cui crediamo in una Internet libera non solo in Europa ma a livello planetario. Questa è la ragione per cui insistiamo, e l'abbiamo fatto alla conferenza sulla Internet governance a Rio, nel dire che Internet, l'informazione, deve restare libera e senza ostacoli. Il Web 2.0 è la nostra risposta a coloro che cercano di impedire che le persone siano informate.
La mia opinione è che i blog debbano restare liberi, che la creatività e l'espressività dei blogger non siano limitate.

Ovviamente i blog non possono essere criminali, lasciatemelo dire molto chiaramente – non credo che nessuno voglia aiutare i blog criminali – ma a parte questo i blog devono restare aperti, dovrebbero... devono dare alla gente la libertà di esprimersi, di dire quello che vogliono, di criticare i politici se lo vogliono. Credo che noi dovremmo imparare a (comprendere) le critiche sui blog. Io amo i blog, sono un ottimo strumento di libertà di espressione."

Viviane Reding

17 novembre 2007

Abitanza biodigitale

Il solito, ottimo articolo di Giuseppe Granieri, su Apogeo.

Granieri prende le mosse da alcune considerazione su SecondLife; il discorso affronta in seguito la tematica dell'abitare consapevolmente nei mondi digitali, e soprattutto pone l'attenzione sui processi sociali in atto che portano i nuovi ambienti di vita degli Umana ad essere percepiti e riconosciuti come dimensione imprescindibile del vivere odierno.

Alcune frasi interessanti:

... Il blogging e il social networking imponevano, per essere capiti, la necessità di cambiare completamente schemi mentali nel rapporto con l’ambiente mediale.

... Non c’è redenzione, l’uomo del XXI secolo è destinato a non smettere mai di imparare (B. Sterling)

... Pensiamo a come percepiamo la responsabilità delle nostre azioni in un ambiente che consideriamo virtuale, quindi - in vulgata - non esistente, contrario a reale

... De Kerkhove parla della necessità, per capire chi siamo oggi, di superare il vincolo naturalistico e accettare che viviamo in una condizione anche digitale che ristruttura la nostra vita sensoriale. Rodotà ragiona sulla necessità di adeguare il diritto, partendo da una considerazione dell’habeas corpus che oggi è sia fisico sia elettronico. Antonio Caronia parla di corpo disseminato

... Per ragionarci, come nella tradizione del web, tutti insieme. E per imparare, come abbiamo fatto con il web, a superare la fase delle cassettiere o delle gif animate.

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15 novembre 2007

Riti di passaggio

Riporto qui integralmente un articolo di Luca Sofri per Nova, riguardo la nota passione del giornalista Gigi Moncalvo per le querele verso chi scrive liberamente di lui.
Se siete interessati all'argomento, con qualche ricerca troverete tutto.

In realtà l'articolo si rivela molto interessante nella seconda parte, perché sancisce a chiare lettere le differenti "qualità ambientali" dei Luoghi online e conseguentemente la necessità per ciascuno di noi di immergersi in questa nuova realtà (flusso di informazioni, relazioni interpersonali, comportamenti) prima di pronunciare giudizi affrettati, malfondati.

E il ragionamento su quanto sia importante comprendere il mondo digitale nelle sue peculiarità (come forma e possibilità di Abitanza digitale, in questo blog), senza applicare pedissequamente norme e regole che qui dentro lo schermo semplicemente non funzionano, viene condotto da un giornalista di fama nazionale come Sofri jr., osservatore acuto di costumi e lifestyle, non certo informatico o persona connotata come geek.
Forse qualcosa si muove nell'opinione pubblica; forse stanno prendendo forma storica e sociale le prime norme etiche di una collettività in grado di comprendere il Ben-stare in maniera biodigitale.



L'onere delle avanguardie: educare le retroguardie
di Luca Sofri

Ci sono alcune ragioni, dalla parte di Gigi Moncalvo. La pretesa che poiché la rete sarebbe libertà, democrazia, bla bla bla, questo consenta a chiunque qualsiasi inciviltà è una sciocchezza che ricorda le parodie di Corrado Guzzanti sulla Casa delle libertà, quella dove “facciamo un po' come cazzo ci pare”. Poi si può suggerire a Moncalvo maggiore indifferenza e serenità nei confronti delle violente ma piccole aggressioni di critici con pochi mezzi, lui che va in onda in tv tutte le settimane: ma è indubbio che alcune delle sue querele stiano del tutto dentro la legittimità legale.

