5 ottobre 2009

TIC e apprendimento

Qualche giorno fa, in questo post qui intitolato "Le tecnologie non servono", Gianni Marconato ha provato senza menar troppo il can per l'aia a riassumere il suo approccio e le sue riflessioni rispetto all'adozione delle TIC a scuola, nella didattica quotidiana.
Quella che va tenuta ferma in questi ragionamenti è l'efficacia dell'apprendimento, non solo l'efficienza dell'insegnamento: ci viene propinata una facile equazione (strumenti migliori = maggiori garanzie di successo delle azioni formative) che può essere facilmente falsificata a esempio dal non confondere i mezzi con i fini, evitando di rivestire quindi le tecnologie didattiche di un'aura di potenzialità e di malintesa modernità che le renderebbe di per sé in grado di fare la differenza rispetto agli obiettivi scolastici.
L'affermazione di Marconato è chiarissima: un bravo insegnante ottiene successo e provoca apprendimento significativo nei suoi allievi anche usando solamente la tecnologia della parola, mentre un insegnante mediocre potrà circondarsi di mille diavolerie (ehehe) elettroniche ma comunque il suo fare risulterà inadeguato.

"Le tecnologie non servono... se non sai insegnare".

Peggio ancora, c'è in giro una cultura dell'innovazione strumentale che offusca e distoglie lo sguardo dai veri obiettivi educativi, e forse questa è il vero nemico da combattere.

Non si tratta quindi di demonizzare le TIC, anzi importantissime oggi per fare scuola in modo coerente e sintonizzato al mondo in cui viviamo, ma di ragionare sul significato di insegnamento e apprendimento.
In Rete la posizione espressa in quel post ha provocato (su Facebook, nei commenti sul blog) notevoli reazioni da parte di persone, magari docenti, che senza aver ben compreso il nòcciolo della questione si sono indignate per la pochezza con cui veniva trattata la professione dell'insegnante oppure per il sacrilegio di aver parlato male delle salvifiche tecnologie TIC.

Incollo qui l'articolo di risposta di Marconato a queste critiche e osservazioni, da cui emergono in maniera puntuale le diverse posizioni di pensiero sull'uso didattico delle tecnologie, la necessità di pensare prima all'apprendimento, e poi alle tecnologie che servono per ottenerlo (e non viceversa, come troppo spesso si fa oggi).
Interessantissima (più volte discussa in questo blog) la visione secondo cui è importante giungere alla trasparenza delle TIC nel setting e nel processo educativo.

... a meno che
di Gianni Marconato

Il mio ultimo post “Le tecnologie non servono” ha suscitato un buon dibattito in rete (anche se non ampio come “La scuola Gelmini – Israel non serve a nessuno”), con espressioni di accordo e di disaccordo su quanto affermo.
Il post mi è, anche, costato l’accusa di revisionista, passatista…
Evidentemente non mi sono spiegato bene, soprattutto per coloro che mi hanno considerato, per il post, una persona contraria all’uso didattico delle tecnologie.
Capisco che chi non conosce la mia storia professionale (di cui il mio blog dà ampio rendiconto) si possa essere fatto questa idea e capisco che il titolo possa aver tratto in inganno, ma una attenta lettura avrebbe, forse, reso comprensibile il mio pensiero nella sua articolazione.
Nel post in questione dico, al di là delle frasi forti (nessuna provocazione Francesco), dico:
  • Spesso l’uso didattico delle tecnologie è stato confuso/spacciato come innovazione tout-court e con non poche mistificazioni, vuoi in buona fede, vuoi in perfetta malafede
  • Non si può far credere (agli insegnanti, agli studenti, alle famiglie, alla società) che la nostra scuola stia migliorando grazie a massicce iniezioni di tecnologie
  • Il mero uso delle tecnologie non produce necessariamente ed automaticamente buona scuola (buon insegnamento, buon apprendimento)
  • La questione del valore aggiunto delle tecnologie è ben più complessa di quello che a tutti i livelli si fa credere
  • Un cambiamento profondo, autentico e stabile si attiva con una strategia (anche politica) e modalità operative differenti di quelle che si stanno adottando
  • In parecchi di coloro che lavorano nella filiera delle tecnologie c’è molta ingenuità e/o approssimazione (quando non furbizia)
  • Dopo tanti anni di ingenuità, sperimentazioni più spesso mal riuscite che ben riuscite, “lezioni” imparate da molti di noi, è ora pensare ad approcci organizzativi e didattici maturi, non a ripetere quelli della prim’ora

