10 gennaio 2010

Antropologia e educazione per l'Information Overload

Dice una pagina autorevole in inglese segnalata da Giuseppe Granieri che il problema dell'information overload in realtà va almeno un po' rivalutato, nel suo porsi stesso.

Infatti, le giaculatorie di filosofi e pensatori che si lamentano della progressiva scarsità di attenzione delle persone esistono dal Cinquecento con il diffondersi dei libri, Diderot in seguito si preoccupava che il numero dei libri è destinato a salire e quindi diventerà per noi difficile (!) apprendere dai troppi libri e bisognerà inventarsi qualcosa, ogni tanto un guru a noi contemporaneo fa notare pensosamente come ci siano sempre più informazioni, sempre più veloci, e sempre minore sia la nostra capacità di attenzione.

Ma questa affermazione contiene una sua tutta sua logica peculiare, che la fa funzionare e in grado di essere giudicanta coerente e di buon senso.
Ci sono degli impliciti, che se indagati non si rivelano poi così lampanti, dice l'autore del pezzo, Stowe Boyd.
A esempio, la cornice di queste argomentazioni presuppone un "c'era una volta, molti anni fa" un mondo in cui l'attenzine non era scarsa, in cuii non soffrivamo di troppa informazione, e tutti avevamo un sacco di tempo per ragionare sul mondo, su qual era il nostro posto, e magari anche prendere decisioni più sagge e ragionate.
Insomma, un tipico meccanismo da "fuga nell'Età dell'Oro". Un sacco di gente e di gruppi sociali si inventano il mito dell'età dell'Oro, perché narrativamente poi torna molto comodo impostare questa Età dell'Oro in modo che poi venga facile capire dove ci troviamo adesso. E se quella là era l'Età dell'Oro, questa qui è sicuramente qualcosa di peggiore, dove la civiltà è decaduta, i costumi degli antichi sono andati perduti, e le innovazioni moderne minacciano di distruggere tutto ciò che c'era di buono e giusto. Già questa è una credenza poco razionale.

Poi, l'altro classico argomento è che la specie umana non ha proprio la capacità di padroneggiare tutta la massa smisurata di informazioni che si riversa addosso a ogni individuo con la forza di un torrente, nella liquidissima società odierna. L'uomo non è cognitivamente adeguato a fronteggiare tutti questi stimoli.
Ma in realtà cosa ne sappiamo noi nel cervello? delle sue potezialità di attenzione e di selezione del flusso? E non dimentichiamoci di cosa avviene su scala generazionale, e basta guardare i ragazzi e i bambini per vedere come abbiano già diverse nuove competenze (nuove strategie) per gestire i rapidi e multipli flussi informativi veicolati da nuovi strumenti - videocamere e videoregistratori, videogames, web, cellulari propri della loro generazione, ma non di quella adulta. E anche gli adulti di oggi sono a loro volta cognitivamente diversi dai loro genitori, essendo a differenza di loro cresciuti immersi nel flusso televisivo commerciale, molto più rapido.

Pensiamoci: come specie ci siamo sviluppati in un mondo naturale e antropico (manufatti tecnologici) che offre un infinito ammontare di stimoli e informazioni; abbiamo sviluppato utensili concreti e concettuali - la scrittura, la matematica, le mappe e il disegno, il metodo scientifico - per capire meglio il mondo, sviluppando insieme le nostre capacità emotive e cognitive di comprensione; siamo oramai dentro un mondo postindustriale, dove abbiamo creato dei sistemi di supporto all'informazione su scala planetaria in tempo reale, dove il web è diventato tra i più importanti artefatti umani, in quanto sostegno alla comunicazione e alla relazione interpesonale; stiamo costruendo in questo stesso momento artefatti e strumenti ancora più complessi, come la realtà aumentata, Luoghi sociali di massa, dispositivi di connessione mobile ubiquitarii, e al contempo ci inventiamo le nuove norme sociali e le struttre che ci assistano in queste nuove attività umane.