Poi ci sono diversi torti, dalla parte di Gigi Moncalvo.
Alcune delle sue denunce riguardano espressioni che solo giudici molto bigotti potrebbero definire “diffamazione” (e però ci sono, giudici molto bigotti), e le sue cause legali travolgono con seccature, spese, e preoccupazioni persone che non hanno fatto nulla di male. Quando non si arriva addirittura a una condanna - come è avvenuto - per l'uso dell'espressione “ex idiota”, di cui ognuno valuti la gravità: probabilmente dovrebbe esistere una differenza tra la critica antipatica o maleducata e la diffamazione.
Differenza percepita dal giudice che ha invece archiviato la denuncia nei confronti del blogger che lo aveva definito “leghistone” e “ridicolo”.

Ma gli argomenti di Moncalvo sollevano un altro problema, e non solo quello delle normative che riguardano internet. Ed è quello della grandissima difficoltà che molte persone hanno a relazionarsi con un mondo che non ha niente a che fare con quello che conoscono e a cui fanno riferimento. Ed è una difficoltà di cui non si può solo sorridere, avendo gli strumenti per farlo. Perché l'abitudine che tutti abbiamo, nel tentativo di definire le novità della rete, a fare dei paralleli con il mondo “di prima” o “di fuori”, è utile fino a un certo punto: oltre il quale diventa fuorviante o impraticabile.

Questo mondo, la rete, funziona in tutti altri modi e con tutt'altri meccanismi: è un'altra cosa. E bisogna inventare nuove regole per spiegarla e definirne i casi, e sapere chiarire queste regole.

Altrimenti, quando si parla di internet usando per facilità i paragoni con il mondo che c'era prima, poi bisogna affrontare l'obiezione di Moncalvo di fronte a un link: “io clicco, e mi trovo davanti un testo diffamante. È come un giornale che pubblichi una calunnia copiata da un altro giornale. È come se io in tv ospito uno che dice cose diffamatorie nei confronti di qualcuno: io sono responsabile, e vengo denunciato e condannato”. Avendo gli strumenti, è facile vedere le differenze tra questi casi: quello che è difficile, è vedere qualcosa a cui invece assomiglino, i links.

Perché non assomigliano a niente di quello che c'era prima, di quello che conoscevamo, di quello che per gran parte delle persone è ancora la realtà: e forse bisogna trovare modi e pazienze per spiegarle, queste cose, perché d'ora in poi siano chiare per tutti. E non definite dalla roulette russa delle sensazioni di giudici più o meno preparati e attenti.
Nova [*]

[il grassetto è NuoviAbitanti]

8 novembre 2007

www.comunivirtuosi.org


Il “Comune virtuoso” ama il proprio territorio, ha a cuore la salute, il futuro e la felicità dei propri cittadini. Adotta tutte quelle buone prassi amministrative orientate alla sostenibilità ambientale, alla partecipazione dei cittadini e alla cooperazione dal basso. Il Comune virtuoso pensa globalmente ed agisce localmente: partendo dalle piccole realtà, attraverso la prassi quotidiana, avvia grandi processi di trasformazione e di innovazione. Imprime un nuovo modello di società basato su autoproduzione e dono, sobrietà e buon senso, abbattendo ogni giorno mattoni di quel muro apparentemente insormontabile del consumo all’ennesima potenza e a qualunque costo.

Quattro Comuni italiani hanno fondato l'Associazione dei Comuni virtuosi.
Piccoli Comuni dove si cerca di rendere efficiente ad esempio l'utilizzo dell'energia (coinvolgendo magari delle imprese che attuano progetti per la riduzione dei consumi grazie a tecnologie innovative e buone prassi), dove si cerca di ragionare di bioedilizia, oculatezza nelle spese, gestione rifiuti, trasporti.

Trovate questo bell'articolo su MenteCritica

6 novembre 2007

Museo Emozionale della Memoria - GeoBlog

vEcco qui un link per una bella idea realizzata a Torino: si tratta di un Museo Diffuso dedicato ai Luoghi della Memoria della seconda Guerra Mondiale, il quale nelle sue pagine web ospita anche un esempio di mappa satellitare interattiva (realizzata con GEarth) dove è possibile scoprire georeferenziati i territori torinesi maggiormente correlati con i sanguinosi fatti di guerra, Luoghi resi eloquenti dall'utilizzo di SemaCode (o MatrixCode).

