29 marzo 2009

Insegnanti, vi voglio vedere

L'Inghilterra ha appena varato una riforma scolastica decisamente innovativa.
Le materie di studio curricolari alla scuola primaria passano da tredici a sei (inglese, comunicazione e linguaggi, matematica, scienze e tecnologie, scienze umane sociali ed ambientali, scienze della salute e del benessere, arti e design), molti argomenti ad esempio di storia scienze o geografia non verranno più affrontati in quanto destinati comunque ad essere ripresi nelle scuole secondarie medie e superiori, ma soprattutto verrà dato un peso notevolissimo all'alfabetizzazione informatica e alle competenze digitali. Nel corso degli anni di scuola elementare, i bambini dovranno avere imparato a usare strumenti come le email, i podcast, Wikipedia e Twitter, e la scrittura al computer sarà parificata a quella manuale nella pratica quotidiana.

Perché muoversi foss'anche a tentoni in un mondo che cambia è sempre meglio di restare immobili, e venir travolti.

Ci sono insegnanti che leggono, qui? O persone comunque interessate alla tematica? Il dialogo è aperto, la ragion d'essere di un blog è la presenza di quel bottone "commenti", qua sotto.

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Massimo Mantellini per PuntoInformatico

Giovanni Arata nei giorni scorsi ha dedicato un articolo su questo giornale alle recenti ipotesi di innovazione nel mondo dell’istruzione inglese. Se ne è parlato molto nei giorni scorsi anche sugli altri media italiani, spesso con toni a metà fra lo stupito ed il canzonatorio. Colpa forse di Twitter, piattaforma sociale di recente fama che in Gran Bretagna, forse con qualche avventatezza, vorrebbero elevare a materia di insegnamento nelle scuole.

L’argomento è interessante per un numero ampio di ragioni. Intanto perchè non esiste al riguardo alcuna certezza. Vi interessano studi scientifici che riguardino l’influenza delle nuove tecnologie sulla didattica o sullo sviluppo psichico degli adolescenti? Nessun problema, ne troverete moltissimi, capaci di sostenere con ragione, numeri e dotte conclusioni qualsiasi sfumatura fra le molte posizioni possibili, da quella dell’irremovibile luddista a quella del tecnofanatico.

Molti studi neurofisiologici dicono cose piccole e intuitive, per esempio che il nostro cervello sta cambiando, in relazione agli stimoli che riceve. Esattamente come è sempre stato. Non ci sono giudizi di merito in molte di queste osservazioni: ci stiamo abituando a processare più informazioni di quanto non ci accadesse in passato, più velocemente, attraverso strumenti emotivamente avvolgenti che fino ad un decennio fa nemmeno immaginavamo. Paghiamo per questo un prezzo in termini di elaborazione culturale, sedimentazione dei contenuti, meditazione, calma? Probabilmente sì, lo dicono gli scienziati e ce ne accorgiamo in parte anche noi stessi, ogni giorno.

Se il governo inglese decide di includere con maggior vigore le nuove tecnologie e gli strumenti che le abitano nella didattica fa una cosa certamente ragionevole, ancorché inevitabile, per lo meno in un paese che tenga nel giusto conto la crescita culturale delle proprie giovani generazioni. Ci sono ottime possibilità che lo faccia male, che vada per tentativi, che scelga percorsi che domani si riveleranno sbagliati, ma non c’è dubbio che sarà sempre meglio di non fare nulla. Non dobbiamo illuderci che l’immobilismo sia la rassicurante calda coperta di lana che non è. E’ invece vero il contrario.

E pensare che in molti casi non si tratta di esprimere giudizi di merito ma semplicemente di osservare il già successo. Pensate per esempio alla scrittura: quanti adulti oggi nel mondo del lavoro scrivono ormai con la penna?In qualsiasi ambiente professionale, impiegatizio, amministrativo in senso lato, nella stragrande maggioranza di quelle professioni in cui si usava carta e penna oggi, semplicemente, non la si usa più. E’ una constatazione, non un giudizio di valore sulla penna in sé. Io - per dire - ho una età tale che quando frequentavo le scuole elementari ci si allenava con il pennino e l’inchiostro: il pennino, l’inchiostro e la carta assorbente, non so se vi rendete conto. La Bic a quei tempi era ancora (per poco) tecnologia prossima ventura.

E’ certamente traumatico pensare alla calligrafia come ad un residuo del passato e non sarebbe nemmeno giusto farlo : ci sono mille ragioni sacrosante per conservarne per quanto possibile le abitudini. E non sarei contento se mia figlia che frequenterà la prima elementare quest’anno, non tornasse a casa con i suoi quaderni pieni di lettere ordinate e tutte uguali a riempire le pagine. Per il resto non ci sono santi: quello che doveva succedere è già successo ed i nostri figli, domani (in quel frammento brevissimo di tempo che è il domani), scriveranno con la tastiera di un computer (o con un sistema di riconoscimento vocale o con quello che vi pare a voi). In ogni caso, già adesso, non c’è alcuna possibilità di riportarli indietro al calamaio e nemmeno alla penna a sfera.

Io già li immagino i sorrisini imbarazzati o anche la palese costernazione di molti insegnanti ai quali si racconta che oltremanica usano Twitter a scuola, o Wikipedia o qualsiasi altra diavoleria mediata da Internet. Lo so bene, perchè quella imbarazzante costernazione è un po’ anche la mia, di tutti quelli che vedono il mondo cambiare sotto le dita, così come so bene che esiste una dinamica di rifiuto nota nei confronti dei repentini cambi di scenario.

Non abbiamo ancora capito se, come diceva Bill Clinton qualche anno fa, i computer debbano incontrare le nuove generazioni già ai tempi dell’asilo, non sappiamo se Twitter sia una buona idea per uno studente liceale, ma sappiamo che gli strumenti tecnologici hanno invaso le nostre vite comunque.
Noi abbiamo due compiti principali mi pare: il primo è quello di trovare una utile ragionevole mediazione che incastri utilmente l’utilizzo della tecnologia dentro le nostre vite, il secondo, specie negli ambienti sensibili ed importanti nei quali si forma la cultura di una paese come la scuola, è quello di immaginare le nuove tecnologie come la grande opportunità che sono e muoversi di conseguenza. Muoversi.