Quindi, non si può in realtà "rispondere" a quelli che parlano di information overload, se non dicendo loro che non possiamo rispondere a qualcosa dentro cui siamo coinvolti personalmente fino al collo, nell'inventarci quotidianamente nuovi usi sociali e nuove possibilità di espressione personale proprio con gli strumenti stessi, che conosciamo forse da cinque anni (web20, videostreaming, socialnetwork): stiamo sperimentando.
E le nuove tecnologie, il web o la scrittura o la stampa o l'invenzione dei soldi e della medicina scientifica sono innanzitutto ponti che ci portano verso qualcosa di nuovo, verso cui siamo socialmente evoluti o di cui perlomeno abbiamo sentito la necessità e operato per rimediare alla mancanza, e non sono delle ruspe con cui demolire il passato.

Non vi è nessun passato dorato da cui siamo decaduti, ed è improbabile che nel nostro futuro raggiungeremo i limiti umani che ci impediscono di cogliere meglio e di comprendere più in profondità il mondo in cui viviamo.
Quello che da sempre l'umanità sta facendo è estendere costantemente la cultura affinché ci aiuti a riformulare il modo in cui percepiamo il mondo e il nostro posto in esso.

Questo il ragionamento espresso in quell'articolo.
Sul breve periodo, ci saranno burrasche notevoli. E' come un movimento tettonico, dove ampie aree continentali collidono, e si creano catene rocciose. Sto pensando al destino degli organi di informazione tradizionali, ai supporti che veicolano queste ultima (giornali, libri, video), ma anche alle mareggiate subite dall'idea stessa di privacy e di anonimato, di competenze per la gestione cognitiva e affettiva del proprio abitare in un Mondo connesso, un pianeta su cui dall'invenzione del web in qua è possibile comunicare multimedialmente il proprio pensiero a tutti in tutto il mondo, in tempo reale, e l'umanità può ragionare tutta insieme come se fosse un sol'uomo (o donna), dove democraticamente ognuno di noi volendo interviene liberamente nel dibattico pubblico.
Le vecchie logiche non "tengono", la vecchia crosta raffreddata di consuetudini e costumi obsoleti in quanto non più adeguati, codificati poi in leggi e senso comune non può sostenere un magma che da sotto ribolle, fatto di nuovo ritmo e accresciuta potenza mediatica e smisurato numero di partecipanti. Si proverà un po' a irrigidire le difese, ma non servirà. Ci han provato l'industria musicale con gli mp3 di Napster, ci han provato i mercati del cinema, ci sta sbattendo contro il mondo della carta stampata oggi, semplicemente all'apparire diffuso di supporti mobili con uno schermo decente, iphone compreso. Ci stanno avendo a che fare la Scuola e le Istituzioni tutte con questo "cambiamento necessario", e non si accorgono che stanno cambiando.

Quindi: cercare di comprendere a fondo le dinamiche di quanto sta avvenendo, tenendo sempre presenti il carattere ipoteticissimo attuale delle nostre interpretazioni a causa della rapidità dei cambiamenti attuali, e fiducia nella conversazione, perché con molta probabilità molti che ragionano tutti insieme vedono meglio il problema rispetto a una persona sola.

E poi: l'eterno unico strumento per migliorare l'ambiente di vita futuro, visto che è nel futuro che vogliamo agire, ovvero l'Educazione.
Una Educazione che sappia anche raccontare innanzitutto come funzionano le cose di oggi, le autostrade e i bancomat e le Istituzioni e le filiere economiche concrete di un territorio, per meglio lasciar libere le nuove generazioni di vivere nel loro mondo, dove non vincolati possano cercare a loro volta di seguire il loro ideale di Benessere, senza essere costretti a vivere male a cause di nostre scelte sbagliate, magari radicali e indelebili.
Se così faremo, quando i nostri figli si guarderanno indietro ci giudicheranno per i nostri valori e pratiche di possibilistica apertura al nuovo, cioè al mondo che loro abiteranno, piuttosto che per nostre stolte scelte di un pensiero unico e troppo schematico in cui loro un domani si troveranno impacciati a doversi dibattere per liberarsene.


1 gennaio 2010

Il discorso di Capodanno 2010


Il Discorso di Capodanno 2010 del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Giusto per segnalare quel "giovani", in un discorso necessariamente istituzionale, eppur forse meno retoricamente ingessato e più concreto rispetto ai precedenti.

Qui sotto, il Discorso per il 2009.