Essendo aperti agli apporti degli Abitanti, le mappe Territorio e Momoria vanno viste come importanti risporse a disposizione delle collettività per costruire collaborativamente la Storia dei Luoghi, nelle sue valenze ad esempio antropologiche oppure tecnoterritoriali.

http://www.museodiffusotorino.it/geoblog.html


4 novembre 2007

Archeologia industriale


Articolo originariamente apparso sulla rivista culturale "LaBassa" n°42/2001, qui pubblicato per gentile concessione.


Parlando di Archeologia Industriale fra il latisanese e il portogruarese: le fornaci "a fuoco continuo" Hoffmann nella Provincia del Friuli tra il 1866 e il 1920

di Valentina Piccinno

L'Archeologia Industriale è un mezzo importantissimo per studiare e comprendere il passato più recente della nostra attuale civiltà industriale.


Prendere coscienza di questo passato, capirne i meccanismi e i passaggi, significa trovare una risposta a molti quesiti sul nostro stesso modo di vivere. Il termine Archeologia Industriale fu coniato in Inghilterra negli anni Cinquanta anche perché in questo periodo di cambiamento e di distruzioni non belliche, le vecchie fabbriche e le strut
ture di servizio venivano abbattute e ricostruite senza troppo pensarci. In Italia si cominciò a parlare di Archeologia Industriale in ambito universitario a Milano solo agli inizi degli anni Settanta e in seguito si pose l'attenzione su tutti quei manufatti che in qualche modo erano e sono testimonianze produttive del nostro passato tecnologico. I monumenti che l'archeologia annovera sono in generale tutte quelle fabbriche che si svilupparono con l'avvento dell'industrializzazione in Italia, dalle filande, per fare un esempio, alle fornaci e comunque tutti quegli edifici che applicarono le nuove tecnologie e improntarono la produzione sul concetto della continuità.

Il copioso patrimonio dell'Archeologia Industriale in Friuli presenta, dal punto di vista del linguaggio e delle forme, una fisionomia difficilmente riconducibile a schemi costanti. Gli edifici industriali della prima industrializzazione sono, in genere, sviluppati in altezza e solo in seguito si sono trasformati in costruzioni orizzontali al massimo di due o tre piani, a differenza delle fornaci che solo agli inizi del Novecento si ampliarono in altezza. Il linguaggio dell'architettura delle industrie ha anche molto attinto dalle consuetudini locali e dall'impiego di materiali reperibili in loco; nel caso delle fornaci i manufatti si presentano con forme inedite ed originali, che senza camuffamenti derivano dalle funzioni ospitate.

Le fornaci, dopo l'introduzione del forno Hoffmann, assumono caratteristiche forme allungate dalle quali fuoriesce la ciminiera con soluzioni edilizie non sempre scontate.


Delle numerose fornaci "a fuoco continuo" Hoffmann diffusesi nella Provincia del Friuli (le attuali province di Udine e Pordenone) censite in uno studio in corso di pubblicazione, poche sono rimaste a testimonianza dell'attività produttiva industriale. Il Friuli essendo terra ricca di argilla adatta alla confezione dei laterizi, nel suo paesaggio da sempre sono esistite fornaci per laterizi e per la calce.

Prima dell'introduzione del forno Hoffmann, fornaci a fuoco intermittente o provvisorie di campagna a metà dell'Ottocento in Friuli ne esistevano praticamente in ogni comune e anche successivamente, dopo l'introduzione della fornace Hoffmann, alcune fornaci provvisorie continuarono a lavorare e a produrre laterizi e calce.


Il principio di funzionamento delle fornaci provvisorie arriva da una tradizione secolare sopravvissuta praticamente immutata dove i tempi di attesa tra una cottura e l'altra variavano da cinque a trenta giorni, mentre con l'introduzione delle fornaci "a fuoco continuo" il nuovo metodo di cottura cambiò radicalmente poiché non esistevano più tempi morti e la cottura dei laterizi proseguiva ininterrottamente.

Le fornaci industriali nella Provincia del Friuli si diffusero sia in corrispondenza dei maggiori agglomerati urbani sia nella campagna e anche in prossimità delle città minori.

La diffusione nella Provincia del Friuli delle fornaci "a fuoco continuo" inizia dopo l'annessione di questa parte di territorio alla giovane Italia. La svolta tecnologica di portata storica fu introdotta dall'Ingegner Architetto Friedrich Hoffmann (Gröningen 1818, Berlino 1900) che brevettò, in Italia, nel 1864 un progetto di fornace "a fuoco continuo" rivoluzionando il metodo di cottura dei laterizi e con l'introduzione di quest'innovativo metodo di cottura cambiò radicalmente il significato di forno per laterizi perché con il forno "a fuoco continuo" non esistevano più tempi morti.


