3 settembre 2011

Zygmunt Bauman: la società di bambagia


Per quanto possa sembrare straordinario, una delle persone più eminenti intorno all'attualità e al futuro di internet e della rete, con tutti i suoi annessi e connessi per la società in cui viviamo, è un uomo nato nel 1925 a Varsavia: Zygmunt Bauman. Arrivato a Sarzana con un volo Ryanair, Bauman ha incontrato i giornalisti (affiancato dalla traduttrice Marina Astrologo) prima dell'evento che lo vede protagonista in piazza Matteotti alle 21.15, al Festival della Mente, la lectio magistralis dal titolo Sul concetto di comunità e rete, sui Social Network e Facebook
In un confronto tra Google e Facebook, Bauman trova più intelligente la strategia del Social Network più diffuso e utilizzato nel mondo - accanto a Twitter - perché «Facebook è in grado di studiare il profilo dei suoi utenti a partire da un'analisi degli amici di ogni individuo e non solo dalle preferenze o indicazioni fornite dall'utente». 
A proposito della valanga quotidiana di informazioni che ci innonda e sempre meno ci aggiorna, Bauman fa un breve cenno a «Quando ero giovane» per ricordare il senso di carenza e prosegue: «Oggi la situazione si è ribaltata. Oggi c'è una fittissima cortina e quella più densa è formata dall'eccesso di informazioni. Secondo recenti dati, un solo numero del New York Times contiene più informazioni di quante potesse raccoglierne nell'intero arco di una vita, una persona di cultura nel Rinascimento. La crescita delle informazione procede a ritmi esponenziali: una bruma informativa, per cui vedi ciò che hai a mezzo metro, registri quello che hai vicino ma non riesci a discernere dove stai andando. Da qui deriva l'ignoranza. Essere ignoranti significa non capire cosa sta succedendo e che cosa accadrà edessere costantemente scioccati da eventi inattesi. Quello che offusca è uncurtain: non un telo incolore, piuttosto un qualcosa di dipinto che brulica di immagini e impedisce di vedere e di capire cosa accade».
Dall'ignoranza all'impotenza dell'essere umano nella società liquida, dove la precarietà è un fenomeno quotidiano che colpisce gli individui sul lavoro, all'interno della famiglia e persino nelle relazioni personali. «Nella modernità liquida, che potremmo anche definire modernità di bambagia se vuoi buttare giù un muro e sferri un pugno, lo colpisci e ti pare che il pugno passi dall'altra parte ma in realtà il muro resta lì e nulla è cambiato. Ecco è questa impossibilità a conseguire un risultato che fa cumulo con l'ignoranza a caratterizzare questo nostro tempo. E ci conducono a continua frustrazioone e inadeguatezza. Continuamente siamo portati a dire: "Non so cosa succededrà, non so cosa farci e quindi sono io che sono inadeguato". Ecco perché la realtà liquida non va intesa come più leggera, al contrario come una sostanza (vedi il mercurio rispetto all'alluminio) che sembra più leggera ma ci dà la sensazione di essere più pesanti, da lì impotenza che diventa impossibilità di dare forme alle cose».
Essere soli o parte di una comunità? Queste due dimensioni caratterizzano sempre di più il nostro vivere contemporaneo ma in che misura e perché? «Sono molte le diadi, le coppie e le opposizioni di valori che parlano delle nostre necessità. Da un lato cè la voglia di partecipazione, di far parte di una comunità, dall'altra il bisogno di automnomia, per cui detestiamo che altri ci vietino di avere opinioni non conformi. Eppure, la comunità se non fai quello che ci sia aspetta da te ti mette al bando. Resta vero che gran parte dei nostri sforzi si concentrano a farci identificare come personalità unica, che comunque sia riconosciuta. Perché non c'è gioia o godimento in solitudine assoluta, quindi abbiamo bisogno binomi. Difficile conciliare la lunga lista di binomi che ci caratterizza. Va avanti così da un po' e non vedo come potrebbe cambiare».
Ma cosa spinge tutti verso le nuove comunità online? «Vedo nostalgia verso qualcosa di saldo duraturo. C'è qualcosa che delude? Non so. Fatto sta che il termine comunità era sparito dalle scienze sociali, ora sta tornando».
Le nuove comunità sono diventate anche strumenti politici e di rivolta, alla base di sommosse, proteste e campagne referendarie. Ma quale futuro hanno nel discorso politico? «Parlerei di interregno: siamo in una fase di transizione, in cui non sappiamo quale sarà il prossimo passo. Detto questo,credo sia estremamente attuale la definizione che di interregno dà Gramsci: i nostri vecchi modi non funzionano più e non sappiamo usare quelli nuovi. Non è proprio la situazione odierna? Vi ricordate la carta dei diritti di John Major? I cittadini erano clienti dello stato e come tali fruivano di servizi in modo passivo. Quindi non avevano diritto di partecipare alle decisioni. Ora con la crescente mancanza di comunicazione, tra cittadini e politica, oggi i nostri paesi non sono più in grado di offrire servizi ai cittadini/clienti. Ma c'è stato anche un divorzio tra il potere (abilità di fare le cose) e la politica (capacità di decidere cosa si si dovrebbe fare e cosa evitare). 60 anni fa si credeva politica e potere risiedevano nello stesso posto oggi il potere è emigrato nel ciberspazio ben oltre la portata umana e nessuno stato può più dirsi grande potenza, neppure gli USA. Gli stati sono impotenti e incapaci di distribuire sicurezza e servizi. E tuttavia il web, ottimo strumento per la manifestazione pubblica di questo disagio, come dimostrato dalla primavera araba, non ha ancora prodotto niente che permetta alle persone di creare nuove realtà decisionali. Possiamo rifiutare modelli e strutture (vedi nord africa), ma non sappiamo ancora come crearne di nuove».

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