Metto anche quello del 2008, per la bellezza di fare comparazioni (prendete il solito granello di sale con voi).

17 dicembre 2009

Le città intelligenti

Le citta intelligenti - e un po' "spione" - del futuro
di Federico Cella

Da circa un paio d'anni Ibm ci ha abituato a travestirsi da chiromante e fare previsioni sul nostro futuro. "Next Five in Five" è il nome del progetto - le cinque innovazioni per i prossimi cinque anni - che quest'anno Big Blue ha focalizzato su come si trasformeranno le città in cui viviamo. Dal miglioramento del sistema sanitario agli edifici intelligenti alle automobili a emissioni zero, tutti progetti affascinanti, in cui è ovviamente attiva la multinazionale americana.


Continua a leggere sul Corriere della Sera.

Guardarsi

... Però, il rimpatrio dell’antropologia non può fermarsi qui. In effetti, fatto il sacrificio dell’esotismo, l’etnologo ha perso quello che rendeva originali le sue ricerche rispetto a quelle disperse dei sociologi, degli economisti, degli psicologi sociali e degli storici.
Sotto il sole dei tropici l’antropologia non si accontenterebbe di studiare i margini delle altre culture. Anche se resta marginale per vocazione e per metodo, è comunque il loro centro che vuole ricostituire, il sistema di credenze, le tecnologie, le etnoscienze, i giochi di potere, le economie, insomma la totalità della loro esistenza.
Se ritorna al suo Paese si accontenta di studiare gli aspetti marginali della sua cultura, finisce col perdere tutti i vantaggi dell’antropologia, tanto faticosamente conquistati. [...]
Un Marc Augé simmetrico studierebbe non solo qualche graffito sui muri delle stazioni del metrò, ma la rete socio-tecnica del metrò stesso, i suoi ingegneri e conducenti, i suoi dirigenti e i suoi utenti, lo Stato proprietario e gestore, e via discorrendo.
Molto semplicemente, continuerebbe a fare nel suo Pese quello che ha sempre fatto laggiù. Ritornando, gli etnologi non dovrebbero limitarsi alla periferia, altrimenti, restando asimmetrici, dimostrerebbero coraggio verso gli altri e timidezza nei propri confronti.
(Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni. Saggio di antropologia simmetrica, Elèuthera, 1995, pp. 123)

15 dicembre 2009

27 milioni di dubbi


L'articolo che trovate qui a fianco è stato pubblicato dal Messaggero Veneto verso la fine di settembre.
L'argomento trattato riguarda il finanziamento di 27 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione dei primi cantieri di una viabilità alternativa all'esistente, che sia in grado di collegare Udine e Pordenone in 35 minuti di automobile.

Innanzitutto, oltre ad utilizzare strade già esistenti come descritto nell'articolo, verranno anche creati nuovi svincoli e "tangenziali" di paesi lungo il percorso, un tunnel, nonché verranno ex-novo tracciate nuove direttrici nel mezzo di una campagna friulana ancora intatta, quale quella in prossimità di Barbeano e Tauriano, e quella splendida nelle vicinanze di Plasencis e di Mereto di Tomba.

Ora, potrebbero essere fatti dei ragionamenti sulla cultura passatista che porta sempre a individuare come soluzione al problema del traffico la creazione di nuove strade, come se lo spazio fisico fosse infinito. Come se queste infrastrutture non avessero un impatto ambientale notevole sul territorio, anche in termini ecologici. Come se anni di ragionamenti non suggerissero l'impiego di sistemi alternativi di trasporto di persone e cose, come ad esempio una sana progettazione della rete dei treni locali.

Ma pragmaticamente, quello che mi preme dire è questo: per andare attualmente da Udine a Pordenone lungo la statale, 50km in automobile, si impiegano dai 40 ai 60 minuti, a seconda delle condizioni del traffico. Da venticinque anni, da quando ho la patente, so che se devo andare a Pordenone in macchina per un appuntamento parto un'ora prima.
Questa nuova opera mi permetterà di risparmiare (forse, perché sappiamo che poi il problema del traffico si ripresenterà anche sulle nuove strade) un quarto d'ora, venti minuti.
E tutto questo vale 27 milioni di euro, che a opera finita saranno diventati 40 (quaranta)?