Non tutto il territorio delle attuali province di Udine e Pordenone applicò con rapidità il nuovo metodo di cottura, alcune fornaci seguirono uno sviluppo complesso e frammentato perché si attuarono con ritardo rispetto all'impulso dell'industrializzazione del restante territorio. Si approssimava l'epoca dell'urbanizzazione e le fornaci esprimevano una significativa dipendenza sia dall'economia rurale sia da quella urbana, resa evidente dall'utilizzo di risorse e forza-lavoro condivise con l'agricoltura e il rafforzarsi dei legami commerciali con le città. Vi era una continua domanda di materiali da costruzione per il crescente bisogno sia di trasformare sia di fare realizzazioni ex novo.

Nella Provincia del Friuli il forno continuo fu impiantato già dal 1870, quando l'imprenditore Carlo Chiozza costruì una fornace Hoffmann in una plaga della bassa pianura pordenonese e quando Giuseppe Fabretti, negoziante in Udine, acquistò la privativa industriale o brevetto del forno Hoffmann, ma solo per i distretti di Udine, San Daniele, Palmanova, Tarcento, Cividale e Gemona e nel 1872 costruì una fornace sistema Hoffmann in Zegliacco in comune di Treppo Grande.

Per comprendere fino in fondo la novità del forno introdotto da Friedrich Hoffmann bisogna capirne il funzionamento che nella forma originale consisteva in un canale circolare continuo, nella parete esterna del quale erano aperte, ad intervalli costanti, le porte per l'introduzione e l'estrazione dei materiali. In corrispondenza di ciascuna porta il canale di cottura poteva essere costruito con diaframmi in ferro, aventi esattamente le dimensioni della sua sezione trasversale, che si manovravano dalla parte superiore della fornace alzandoli od abbassandoli a guisa di paratie. Il tratto di canale compreso tra i due successivi diaframmi prendeva il nome di cella o camera di cottura. Ogni camera presentava nella parete interna, verso il basso ed all'estremità opposta a quella dove si trovava la porta di servizio, un passaggio che si scaricava in un canale collettore del fumo, concentrico al canale di cottura.
Questi passaggi potevano essere chiusi con valvole, manovrabili
dall'alto per mezzo di aste che passavano entro fori praticati nella volta del collettore del fumo. Il camino, situato al centro della costruzione, comunicava con il canale del fumo per quattro aperture. La volta del canale di cottura presentava numerosi fori o bocchette per l'introduzione del combustibile, chiuse da un coperchio cavo di ghisa, assicurando la chiusura ermetica. Si caricava il materiale crudo in una bocca, in quella subito a destra si scaricava il materiale cotto; le altre camere erano piene di prodotti che avevano subito la cottura e si stavano raffreddando. Il fuoco si trovava nella camera caricata con materiale crudo.

In tali condizioni, il servizio
di "infornatura" e di "sfornatura" si effettuava attraverso una bocca di carico, che era la sola aperta mentre tutte le altre erano chiuse. Il fuoco era alimentato con il combustibile che si introduceva dalla volta. L'aria esterna, richiamata dal tiraggio del camino, penetrava nel forno per la bocca di caricamento, passava attraverso i materiali cotti riscaldandosi progressivamente, giungeva nella zona del fuoco e attivava la combustione. I gas caldi che si producevano, proseguendo sempre nella stessa direzione, venivano a contatto con i materiali crudi, ai quali cedevano buona parte del loro calore, e si liberavano infine nel camino passando attraverso l'apertura dell'ultima camera, la cui valvola era sollevata a differenza delle altre che erano chiuse. Con questo metodo si procedeva all'infinito, avanzando in media di una camera ogni quattro ore. Il principio basilare di queste fornaci consisteva nel riscaldare l?aria di alimentazione a spese del calore ceduto dai prodotti cotti che si raffreddavano e di utilizzare il calore posseduto dai prodotti della combustione per il riscaldamento dei materiali da cuocere.

Se focalizziamo l'attenzione sulle fornaci costruite nella bassa latisanese ci rendiamo subito conto che in questo territorio si adottò il nuovo sistema di cottura per laterizi con qualche anno di ritardo rispetto alla vicina San Giorgio di Nogaro, ad esempio, dove già da anni si utilizzava un forno "a fuoco continuo" per la cottura dei laterizi.