Una affermazione, forse estremistica, fatta nel post è relativa al fatto che solo un “bravo” insegnante può trarre beneficio dall’uso delle tecnologie. (Francesco Leonetti mi ha fatto notare che avrei potuto titolare “Le tecnologie non servono … se non sai insegnare). Un tempo non lo credevo, ma ne sono sempre più convinto (ed in P.S. lo argomento)

Concludevo il post “incriminato” con una proposta di ordine metodologico sulla base di questo ragionamento: “Considerato che le tecnologie dovrebbero migliorare insegnamento ed apprendimento, considerato che le tecnologie sono strumenti come tanti altri, perché non partire da problemi/obiettivi di didattica e trattare, nel contesto della loro soluzione, anche le tecnologie? Perché prima si devono imparare le tecnologie e poi il loro uso? In questo modo, a mio avviso, si rimette al centro la didattica.

Esplicitando, se ancora ce fosse il bisogno, il mio pensiero è che, oggi (non 10, 5 anni fa) le tecnologie si accrediteranno autenticamente come utili strumenti didattici se scompariranno in quanto “oggetto” in bella evidenza e diventeranno uno dei tanti tools a disposizione di insegnanti e studenti.
Le tecnologie si accrediteranno e si insedieranno stabilmente, ed i tempi sono maturi, solo quando non si parlerà più di didattica con le tecnologie ma solo di didattica, con e senza le tecnologie.
Non vi sembra giunto il tempo di rendere normali le tecnologie in classe? O almeno comportarci come se lo fossero?
——

P.S. su “il bravo insegnante
Perché solo il “bravo” insegnante potrebbe tratte beneficio (= aggiungere valore aggiunto) dall’usare le tecnologie in classe e non il “mediocre”? Forse potremo dire “insegnante esperto” ed “insegnante novizio”; forse così non si offende nessuno.
Per me il “bravo insegnante” (relativamente alla variabile “tecniche didattiche”)è colui/colei che:

  • Conosce ed ha una comprensione profonda di un’ampia (meglio se vasta) gamma di tecniche didattiche
  • Sa diagnosticare, dalla prospettiva dell’apprendimento e dell’insegnamento, la situazione in cui vuole intervenire
  • Sa scegliere, in coerenza con questa, la tecnica che per lui è la più adeguata
  • Sa argomentare il perché della scelta
  • La sa implementare efficacemente

Solo un insegnante “evoluto” o “esperto”, un insegnante che ha mestiere può trovare il senso di questo ulteriore strumento (uno strumento tanto divertente quanto difficile da usare didatticamente), un insegnante competente che in virtù delle tecniche che padroneggia potrebbe, anche, fare a meno delle tecnologie (anche se credo che le tecnologie possano dare qualcosa in più).
Ma se non le ha, quell’insegnante, non sa perché usa le tecnologie e lo fa solo perché …. le tecnologie esistono, …. perché i nativi digitali, …. perché non se ne può fare a meno, …. perché altrimenti non si è al passo con i tempi, … perché, altrimenti, si fa la figura degli scansafatiche, …. perché che direbbe il dirigente.

Con il risultato di continuare a fare la solita mediocre lezione, di deprimersi dopo un po’ perché non vede risultati e di dare la colpa alle tecnologie.

Allora, il “novizio” (c’è chi rimane novizio per tutta la vita perché “fare esperienza” non vuol dire “avere esperienza”) non potrà mai accedere alla gioia delle tecnologie? Dico di si, ma questa è un’altra storia

Quindi chi ha a cuore la buona immagine ed il buon uso delle tecnologie didattiche (io sono tra questi), sia severo, sia esigente, abbia elevate aspettative e non si accodi al gregge delle pecore che belano tontamente dietro l’ultima tecnologia.



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