Giorgio Jannis
Cambiamento è la parola chiave di questi nostri anni. Una parola che può servirci per etichettare efficacemente il rapidissimo modificarsi delle strutture sociali degli ultimi decenni, e al contempo spinge il nostro agire attuale verso nuove forme di organizzazione del vivere, verso un necessario ripensamento e conseguente riprogettazione del fare umano rispetto ai territori d'insediamento e agli spazi di socialità oggi indifferentemente biodigitali.
I territori abitativi interpretati secondo visioni sistemiche emergono nella percezione come stratificazioni di epoche lontane, nelle tecnologie del mondo agrario e di quello industriale – le strade e le ciminiere, i tralicci e le bonifiche – ovvero come reti comunque tecnologiche di produzione e distribuzione dal forte sapore connotativo del Paesaggio, a cui oggi va aggiunta la tecnologia miniaturizzata e invisibile delle reti di connessione dei telefoni cellulari e di Internet, dove il web sta maturando in sé la capacità di offrire all'umanità un ambiente in cui intrattenere comodamente proficue relazioni sociali e notevolissimo scambio informativo ed espressivo con altre persone, fino al punto di farci ormai ritenere connaturata al nostro esercitare Cittadinanza Attiva la possibilità di poterci esprimere liberamente in Rete e da quest'ultima trarre informazioni dalle plurime fonti disponibili. Anzi, la presenza nelle legislazioni di un esplicito “diritto di banda” per ogni cittadino permetterebbe un ottimo confronto del grado di civiltà raggiunto dai singoli Stati, in quanto rappresentazione della libertà espressiva e dell'apertura alla Società della Conoscenza, come valore fondamentale per i tempi a venire.
Conseguentemente, si profila la necessità di provvedere una certa Educazione alla Cittadinanza attiva, proprio perché le tecnologie della comunicazione - il cinema, poi la radio, la tv, il web: sono i nuovi luoghi del Novecento in cui l'umanità racconta sé stessa – ovvero le principali responsabili della presa di coscienza collettiva della Transizione che stiamo vivendo, rendono sempre più diffusa la possibilità (il diritto!) per tutti noi di partecipare al dibattito collettivo, nei termini di consultazioni pubbliche o di veri propri atti di democrazia partecipativa, da concepire soprattutto con attenzione agli aspetti di governo locale del territorio. Come dire, qui bisogna dotare le persone di competenze digitali, per una questione di civiltà: l'accento va posto sulle dimensioni sociali delle nuove tecnologie, e non sugli aspetti tecnici dello strumento computer quale finestra per accedere alle forme di Abitanza digitale nel web.
La Scuola, quale luogo istituzionale deputato alla formazione del Cittadino, credo sia riuscita negli ultimi tempi a portare in luce, ragionando sul proprio fare, una distinzione importante riguardo l'utilizzo didattico delle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione, dove finalmente a fianco di una funzione puramente strumentale di queste ultime (l'utilizzo di programmi di videoscrittura e di fogli di calcolo, oppure i software specifici per aspetti tecnici) emerge una considerazione sul loro essere piuttosto degli “ambienti di vita”, con cui tutti noi interagiamo quotidianamente, che si tratti di web o di cellulari o altri schermi. Disporre di spazi di espressione multimediali e pubblici, come i forum, i blog, i wiki, gli archivi audiovideo e le mappe satellitari, e utilizzarli tranquillamente nel flusso delle attività didattiche in classe (comprendendone le peculiarità social web, ovvero partecipative e collaborative) rende chiaramente percepibile il flusso di informazioni, ora aumentato e bidirezionale, che scorre tra la società e quella Scuola che ritiene importante essere un attore sociale trasparente e attento, aperto alla comunicazione con il territorio.
Purché gli insegnanti vedano nel computer una finestra verso un mondo ricco di socialità e di espressione di sé, e non come una macchina per scrivere; purché i PC in classe diventino “trasparenti” come lo sono i libri e le lavagne, supporti tecnologici dell'apprendimento ormai inglobati nel flusso delle progettazioni didattiche; purché le aule scolastiche siano percepite come “stanze senza pareti”, dove risulti facile consultare risorse del territorio e portare il mondo dentro la scuola, in uno scambio osmotico garanzia di aggiornamento costante e sintonia tra sistema formativo e società tutta.