Solo all'inizio del Novecento si diffusero, nella bassa latisanese, le fornaci sistema Hoffmann e tra queste quelle di Dal Maschio-Visentin a Palazzolo dello Stella, quella dei fratelli Anzil a Sivigliano di Rivignano, quella di Antonutti e Minzi a Talmassons, quella di Mangilli D'Agostini Turini, detta di Torsa, ma anch'essa in comune di Talmassons.

Nel vicino Veneto le fornaci ebbero uno sviluppo diverso, legato alla qualità dell'argilla, più adatta alla produzione di ceramiche in genere e si potenziarono con fornaci continue con molto ritardo rispetto alle fornaci del Friuli, solo a Treviso esistevano fornaci continue già dal 1875.


La difficoltà principale nel compiere una ricerca precisa e puntuale delle fornaci da laterizi industriali è stata la difficoltà di reperire i materiali e la documentazione, in quanto non vi è stata non solo la distruzione degli edifici industriali ma anche la dispersione degli archivi di queste industrie.
Ad esempio poco si conosce del grado di industrializzazione della fornace di Dal Maschio e Visentin di Palazzolo dello Stella: sappiamo con certezza che utilizzavano un forno Hoffmann e che l'oggetto della società, costituitasi con contratto privato agli inizi del Novecento, era l'esercizio di una fornace per la fabbricazione di materiali laterizi in comune di Palazzolo dello Stella, l'esercizio di commercio di legname ed altri materiali da costruzione ed infine fabbricazione e smercio di materiali in cemento a Latisana, con l'esecuzione di lavori in cemento e cemento armato in provincia di Udine.

Con certezza sappiamo che Luigi Visentin già dal 1898 a Latisana possedeva una rivendita di legnami, materiali laterizi, calce, cementi e calci idrauliche; del suo socio Angelo Dal Maschio conosciamo poco: veneziano di nascita divenne subito socio della fornace Hoffmann e mantenne la proprietà anche dopo la morte di Luigi. Intorno al 1921 la fornace "a fuoco continuo" di Palazzolo era ancora in attività come lo era anche il commercio a Latisana della famiglia Visentin, rimangono aperti ancora molti interrogatici anche perché non è stato possibile rintracciare gli credi di queste famiglie.

Dell'opificio industriale di Talmassons al contrario si è potuto tentare una ricostruzione del passato grazie ai molti passaggi di proprietà della fornace e con certezza si può affermare che l'opificio fu costruito i primi anni del Novecento. Gli iniziatori di quest'industria furono i fratelli Ciro, Giovenzio e Ludovico Antonutti di Talmassons e Umberto Minzi di Trieste, che operavano con contratto societario avente per iscopo la fabbricazione e smercio di laterizi.
La società possedeva una fornace sistema Hoffmann e la produzione dei laterizi in principio avveniva a mano, esperti fornaciai forgiavano i mattoni operando a cottimo.

Lo stabilimento in località detta Levada, nel comune di Talmassons, oltre al forno "a fuoco continuo", era affiancato da una vasta tettoia, esisteva anche un'abitazione per gli operai, successivamente la fornace
si attrezzò con macchinari per la formatura dei laterizi. La fornace di Talmassons superò la Grande Guerra, ma nel 1923 cessò definitivamente la produzione di laterizi e si presume vi fu la demolizione del forno "a fuoco continuo". La fornace "a fuoco continuo" Hoffmann dei fratelli Domenico, Geremia e Giovanni Battista Anzil a Sivigliano di Rivignano fu costruita sul finire del 1900 ed impiegava 65 operai, di questa fornace oggi esiste lo stabilimento, stravolto nella sua forma originale per ospitare un'altra industria.
Anche lo stabilimento detto di Torsa, a Talmassons, di Mangilli, Agostini e Turini è in parte ancora visibile, il forno "a fuoco continuo" si è conservato, anche se sono state apportate alcune variazioni al canale di cottura, il camino è stato di recente abbattuto per problemi statici. Questo opificio fu costruito intorno agli anni venti del Novecento e, infatti, ha caratteristiche architettoniche diverse rispetto alle fornaci più antiche.


Rintracciando tutte le fornaci "a fuoco continuo" sviluppatesi in Friuli (province di Udine e Pordenone) tra il 1866 e il 1920 si comprende come l'impulso dell'industrializzazione per i materiali da costruzione trovò terreno fertile e le poche fornaci rimaste a testimonianza di questo passato andrebbero conservate perché anch'esse fanno parte della cultura e delle tradizioni dei friulani, in quanto fornaciai più o meno specializzati e, del Friuli perché terra di fornaci.