Non si potrebbero utilizzare parte di quei soldi per ottimizzare il tracciato esistente, e per potenziare alternative maggiormente sostenibili?


13 dicembre 2009

Statistiche europee



Sempre interessanti le statistiche. Per avere un colpo d'occhio generale sull'Europa dei 27 potete puntare qui, sul sito di EuroStat.
Per vedere le percentuali in formato di grafico a barre, oppure sotto forma di mappa geografica, cliccate nella colonna di destra, nel riquadro "Country profiles", oppure provate a cliccare qui.

Per le tematiche affrontate da NuoviAbitanti, vi consiglio ovviamente di prendere in considerazione soprattutto le categorie "Information society", "Education", "Environment and Energy" e "Science and Technology", tramite il menù a discesa che trovate vicino alle mappe.

L'Italia, lo sappiamo, non è messa benissimo: spesso occupa posizioni medio-basse in molte "classifiche", nei diversi indicatori.
Sul piano dell'Educazione ci sono buoni numeri, specie nel settore delle scuole primarie, i quali però peggiorano se guardiamo il numero dei ricercatori oppure il livello di disoccupazione di persone con buon grado di scolarizzazione.
Dal punto di vista della Società dell'Informazione, siamo decisamente indietro come numero di connessioni a banda larga, come penetrazione di Internet sul territorio, ma siamo primi per numero di contratti di telefonia cellulare: ogni 100 abitanti in Italia ci sono 120 contratti telefonici, un mucchio di SIM che abitano nei telefoni.
Nella media, oppure valori ancor peggiori riguardano l'utilizzo che i cittadini italiani fanno della rete per comunicare con le Istituzioni e le Pubbliche Amministrazioni, nonché le statistiche riguardanti l'andamento del commercio elettronico.

Segnalo anche due documenti esplicativi in formato .pdf, in inglese.
Il primo riguarda lo Stile di Vita dei giovani europei, nell'età compresa tra i 15 e 29 anni. A che età i giovani mettono su casa, quali sono i livelli di istruzione, quanti hanno contratti di lavoro a tempo determinato, quanto frequentano cinema ed eventi culturali?

Il secondo riprende le statistiche sull'utilizzo di Internet, dando indicazioni specifiche sui comportamenti mediatici. Qui diventa importante comprendere la penetrazione della Rete nella fascia dei giovani (siamo vicini ad una frequentazione giornaliera, o almeno ogni due giorni nella larga percentuale dei giovani, in moltissime nazioni europee e indipendentemente dal livello di istruzione posseduto).


4 dicembre 2009

Internet per la pace?

Ora, c'è in giro questa proposta di candidare Internet al Nobel per la Pace del 2010. L'idea è promossa da Wired USA GB e Italia, vede numerosi sottoscrittori tra cui appunto un premio Nobel, personalità mondiali e in Italia tra gli altri Umberto Veronesi e Giorgio Armani, grosse aziende commerciali come Sony Ericsson, Tiscali, Fineco, Fastweb, Microsoft Italia, Telecom Italia, Unendo Energia, Vodafone Italia, Citroën e H3G.
All'indirizzo internetforpeace.org trovate il sito di riferimento, se volete potete firmare per manifestare il vostro sostegno all'iniziativa.