Ecco, una scuola senza muri, liberamente attraversata da flussi fisici ed elettronici di persone e idee eppur riconoscibile nella sua identità istituzionale di Luogo formativo, dove strumenti di connettività personale rendano possibile far lezione ovunque e dove qualsiasi risorsa dello scibile umano sia disponibile all'istante, senza interrompere il flusso della narrazione gruppale con cui docenti e allievi, in presenza o a distanza, esplorano gli argomenti di studio e ri-giocano la realtà ricontestualizzando le conoscenze apprese dentro contenitori online condivisi e collaborativi, potrebbe essere una buona palestra alla Cittadinanza intesa in senso moderno, in un mondo fatto di ambienti di vita (di crescita) fisici e digitali in rapida trasformazione.
2 commenti:
Ci credo, ho sempre creduto nello scenario che descrivi: tant'è vero che intitolai il mio blog ddattico, ormai desolatamente abbandonato, proprio "Fuori di Classe", nell'idea di abbattere il muro fra la classe e il "resto del mondo" proprio grazie alla tecnologia "sociale" del web. Il punto è che in qui in Italia sembra una cosa complicatissima da fare: i colleghi ti guardano male, sono gelosissimi del loro pezzettino di potere "disciplinare" garantito dalla porta chiusa quando sono in classe ("mi chiudo la porta alle spalle e faccio quello che mi pare")e non hanno mica tanta voglia di mettersi in gioco. Insomma, si fa una gran fatica e non è detto che ogni tanto non si provi la tentazione di lasciar perdere la sfida e, appunto, fare le cose come si son sempre fatte, cattedra, registro (cartaceo), voti, foglio protocollo per i compiti, piuttosto che battere altre strade raramente comprese e condivise.
Lorenza, onoratissimi che tu venga qui a contaminare il blog dei NuoviAbitanti :)
Come più volte qui e su altri blog vado ripetendo, nessun addestramento agli strumenti potrà modificare la scuola come organizzazione e la didattica in classe in direzione di un approccio social, collaborativo, contestualizzato rispetto alle risorse territoriali, osmotico.
Perché gli strumenti per quanto 2.0 continuerebbero a "cadere", continuerebbero ad aver senso dentro una formamentis comunque incapace di coglierne gli aspetti innovativi.
Da qui, la necessità più volte ribadita di considerare piuttosto gli strumenti come ambienti, e come tali raccontarli innanzitutto agli insegnanti, auspicando che in seguito il medesimo approccio venga da questi ultimi seguito nel lavoro concreto in classe.
Ma tutto questo non può (psicologicamente, esperienzialmente) avvenire se gli insegnanti non provano ad avventurarsi personalmente nella parte abitata della Rete, se non diventano essi stessi abitanti, coinvolti e partecipi nell'aver cura dei nuovi territori digitali da cui in modo del tutto informale le giovani generazioni traggono valori e orientamenti rispetto al proprio agire.
Ma hai ragione, tutto ciò è faticoso, significa sporcarsi le mani, mettersi in discussione, perdere quote di autorevolezza (in realtà, perde autorevolezza solo chi la fonda malamente sugli strumenti), e quel che è peggio stanno arrivando un po' di persone ora a sproloquiare di Scuola20 senza aver idea di cosa stanno parlando (gli stessi per cui una LIM in classe è da sola in grado di trasformare l'ambeinte in tecnoclasse, perdendo di vista l'apprendimento significativo), senza avere l'umiltà di leggere cosa si è detto in Rete in questi anni su questi argomenti e sulle considerazioni anche deontologiche riguardanti il "fare" degli insegnanti in classe.
Sono notoriamente pessimista: non credo nulla cambierà, finché un terzo almeno degli insegnanti italiani non avrà un account personale su youtube, su wikipedia, un blog personale più o meno di contenuto relativo alla didattica, non proverà a fare audiovideo con consapevolezza di media education, a usare le mappe satellitari o insomma tutte queste nuove bellissime competenze digitali, che ci rendono cittadini prima ancora di insegnanti (e non posso essere un buon insegnante se non sono un buon cittadino/abitante, critico e consapevole).
Speriamo questi tempi passino senza far troppi danni, speriamo che i ragazzi trovino - come ogni generazione necessariamente ribelle ha saputo fare - le scintille di intelligenza sparse nel mondo biodigitale, che oggi nessuno sa loro indicare dentro l'educazione formale.
Il problema è che questi sono tempi veloci, e star fermi sei mesi come scuola significa perdere anni di vita degli studenti, nel dar loro le bussole per orientarsi alla società moderna.
Incrocio le dita, e non demordo :)
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