A me l'idea non piace.
Non mi piace la sua genesi commerciale: la scintilla delle buone idee umanitarie può certo venire anche alle aziende, intendiamoci, le quali però in questi casi creano delle fondazioni con organi rappresentativi e amministrativi super partes, ovvero degli enti morali da eventualmente sovvenzionare collettivamente per la promozione di una buona causa.
Non mi piace la scommessa su Internet in quanto strumento di pace, perché sappiamo che gli strumenti sono neutri, e il risvolto etico dipende dall'uso che le persone (e le multinazionali, e le lobby, e i governi) ne faranno nei prossimi anni. Nel caso di governi e aziende, stiamo parlando di persone che da pochissimo tempo si occupano "ufficialmente" di questi nostri territori digitali spesso per regolamentare e normare cose che non capiscono ma che avvertono come pericolose, e si muovono sulla scorta di mappe sbagliate, mutuate dalla comprensione dirigistica o mercantile dei massmedia tradizionali del Novecento, senza la cultura abitativa basata su valori di condivisione paritetica, apertura, disintermediazione, conversazione.
Non mi piace l'idea che si premi lo strumento stesso, o se volete l'ambiente: in quanto tecnologia abilitante, quelle che vanno premiate sono le persone che hanno saputo promuovere appunto lo sviluppo del Web in una direzione etica, quelli che qui dentro hanno lavorato per migliorare la qualità del nostro Ben-Stare su questo pianeta. Se volete premiate Berners-Lee in quanto simbolo, o meglio ancora venga dato collettivamente il premio alle cento o mille personalità che hanno costruito tecnicamente e umanisticamente questi Luoghi digitali negli ultimi quarant'anni, con un lavoro spesso oscuro e misconosciuto.
Oppure che il Nobel venga dato (in tal modo aiutandola: ci vorrebbero stanziamenti governativi promossi dall'ONU, a mio parere, per lo 0,02 del PIL di ogni nazione mondiale) a Wikipedia, la quale incarna nella propria filosofia e nel proprio operato l'idea di una libera circolazione delle idee (e potrebbe fare anche meglio).

Quello che mi piace sono le parole che hanno scelto per raccontare la proposta di Internet per la Pace, perché colgono il punto (e i copywriter sanno fare il loro lavoro).

Internet per la Pace
Abbiamo finalmente capito che Internet è molto di più di una rete di computer. E' un intreccio infinito di persone. Uomini e donne, a tutte le latitudini, si connettono tra loro, grazie alla più grande interfaccia sociale mai conosciuta dall'umanità.
La cultura digitale ha creato le fondamenta per un nuovo tipo di società.
E questa società sta promuovendo il dialogo, il confronto e il mutuo accordo attraverso la comunicazione.
Perché da sempre la democrazia germoglia dove c'è apertura, accoglienza, discussione e partecipazione. E da sempre l'incontro con l'altro è l'antidoto più efficace all'odio e al conflitto.
Ecco perché Internet è strumento di pace.
Ecco perché ciascuno di noi in rete può essere un seme di non-violenza.
Ecco perché la rete merita il prossimo Nobel per la Pace.
E sarà un Nobel dato anche a ciascuno di noi.



2 dicembre 2009

Il Parlamento dei bambini


Insegnanti, volete fare educazione civica in modo innovativo? Portate i bambini a visitare il Parlamento, ma non sul sito ufficiale, bensì su quello pensato apposta per loro. All'indirizzo http://bambini.camera.it trovate materiali informativi, gallerie fotografiche, glossari, iniziative ludiche per comprendere il funzionamento della Camera e dell'attività legislativa.

21 novembre 2009

16 novembre 2009

Obama è un NuovoAbitante

"Io credo nella trasparenza - dice il presidente - perché più l'informazione circola liberamente, più una società diventa forte. In questo modo i cittadini possono chiedere dei conti a chi li governa. Perciò sono contrario alla censura, anche quella che colpisce Internet. In America la libertà di accesso a tutti i contenuti online ci rende migliori. Come presidente, qualche volta preferirei che ci fossero meno critiche contro di me, e ne ho tante. Ma questo rende la nostra democrazia più sana, e mi costringe a governare meglio".
via Repubblica

Obama sul tema delle libertà, mentre parla agli studenti cinesi.
Quasi quasi gli mando una mail per proporgli di diventare socio onorario dell'associazione NuoviAbitanti.

6 novembre 2009

Un help-desk per i supporti tecnologici

Certo, dev'essere dura.
Quest'anno a Natale l'ebook reader Kindle o iLiad o Cybook sarà il regalo sotto l'albero per moltissimi americani, il boom da noi potrebbe essere per l'estate prossima.

Un'altra di quelle rivoluzioni epocali portateci dalla Cultura Digitale: ne parlano Luca DeBiase e Sandrone Dazieri su Nòva Sole24ore, Antonio Tombolini sul blog di Simplicissimus.

Qualcosa di simile deve essere accaduto nella seconda metà del Quattrocento, con la diffusione della tecnologia della stampa. Magari ancora prima, quando si diffuse la rilegatura di buona carta, come la storia di Fabriano insegna.
Nel video qui sotto, la ricostruzione scherzosa di un help-desk dell'epoca.